Pisa, l’ex Ministro Carrozza (Pd) visita il Carcere Don Bosco : “è una struttura inadeguata”


On. Maria Chiara Carrozza PDVisita in carcere a Pisa, nei giorni scorsi per la deputata del Pd ed ex Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, che ha pubblicato poi le sue riflessioni in un lungo post sul sito internet del Pd pisano. “Ho visitato – scrive Carrozza – la sezione femminile, maschile, penale e giudiziaria e ho potuto incontrare gli insegnanti volontari che insegnano ai detenuti”. Molti invece i problemi dell’edificio visto che, ha sottolineato la parlamentare, il Don Bosco “è una struttura inadeguata”.

“I locali – spiega Carrozza – avrebbero bisogno di una profonda ristrutturazione. L’impegno della direzione e del personale è tangibile, così come alcuni lavori eseguiti di recente, ma è chiaro che rimane una struttura inadeguata. A questo impegno andrebbero unite donazioni di privati che, tra l’altro, non mancherebbero neanche, ma queste operazioni sono amministrativamente e burocraticamente difficili e complesse.

È un settore nel quale intervenire perché la semplificazione sarebbe molto importante e sarebbe importante anche l’Agenda digitale, basti pensare che tutte le autorizzazioni passano per moduli cartacei”. Infine, gli spazi di svago: “Dalla ristrutturazione del campo di calcetto, alla donazione di attrezzature per la palestra, che potrebbe permettere ai detenuti di svolgere attività motorie e sportive, fino alla donazione di libri recenti e romanzi. Non mancano bei progetti, che sono fermi in attesa di finanziamento, come quello che sostiene il teatro in carcere. Qui c’è lavoro per tutti: per la politica locale e per il Governo, per chi vuole fare il volontario e per chi vuole fare donazioni. Pisa non si deve dimenticare di questo mondo”.

IL RACCONTO DELLA VISITA AL CARCERE DI PISA DELL’ON. CARROZZA

“Oggi ho visitato il carcere di Don Bosco a Pisa, ho incontrato il Direttore, il Comandante della Polizia Carceraria, e la Responsabile degli Educatori del Carcere. Con loro ho visitato il carcere femminile, maschile, penale e giudiziario. Ho potuto incontrare gli insegnanti volontari che insegnano ai detenuti, ho visto lezioni di geometria analitica, un laboratorio di pittura, lezioni di lingua e grammatica italiana ai cittadini non italiani (la maggioranza in carcere), una serra per giardinaggio, e ho incontrato i medici e terapisti del centro clinico e riabilitativo che operano nella struttura.
Avevo già visitato il carcere di Volterra da Ministro, in occasione della consegna dei diplomi, che ho effettuato personalmente nel 2013. Ogni volta si tratta di un’esperienza importante per noi parlamentari, perché ci permette di incontrare una realtà bisognosa di attenzione da parte del governo nazionale e locale.
La prima cosa che colpisce sono i locali, che avrebbero bisogno di una profonda ristrutturazione, nonostante l’impegno della direzione e del personale e lavori anche recenti, è chiaro che la struttura non è adeguata. Alcune celle hanno i servizi direttamente nello stesso locale dove si dorme.
La seconda cosa che colpisce, è che ci sarebbero anche privati intenzionati a fare donazioni per ristrutturazioni, ma questa cosa è amministrativamente e burocraticamente difficile e complessa. Ecco un settore dove dovremmo intervenire. Perché la semplificazione sarebbe importante anche in questo settore, e sarebbe importante anche l’Agenda Digitale… se penso che tutte le autorizzazioni passano per moduli cartacei, e diventano burocrazia… Sono rimasta impressionata dal lavoro degli insegnanti volontari, e delle scuole, in particolare a Pisa sono l’Istituto alberghiero e il Buonarroti che hanno rapporti con questo mondo. C’è molto da fare per le carceri: dalla ristrutturazione del campo di calcetto, alla donazione di attrezzature per la palestra, che potrebbe permettere ai detenuti di svolgere attività motorie e sportive, fino alla donazione di libri recenti e romanzi (non avanzi di scantinato, ma libri buoni e gradevoli da leggere). Ci sono dei bei progetti, che sono fermi in attesa di finanziamento, come quello che sostiene il teatro in carcere.
Infine vorrei dire che sono rimasta impressionata, perché c’è lavoro per tutti: per la politica e per il governo, per chi vuole fare il volontario e per chi vuole fare donazioni. Pisa non si deve dimenticare di questo mondo.
Perdonatemi questa descrizione forse un po’ ingenua,alcuni potranno dirmi che avrei dovuto sapere tutto già da tempo, ma questo non era il mio settore e mi sono avvicinata per mio interesse e curiosità, e soprattutto perché ho saputo delle gravi carenze di personale di polizia carceraria di cui ci sarebbe oggettivamente bisogno. Vorrei dare il mio supporto per portare l’attenzione su questo tema. Solo una percentuale bassa dei detenuti è di origine italiana, la maggioranza è straniera, e il carcere è un luogo di integrazione dove devono convivere etnie, religioni e popolazioni molto diverse da loro.
Infine vorrei ringraziare il Direttore e tutto il personale che mi ha accompagnato, ho ricevuto accoglienza e disponibilità.”

