Il Dap chiude il Carcere di Savona. Protesta il Sindacato della Polizia Penitenziaria


CC Savona Sant'AgostinoL’informativa indirizzata al presidente del Tribunale e al Procuratore della Repubblica, firmata dal Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo, è del 7 ottobre scorso, e non lascia spazio a diverse interpretazioni. Il carcere di Sant’Agostino chiude. E forse molto presto. Si attende solo la firma del ministro della Giustizia.

Le condizioni fatiscenti, di degrado dell’edificio, le celle sovraffollate che non “consentono – si legge nel documento – ai detenuti di espiare la pena in modo dignitoso” hanno determinato l’inserimento del carcere di Savona nel piano di dismissioni che interessa complessivamente in tutta Italia una ventina di istituti di pena. In attesa dunque della costruzione di un nuovo penitenziario (come è specificato nell’informativa), i detenuti saranno trasferiti in altre strutture, a Marassi ad esempio, ma non solo lì. Stando a indiscrezioni, infatti, i primi dodici ospiti dovrebbe essere spostati già questa settimana a Sanremo. Le indiscrezioni di quella che pare un’imminente chiusura hanno scatenato la protesta del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il cui segretario regionale Michele Lorenzo, dice senza mezzi termini “no alla chiusura del Sant’Agostino, prima di costruire il nuovo carcere”. E attacca la politica: “che non è stata capace nemmeno di trovare un sito dove costruirlo”.

Sappe: no alla chiusura del carcere prima di aver costruito quello nuovo

“Il carcere di Savona è il fallimento della politica che non è stata capace nemmeno di trovare un sito dove costruirlo. Ben venga in Valbormida allora”. È data per certa le indiscrezioni che ormai da mesi circolavano sulla chiusura della C.C. di Savona alle quali mai nessuna risposta è mai pervenuta alle nostre richieste di conoscere quali determinazioni volessero adottare i vertici del nostro dipartimento. Alla fine la chiusura è stata ufficializzata dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo, prima con i Provveditori in una riunione del 1° ottobre scorso ed in seguito mediante l’emanazione di alcuni atti ufficiali diretti a varie autorità connessi con sistema carcere. Nessuna comunicazione è però stata indirizzata alle OO.SS. di categoria.

Spiegare cosa significa la chiusura di un istituto penitenziario in una città quale può essere Savona, potrebbe sembrare per certi versi assurdo, come a significare offendere la capacità organizzativa del proponente. Ma se siamo arrivati a ciò allora sicuramente chi ha proposto all’On. Ministro della Giustizia la chiusura di Savona, non ha ben chiaro la ricaduta sul territorio. Vorrei lasciare in ultima analisi la questione del personale di Polizia Penitenziaria che per questa O.S. è l’aspetto più importante. Una città sede di procura, tribunale, prefettura, questura, comandi provinciali di tutte le forze di Polizia dello Stato e non, come può fare a meno di un carcere? L’assenza del carcere connette una serie di problematiche:

1. la forza di polizia che effettua un arresto deve accompagnare il soggetto o a Genova marassi o a Imperia, quindi maggiore impegno in termini di tempo e spese connesse.

2. Questo determinerebbe un ulteriore carico su questi istituti che sono già penalizzati per l’elevata presenza di detenuti e movimenti connessi.

3. L’avvocato che deve effettuare un incontro per attività, dovrà recarsi in altro istituto e questo è un disagio sotto tutti gli aspetti.

4. L’attività giudiziaria verrebbe rallentata, in quanto per le convalide o interrogatori bisogna recarsi fuori comune con aggravio di tempi e costi.

5. Ripercussione sui detenuti e famigliari allorquando questi devono effettuare i colloqui o quanto altro connesso alla vita sociale del detenuto.

6. Sulla Polizia Penitenziaria ricadrà il maggiore disagio. Premesso che nessuna richiesta di incontro sull’argomento chiusura carcere è mai pervenuta a questa O.S. quindi non si conoscono tempi e modalità attuative la chiusura, questa O.S. in attesa dell’incontro sulla mobilità del personale di polizia evidenziando e ponendo come condizione che tale mobilità non dipende dalla loro volontà sarà interesse dell’amministrazione non determinare ulteriori disagi al personale del Corpo, questa o.s. propone.

a) che una parte di essi, in attesa della totale dismissione dell’istituto, resti a presidio dell’istituto

b) che un’aliquota venga inviata presso la scuola di Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte quale sede più vicina e territorialmente della stessa provincia.

c) prevedere un’aliquota presso il Tribunale di Savona utile sia come supporto logistico alle varie scorte provenienti da altri istituti ma anche come forza di Polizia disponibile per esigenze di giustizia.

d) In ultima ipotesi quella di un utilizzo sul territorio cittadino considerato che la Polizia Penitenziaria, sino a smentita, è una Forza di Polizia prevista dall’art.16 l.121\81.

e) Rispettare la volontà di coloro che, per loro scelta, optino per altre sedi.

f) Garantire la costruzione del nuovo istituto con la procedura d’urgenza.

