La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale (Chieffi Severo, Presidente, Di Tomassi Maria Stefania, Relatore), pronunciandosi sui reclami di alcuni detenuti, ristretti negli Istituti Penitenziari di Cosenza e Catanzaro, ha sonoramente bocciato l’operato della Magistratura di Sorveglianza di Cosenza e Catanzaro, annullando i provvedimenti impugnati e disponendo la trasmissione degli atti ai Magistrati di Sorveglianza competenti per un nuovo giudizio che si attenga ai principi di diritto statuiti nelle sentenze.
In particolare, i Supremi Giudici hanno esaminato il ricorso proposto dal detenuto Lorenzo Ruffolo, assistito dall’Avvocato Cristian Cristiano del Foro di Cosenza – avverso il Decreto emesso il 26/11/2014 dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza nonché il ricorso proposto dal detenuto Rocco Alvaro, assistito dall’Avvocato Giacomo Iaria del Foro di Reggio Calabria – avverso il Decreto emesso il 07/12/2014 dal Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro. In entrambi i casi, i rispettivi Magistrati di Sorveglianza hanno dichiarato inammissibili, senza alcun contraddittorio, le istanze avanzate dagli stessi ai sensi dell’Art. 35 ter dell’Ordinamento Penitenziario (Legge nr. 354/1975) per ottenere il risarcimento per il trattamento carcerario degradante ed inumano subito a causa della detenzione in spazi vitali inadeguati in quanto inferiori ai 3 metri quadrati : il Ruffolo nella Casa Circondariale di Cosenza e l’Alvaro nelle Case Circondariali di Palmi, Rossano, Paola e Catanzaro.
Secondo i Magistrati di Sorveglianza, le istanze proposte dai detenuti, erano inammissibili, in quanto difettavano i presupposti principali per l’azionabilità della domanda e cioè l’esistenza di un pregiudizio “attuale e grave” tanto al momento della domanda quanto al momento della decisione (dovendosi perciò escludere la possibilità di ricorrere alla Magistratura di Sorveglianza sia con riferimento a violazioni subite in detenzioni pregresse e diverse sia per violazioni medio tempore venute meno per intervento dell’Amministrazione Penitenziaria o della stessa Magistratura di Sorveglianza) e perché le istanze erano formulate genericamente, non avendo i detenuti dedotto e documentato specifiche e dettagliate condizioni di detenzione, tali da integrare eventuali violazioni in atto dell’Art. 3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, neppure chiedendo alle predette Autorità Giudiziarie, di azionare poteri istruttori ufficiosi, per accertare i pregiudizi lamentati.
La Cassazione, invece, passando ad esaminare la declaratoria di inammissibilità delle istanze reclamo dei ricorrenti Ruffolo e Alvaro, ha rilevato che queste recavano, oltre al richiamo all’Art. 35 ter dell’Ordinamento Penitenziario ed alla richiesta di riparazione per il trattamento carcerario assertivamente degradante subito, adeguati riferimenti al periodo complessivo di detenzione patito negli Istituti Penitenziari di Cosenza, Palmi, Rossano, Paola e Catanzaro.
Le ragioni delle richieste (causa petendi) e l’oggetto delle stesse (petitum), contenute nelle istanze – reclamo dei detenuti, risultando chiaramente enucleabili, non potevano, dunque, ritenersi affette da una genericità talmente assoluta da essere riconducibile alla categoria della manifesta infondatezza, per difetto delle condizioni di legge.
Per gli ermellini, non c’è bisogno che le istanze – reclamo debbano avere una forma specifica essendo sufficiente l’indicazione del petitum e della causa petendi e comunque, la disciplina del procedimento di cui all’Art. 35 comma 3 dell’Ordinamento Penitenziario, implica che l’attività di accertamento sia demandata, anche mediante l’esercizio di poteri officiosi, al Magistrato di Sorveglianza che è chiamato a pronunciarsi sul reclamo, esercitando, evidentemente, gli ampi poteri istruttori di cui è titolare ai sensi dell’Art. 666 comma 5 del Codice di Procedura Penale.
Proprio la natura essenzialmente “compensativa”, più che “risarcitoria” in senso stretto, del rimedio introdotto dall’Art. 35 ter dell’Ordinamento Penitenziario, finalizzato a “garantire una riparazione effettiva delle violazioni dell’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo derivanti dal sovraffollamento”, richiesta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo nella Sentenza pilota Torreggiani, esclude che la domanda debba essere corredata dalla indicazioni precisa e completa degli elementi che si pongono a fondamento della stessa ed, in specie, che configurano il pregiudizio da ristorare. E’ quindi, soltanto necessario che vengano indicati i periodi di detenzione, gli Istituti di Pena e la riconducibilità delle condizioni detentive alle suddette violazioni derivanti dal sovraffollamento, mentre la sussistenza del pregiudizio per specifiche violazioni dell’Art. 3 della Convenzione Europea costituisce thema probandum.
La Corte Suprema di Cassazione, infine, ha ritenuto errata la tesi sostenuta dai Magistrati di Sorveglianza di Cosenza e Catanzaro che la condizione di accoglibilità della domanda riparatoria rivolta agli stessi sia la “attualità” del pregiudizio, anche perché la ritenuta esclusione del rimedio risarcitorio di competenza del Magistrato di Sorveglianza, disciplinato dal comma 1 e 2 dell’Art. 35 ter dell’Ordinamento Penitenziario, per coloro che in costanza di detenzione lamentino il pregiudizio derivante da condizioni di carcerazione inumane in violazione dell’Art. 3 della Convenzione Europea non più attuali, perché rimosse, non risulta conforme, sotto il profilo logico-sistematico, alle finalità proprie delle disposizioni introdotte dal legislatore in materia di Ordinamento Penitenziario nel 2013 e 2014, per porre termine alle condizioni di espiazione delle pene detentive ritenute in contrasto con la Convenzione dei Diritti dell’Uomo secondo le indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (a partire dai casi Sulejmanovic e Torreggiani), per risarcire i pregiudizi derivanti da tali condizioni e, più in genere, per realizzare un sistema di tutela dei diritti dei soggetti ristretti con maggiori caratteristiche di effettività e tempestività rispetto a quello esistente, sia pure modulato ed applicato secondo i correttivi interventi della Corte Costituzionale e, in specie, della sentenza n. 26 del 1999.
La ratio complessiva delle modifiche, tra le quali la disciplina dei particolari rimedi risarcitori di cui all’Art. 35 ter dell’Ordinamento Penitenziario, va rintracciata – come già precedentemente indicato dalla Corte di Cassazione – nel “rafforzamento complessivo degli strumenti tesi alla riaffermazione della legalità della detenzione con estensione dei poteri di verifica e di intervento dell’Autorità Giurisdizionale”.
Per le ragioni esposte, i provvedimenti impugnati sono stati annullati senza rinvio e sono stati trasmessi ai competenti Magistrati di Sorveglianza di Cosenza e Catanzaro affinché le istanze-reclamo dei detenuti vengano trattate nel contraddittorio delle parti ai sensi dell’Art. 35 bis comma 1 dell’Ordinamento Penitenziario.
Cass. Pen. Sez. I, Sent. n. 873 del 2016 – Pres. Chieffi, Rel. Di Tomassi, Ric. Alvaro (clicca per leggere)
Cass. Pen. Sez. I, Sent. nr. 876 del 2016 – Pres. Chieffi, Rel. Di Tomassi, Ric. Ruffolo (clicca per leggere)