16 Novembre 2015

On. Maria Chiara CARROZZA, Deputato Partito Democratico

Salerno: Medico a giudizio per la morte del detenuto Tedesco. Prosciolti altri 5 Sanitari


Carcere di Fuorni SalernoImputazione coatta per il medico che era di turno quando morì Tedesco. Prosciolti tutti gli altri. Ci sarà un solo imputato per la morte del detenuto Carmine Tedesco, deceduto nel novembre del 2012 al “Ruggi” dopo due giorni di ricovero. Il giudice delle indagini preliminari Renata Sessa ha disposto l’imputazione coatta per il medico Immacolata Mauro, che era di turno in reparto quando avvenne la morte, e ha invece prosciolto gli altri cinque camici bianchi ancora coinvolti nell’inchiesta dopo che un’altra decina di posizioni era stata stralciata nei mesi scorsi.

Il sostituto procuratore Roberto Penna aveva chiesto l’archiviazione per tutti (difesi tra gli altri da Michele Tedesco e Nello Feleppa), dopo un supplemento di indagine e una consulenza medico legale che escludeva responsabilità mediche in una morte avvenuta per infarto.

La famiglia del 58enne di Montecorvino Rivella si era però opposta, presentando altre consulenze secondo cui il decesso si sarebbe potuto evitare se la patologia fosse stata riscontrata nelle prime ore di ricovero e l’intervento fosse stato tempestivo. Una ricostruzione condivisa solo in parte dal giudice, che ha ordinato al pm di procedere all’imputazione soltanto per il medico di guardia, a cui si rimprovera, “data la gravità del paziente”, di non averlo monitorato a dovere e di non essere accorsa subito quando un infermiere le segnalò che era caduto dal letto. L’ipotesi è che un soccorso immediato con un defibrillatore avrebbe potuto salvare il paziente. Scagionati invece i colleghi che avevano visitato Tedesco nelle ore precedenti.

Per il gip “i medici presenti quel pomeriggio intervennero, ma le condizioni del paziente non erano ancora tali da deporre per una sofferenza cardiaca in atto”. Prosciolti quindi Maria Teresa De Donato, Antonio Carrano, Alberto Clarizia, Giuseppina Plaitano e Nicola Narducci, quest’ultimo ritenuto “del tutto estraneo ai fatti perché non prestava servizio presso il reparto ove era ricoverato Tedesco”.

Il 58enne, sposato e padre di tre figli, era finito in cella nel marzo del 2012 e sarebbe dovuto uscirne il 29 dicembre, un mese e mezzo dopo la data della morte. Soffriva di diabete e l’11 novembre di due anni fa fu trasportato d’urgenza dal carcere all’ospedale per violenti dolori al torace e all’addome. L’autopsia avrebbe poi rivelato una cirrosi epatica, ma la morte avvenne – due giorni dopo il ricovero – per infarto del miocardio.