Quindi se l’intenzione del Ministro è quella di chiudere l’istituto prima della costruzione del nuovo, lo faccia pure ma rispetti la Polizia Penitenziaria che sino ad oggi ha fatto bene il loro lavoro in quel luogo che oggi è dichiarato ufficialmente vetusto ossia inadeguato, riconoscendo a tutto il personale che ha costantemente operato in quell’ambiente, le ripercussioni specialmente sul proprio stato di salute. Su tale argomento questa O.S. non transige. Aspettiamo fiduciosi una risposta ovvero la decisione che il carcere di Savona chiuderà solo dopo l’apertura di quello nuovo.

L’Unione delle Camere Penali Italiane all’attacco: «Riforma degli Opg mai partita»


OPGAd oltre sei mesi dalla formale chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), l’Unione Camere Penali Italiane (associazioni senza scopo di lucro i cui membri sono avvocati che prestano patrocinio nell’ambito dei procedimenti penali) lancia l’allarme per una situazione che rischia drammaticamente di peggiorare «travolgendo i principi di diritto e di civiltà che sono alla base della riforma». Il tema è la “falsa partenza” della legge che doveva abolire gli Opg sostituendoli con Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), piccole unità da 20 degenti. E per le Camere penali proprio Castiglione ne è l’esempio.

«Per rendersi conto delle effettive condizioni in cui gli internati sono detenuti – spiega il presidente dell’Osservatorio nazionale sul carcere dell’Unione camere penali, l’avvocato Riccardo Polidoro – si pensi che a Castiglione delle Stiviere prima Opg, oggi Rems si era ipotizzato di costituire otto Rems, ciascuna per 20 unità. Ma la trasformazione, di fatto, non è mai veramente decollata perché si è arrivati a toccare ben 270 presenze impedendo la chiusura dell’Opg. La struttura di Castiglione, alla quale è stata solo cambiata la targa all’ingresso, da Opg a Rems, è diventata una sorta di “residenza” nazionale, ospitando soggetti provenienti da tutta Italia. Inoltre per noi non è auspicabile che le 8 strutture nascano nello stesso posto dell’Opg perché lo spirito della legge era creare piccole residenze autonome ed indipendenti».

Una situazione di sovraffollamento più volte segnalata dalla stessa direzione dell’Opg e dall’ospedale Poma che alcuni mesi fa ha inviato una nota preoccupata a ministero e procura, segnalando l’impossibilità di accogliere altri pazienti all’Opg.

«Al 12 ottobre 2015, vi sono ancora 220 internati negli Opg in via di chiusura – prosegue Polidoro –e le Regioni, quelle che hanno già le Rems hanno comunicato che non vi sono più posti per accogliere altre persone nelle loro strutture, già sovraffollate. La legge che disponeva la chiusura degli Opg allo scorso 31 marzo è, pertanto, tradita ed occorre intervenire subito. Le Regioni sono in gran parte inadempienti nonostante i rinvii che vi sono stati in passato per l’entrata in vigore della legge. Noi abbiamo chiesto che il governo faccia con solerzia la propria parte, destinando le risorse necessarie alla trasformazione e facendo scattare subito il commissariamento».

Francesco Romani

http://www.gazzettadimantova.gelocal.it

Gli Opg sono chiusi per legge ma ancora sono pieni di internati. Regioni inadempienti


OPG Castiglione delle StiviereRitardi. Maltrattamenti. Polemiche. Una legge chiude gli Ospedali psichiatrici, ma nel 2015 in Italia ci sono ancora internati. Colpe e numeri di una impasse. Fu una rivoluzione. Avvenne con l’entrata in vigore alla fine degli anni 70 della Legge Basaglia, nota come legge 180/1978, in onore a Franco Basaglia, medico promotore dell’iniziativa.