Il Tirreno, 19 novembre 2015

Bari: detenuto con problemi psichiatrici muore suicida. Si è impiccato durante la notte


1casa-circondariale-bariÈ deceduto per impiccamento il detenuto a regime psichiatrico che ha deciso di togliersi la vita in una delle celle del carcere del capoluogo barese con l’utilizzo di una cintura legata alle sbarre del bagno mentre il compagno si era appena addormentato. A scoprirlo è stato un agente insospettito dell’assenza nel proprio letto del detenuto mentre effettuava l’ennesimo giro di controllo. La Polizia penitenziaria alle 3 ha dato l’immediato allarme ma nulla si è potuto fare per medici e paramedici se non constatare il decesso del recluso.

La notizia giunge in una struttura sulla quale che da tempo il sindacato di coordinamento sindacale del penitenziario aveva richiamato l’attenzione delle istituzioni carcerarie. Basti pensare che dall’inizio dell’anno 2015 presso il penitenziario di Bari si sarebbero verificati almeno 22 tentativi di suicidio, tutti sventati grazie alla tempestività e alla professionalità della polizia penitenziaria, sebbene ampiamente carente nei servizi interni ed esterni.

Parma: Maltrattarono e pestarono un detenuto. Indagati due Agenti di Polizia Penitenziaria


Casa Circondariale 2Botte, umiliazioni e maltrattamenti a un detenuto: individuati dalla Procura i due presunti responsabili. Misura cautelare per uno di loro, che ha fatto parziali ammissioni.

Per tre giorni avrebbero sottoposto un detenuto a botte e pesanti umiliazioni, fino a fargli subire un duro pestaggio. Sono stati identificati dalla Procura i due agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di via Burla che si sarebbero macchiati dei reati di lesioni e maltrattamenti ai danni di un ingegnere italiano accusato di violenza sessuale su minore.

Entrambi sono indagati e per uno dei due il gip ha disposto la misura interdittiva della sospensione dal pubblico servizio per un anno. Il pm Giuseppe Amara, titolare del fascicolo d’inchiesta, aveva chiesto la custodia cautelare agli arresti domiciliari. I fatti erano stati resi noti da un servizio in esclusiva dell’Espresso uscito il mese scorso. Quanto denunciato del Garante dei detenuti del Comune di Parma ha trovato precisi riscontri nell’attività d’indagine affidata dal sostituto procuratore alla Squadra mobile e alla polizia giudiziaria del corpo di polizia penitenziaria. Tra il 4 e il 6 aprile di quest’anno il detenuto è stato picchiato duramente, costretto a rimanere in ginocchio in cella per ore e lasciato senza cena per tre giorni.

Una “punizione” ulteriore per un reato considerato infamante, gli abusi sessuali su minori. Dopo il pestaggio, costatogli grossi lividi alla schiena e al volto, l’uomo è stato trasferito nel carcere di Piacenza. Il Garante ha fatto partire un esposto e la Procura di Parma ha avviato un’indagine.

I due agenti individuati come i responsabili delle violenze sono stati interrogati nei giorni scorsi dal pm Amara. Uno dei due ha fatto parziali ammissioni in particolare sulle lesioni, cercando di ridimensionare l’accaduto. La posizione dell’altro è ancora sottoposta ad accertamenti. Entrambi rimangono iscritti nel registro degli indagati per i reati di lesioni e maltrattamenti. Come detto il pm aveva chiesto i domiciliari per l’agente che ha ammesso i fatti, un 40enne italiano. Il gip ha ritenuto sufficiente la sospensione dal servizio.

La Repubblica, 21 novembre 2015

Sant’Angelo dei Lombardi (Av): il Direttore “in Carcere molti buoni, i cattivi veri fuori”


CC Sant'Angelo dei LombardiIntervista a Massimiliano Forgione, Direttore della Casa Circondariale di Sant’Angelo dei Lombardi (Av): “chi lavora può essere reinserito”. In questo brutto tempo c’è un’altra generazione di “cattivi” da tenere a bada, una tribù interna a ogni società.

Massimiliano Forgione dirige la casa di reclusione di Sant’Angelo dei Lombardi (Av), un carcere modello per via di una strategia che fonda sul lavoro la responsabilità del detenuto e la sua rieducazione.

Lei, direttore, quanti minuti ci impiega per capire se l’ospite è un cattivo vero o un povero cristo?

“Basta davvero poco. Non solo perché ogni ospite è accompagnato dal fascicolo giudiziario, la sua biografia. Il suo comportamento e la sua pericolosità si misurano nel giro di poche ore”.

Componga un catalogo dei cattivi.

“Quelli di primo livello, il più basso, sono coloro che alla vista di una cella danno in escandescenze. La vita da reclusi è sottoposta a delle regole, e non potrebbe essere diversamente. Loro sistematicamente le rifiutano. Non vogliono rifarsi il letto, rifiutano di tornare in cella, provocano liti o solo fanno baccano, disturbano i coinquilini. Sono boriosi, vivono nel mito del guappo. Ma non sono pericolosi”.

Il cattivo cattivo, invece?

“È quello che adotta un comportamento formalmente ineccepibile ma instaura una scala gerarchica immediatamente visibile. Ha chi gli sistema il letto, chi gli cura il guardaroba, chi seleziona per lui il meglio della cena. È un capo, e lo si vede dalla biancheria che indossa, dal boxer di seta, dai pacchi alimentari che custodiscono profumi di pregio, maglioni di cachemire”.

Il cattivo si presenta al carcere nella sua veste di dominante.

“Un giorno ero a Spoleto, visitai la cella di Pippo Calò che mi disse: in Italia ci sono solo due Pippo. Io e Pippo Baudo. Si sentiva un re, e lo dava a vedere. Se parliamo di un dirigente intermedio della catena criminale, egli rifiuterà di fare i lavori più umili (spazzare per esempio) e attenderà che gli venga affidato un incarico all’altezza della sua fama. Lo spesino, per esempio. Lo spesino è colui che raccoglie le richieste dei singoli detenuti di un sopravvitto. Ciascuno può avanzare richieste particolari su cibi e vestiario, naturalmente paga lui”.

E i soldi chi glieli dà?

“Escludendo chi è ricco di suo, ricordo che i detenuti hanno la possibilità di lavorare. Produciamo un ottimo vino, facciamo miele, abbiamo una tipografia, una carrozzeria, una stireria”.

Quanto ricava dal suo lavoro?

“Circa 700 euro mensili al netto di trattenute che l’amministrazione fa per il costo del vitto (3 euro al giorno) e del l’accantonamento di un quinto del salario (circa 120 euro al mese) come fondo di reinserimento. Alla sua liberazione si troverà un gruzzoletto per fare fronte alle prime necessità”.

Il carcere che descrive sembra un soggiorno civile. Ma le carceri sono spesso luoghi in cui la ferocia si manifesta quotidianamente.

“Parlo del mio carcere, che ha dimensioni contenute e non ospita detenuti condannati per delitti di particolare pericolosità. Certo che la vita da noi è diversa da quella di Poggioreale o di San Vittore. Sappia però che negli ultimi anni la popolazione carceraria è diminuita di quasi 20 mila unità, finalmente stiamo andando verso un rapporto equilibrato tra il numero dei reclusi e i metri quadrati a loro disposizione”.

Negli ultimi anni i cattivi sono divenuti più buoni?

“La legislazione è cambiata. Chi entrava ora non mette piede”.

Cattivo a piede libero.

“Molti di quelli che soggiornavano nelle carceri erano persone disperate, ai margini della società. Non pericolosi gangster ma delinquenti di piccolo calibro”.

E i buoni? Anche i buoni frequentano le carceri?

“Anche loro. È gente che non sa far di conto con la sua vita, che dimentica di impugnare una sentenza, che per disgrazia o povertà ha un avvocato approssimativo. È gente superficiale o solo piegata dalla crisi economica”.

I figli della crisi.

“Mi sono ritrovato nella sala accettazioni un piccolo imprenditore che è finito dentro per il mancato versamento dei contributi previdenziali ai suoi dipendenti, pensi un po’. Per far fronte alla crisi per anni ha scelto di pagare il netto. È stato denunciato. E lui quasi non se ne è accorto. Ha lasciato che la condanna in primo grado, modesta nell’entità (otto mesi di reclusione), venisse confermata in appello. Non ha richiesto la misura alternativa al carcere dimenticando che aveva già usufruito della sospensione condizionale della pena intervenuta anni prima per altri reati di poco conto. Così una mattina i carabinieri hanno bussato alla porta e lo hanno portato qui. Ero disperato io per lui”.

La colpa di essere un debole.

“Abbiamo cercato di fargli trascorrere quel tempo, per fortuna pochi mesi, nel modo più accettabile”.

Il carcere redime?

“Se le dicessi sì sarei un bugiardo. Troppi ritornano. Ma anche se le opponessi un no farei un danno alla verità. C’è chi capisce”.

Il cattivo capisce?

“A volte anche il cattivo capisce che gli conviene essere buono”.

Antonello Caporale

Il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2015

Pordenone : “Mio figlio è morto da più di tre mesi, chiedo di sapere la verità”


Carcere di PordenoneLa madre di Stefano Borriello, 29enne di Portogruaro, vuole chiarezza. Antigone: “Non si sa ancora perché il giovane detenuto sia morto”. C’è una madre che chiede chiarezza da più di tre mesi, ma per ora la morte del figlio è sempre contraddistinta da contorni poco nitidi.

Aveva fatto molto rumore il decesso di Stefano Borriello, un 29enne portogruarese che il 7 agosto scorso venne trasportato dal carcere di Pordenone, in condizioni ritenute molto gravi, all’ospedale della città. Era detenuto nella casa circondariale da un paio di mesi per sospetta rapina quando verso le 20, mentre si trovava in cella assieme ad altre tre persone, avrebbe subito un malore. È stato in quel momento che è stato richiesto l’intervento dei sanitari del 118. Poco dopo il ricovero nella struttura sanitaria, però, sopravviene il decesso “per arresto cardiaco”.

Una tragica vicenda su cui la madre del ragazzo ha chiesto subito di far luce. Perché ha il diritto di sapere perché suo figlio non c’è più. “Secondo lei Stefano è sempre stato in ottime condizioni di salute – dichiara l’associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei carcerati – la Procura ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo”. Ora, a più di tre mesi di distanza dalla morte del 29enne, Simona Filippi, il difensore civico di Antigone sottolinea come ancora non si siano fatti passi avanti nell’indagine: “Sembra che Stefano stesse male già da qualche giorno prima della morte – dichiara Filippi – i periti nominati dalla Procura per riferire in merito alle ‘cause della mortè e a ‘eventuali lesioni interne o esternè, ancora non hanno consegnato la relazione. Questo è un dolore che si rinnova per i genitori”.

Secondo l’associazione, i cui osservatori avrebbero visitato la casa circondariale per un sopralluogo, “è emerso che all’interno del carcere di Pordenone il servizio medico non è garantito 24 ore su 24 ma soltanto fino alle 21, che esiste un’unica infermeria per tutto il carcere e che non ci sono defibrillatori”. Una vicenda, quella di Stefano Borriello, che ancora non ha avuto una conclusione certa. E che quindi per forza di cose induce la madre del giovane a cercare ancora la verità: “Chiedo che le indagini arrivino a risultati certi rispetto a eventuali responsabilità e che da subito vengano finalmente rese note le cause cliniche che hanno portato alla morte di Stefano”, conclude il difensore civico Filippi.

veneziatoday.it, 21 novembre 2015

Carceri, Consolo (Capo Dap), 200 “Osservati Speciali” tra i detenuti islamici in Italia


Santi Consolo Capo DAPIl piombo a Parigi. L’eco degli applausi, come hanno riferito alcune fonti, di un gruppo di qaedisti detenuti nel carcere calabrese di Rossano. E, probabilmente, l’esultanza complice e silenziosa in centinaia di occhi dietro altre sbarre. Prima che Parigi fosse squarciata dal terrore venerdì 13 novembre, erano già “oltre duecento su 10 mila e 400 detenuti di fede islamica, gli “osservati speciali” negli istituti di pena italiani. Aumenteranno certamente nelle prossime settimane per il più imponente impegno dell’amministrazione penitenziaria e per i controlli più stringenti”. Lo dice Santi Consolo, capo del Dap, a corollario delle proprie dichiarazioni a caldo sul rinnovato impegno nel disinnesco di possibili polveriere islamiste dentro le carceri.

Si tratta, spiega Consolo, di “persone sottoposte a particolare vigilanza in armonia con la posizione soggettiva dei singoli condannati e il rispetto della loro dignità e, nei casi più critici, a monitoraggio costante”. Insomma, gente in potenziale predicato di fiancheggiamento, adesione o proselitismo alla lotta jihadista. Con un poscritto netto: “C’è bisogno, subito, di nuove forze. Non soltanto agenti, ma pure interpreti, mediatori culturali, tecnici informatici”.

Dottor Consolo, non è notizia di giornata che la jihad trovi supporter nelle carceri. In concreto, come prevenire? Come soffocare proselitismo, adesione, al limite associazionismo occulto fra potenziali jihadisti?

“La premessa è, appunto, d’obbligo: non scopriamo adesso un fenomeno che da mesi teniamo sotto osservazione. Agenti e personale amministrativo hanno seguito e seguono corsi di formazione specifici, tesi al riconoscimento e al trattamento di atteggiamenti capaci di denotare simpatia e, per gradi, favoreggiamento e adesione all’islamismo radicale. Giusto andare sul concreto: dalla foggia della barba che qualcuno si decida a lasciar crescere, fino al volantino eventualmente affisso in cella o corridoio. Individuato il comportamento, si agisce per gradi, dalla verifica all’osservazione, alla segnalazione, fino al monitoraggio. Forniamo costantemente i nostri dati all’organo interforze Casa, il Comitato per l’analisi della sicurezza e antiterrorismo”.

I detenuti osservati vengono sottoposti a regimi differenziati? Come si fa a evitare contatti e incontri?

“Compatibilmente con il regime del trattamento deciso caso per caso e nel rispetto della dignità della persona, si può arrivare a un regime di alta sorveglianza che limiti la comunicazione fra i detenuti. Innanzitutto, con passeggi e “aree trattamentali” separate. Senza trascurare l’aspetto del culto: i detenuti di fede islamica sono circa 10 mila e 400, dei quali fra 7 e 8 mila praticanti. Non avrebbe senso, anzi sarebbe controproducente, limitarne la libertà religiosa.

In questa direzione va il protocollo firmato con l’Unione delle comunità islamiche italiane che incentiva l’accesso di ministri di culto e mediatori culturali dentro le carceri. La pratica di culto corretta serve a mettere in luce ciò che corretto, eventualmente, non è. Chi è detenuto è già fragile, spesso, sul piano psicologico. Si può far molto per scoraggiare il condizionamento dei “male inclinati”, prevenendone scelte sbagliate. Ma non basta ancora, abbiamo bisogno di forze fresche e specializzate”.

Vuoti di organico nell’amministrazione penitenziaria, dunque. Basta invocare più agenti?

“Non si tratta soltanto di reclutare nuove risorse di polizia penitenziaria, per quanto un massiccio innesto sia ormai improrogabile. Ho inoltrato al governo una proposta di emendamento alla legge di stabilità per l’assunzione di 800 agenti. Confido nella sensibilità delle forze politiche perché non incontri ostacoli, non ho paura di riuscire retorico se affermo che i risultati nella prevenzione della formazione di sacche islamiste negli istituti di pena, sono frutto dell’impegno anche oltre le proprie forze di polizia penitenziaria e personale amministrativo. Abbiamo bisogno anche di interpreti, mediatori culturali, tecnici informatici. Ho fatto prima l’esempio della barba lunga. Che fare davanti a uno scritto in arabo appeso al muro? Benissimo, se è un passo del Corano. Molto meno bene se inneggia alla guerra santa. Ma ci vuole chi l’arabo lo legge e lo intende”.

Il Dap ha “aperto” all’utilizzo dei computer e del web in cella. Ci illustra criteri e modalità di prevenzione? Non dimentichiamo che a margine degli attacchi di Parigi, gli inquirenti hanno scoperto persino comunicazioni fra terroristi utilizzando le chat di play station e videogame…

“L’uso del computer viene consentito in relazione a casi specifici, e nella misura richiesta dalle esigenze e dalle inclinazioni di studio del detenuto. La macchina viene tarata e resa inaccessibile a chiavette e altri dispositivi. Il detenuto vuole laurearsi o diplomarsi? Gli viene aperto l’accesso al sito dell’istituzione scolastica o universitaria. Non corriamo rischi eccessivi da questo punto di vista. Ma è vero: le maglie digitali sono spesso aperte in modo imprevedibile. Perciò insisto: c’è bisogno di tutte le professionalità, dagli agenti ai tecnici informatici specializzati”.

Giornale di Sicilia, 21 novembre 2015