Si cercò, grazie agli studi del dottor Thomas Szasz, di superare non solo la logica manicomiale, ma di imporre la chiusura dei manicomi, regolamentando invece il trattamento sanitario obbligatorio. Lo scopo era istituire i servizi di igiene mentale pubblici con l’intento non di rinchiudere chi era afflitto da gravi patologie psichiatriche, ma puntando al bisogno di risocializzare i pazienti. Se la situazione in quell’ambito sembra notevolmente migliorata (i 76 istituti psichiatrici sparsi nel territorio nazionale sono stati sostituiti da numerose strutture residenziali, servizi psichiatrici diagnostici e cura, centri di salute mentale e altre strutture riabilitative) diverso era lo scenario nei casi in cui i malati si macchiavano di delitti e crimini, venendo giudicati pericolosi per sé e per la comunità.

Se prima furono create le case di reclusione, che sostituivano i manicomi criminali, con la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975 entrarono a far parte del sistema penale italiano gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Le cose, però, non erano molto cambiate. Si registravano dei casi in cui prevaleva la logica detentiva, non quella sanitaria. L’iter iniziò nel 2008 col decreto ministeriale di riordino della sanità penitenziaria, e proseguì nel 2010 con l’istituzione di una Commissione d’inchiesta istituita dal Senato presieduta da Ignazio Marino per superare gli Opg.

La Commissione poi, in un’indagine condotta sugli ospedali di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Aversa (Ce), Napoli, Montelupo Fiorentino (Fi), Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere, accompagnata da un video girato dalla troupe di RaiTre, trasmessa durante Presa Diretta, documentò che fra diversi Opg e i vecchi manicomi criminali non c’erano molte differenze. Strutture fatiscenti, lenzuola sporche, muri scrostati dall’umidità, muffa, materassi accatastati, immondizia in giro, persone lasciate senza cure e costrette a subire condizioni disumane, totalmente antigeniche, con i ratti che uscivano dai gabinetti, come visto nell’Opg di Aversa. Con una forte scarsità di personale (medici che nelle singole strutture erano presenti solo quattro ore a settimana, e che dovevano curare 300 pazienti) e spazi ristretti, con tre metri quadrati a malato, in violazione delle norme istituite dalla Commissione europea per la prevenzione della tortura.

L’inchiesta aveva poi documentato il caso di una persona finita dentro 25 anni prima “per essersi travestito da donna e aver spaventato i bambini di una scuola”.

Chiusura definitiva sempre rimandata. Una situazione insostenibile. Si valutava quindi il possibile intervento governativo e il relativo commissariamento, come suggerito dal comitato Stop Opg – costituito da sigle come il Forum salute mentale, Cgil, Ristretti Orizzonti, Fondazione Basaglia, Arci, A buon diritto eccetera.

La chiusura è stata rimandata tre volte in due anni (non va dimenticato che si sarebbero dovute superare queste strutture già nel 2013: una prima proposta di legge fu fatta nel febbraio 2012, che ne fissava l’addio al marzo successivo, prorogata al marzo 2015 dalla legge 81/2014).

La chiusura definitiva degli Opg, si diceva, dovrebbe risultare come una data storica, simile al 1978, ma è veramente così? Com’è la situazione odierna?

La legge presenta degli elementi di discontinuità: la gestione di questi soggetti (i “rei folli”) sarebbero a carico dei Dipartimenti di salute mentale del Sistema sanitario nazionale, legati al territorio, ma rilegati in strutture alternative che sostituiscono così gli Opg, le Rems – Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, strutture molto più piccole, massimo con 20 posti, dove dovrebbero essere mandati quei soggetti ritenuti non dimissibili dagli Opg (una ristretta minoranza degli attuali internati che, spiega Cesare Bondioli, responsabile carceri di Psichiatria democratica, erano circa 700 nell’ultima rilevazione ministeriale, dei quali oltre la metà dimissibili) o anche nuovi, per i quali il giudice abbia disposto una misura di sicurezza detentiva.

Le Rems dovrebbero solo attuare la gestione sanitaria degli ospitati, visto che “l’attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, ove necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati” sarebbe stata svolta “nel limite delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. La legge ha poi previsto, una volte per tutte, l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in Opg o in una Casa di cura e custodia solo in via sussidiaria e residuale, qualora risulti inidonea qualsiasi altra misura, nonché una serie di corsi di formazione per gli operatori del settore, ponendo fine al cosiddetto “ergastolo bianco”, dato che le misure di sicurezza non devono superare la pena detentiva massima per il reato commesso. Ciò dovrebbe permettere una gestione più sostenibile dei pazienti.

Legge ancora oggi di difficile attuazione. Questo era quanto si sapeva a marzo 2015. Perché in data 22 giugno 2015, a tre mesi dalla chiusura ufficiale degli Opg, c’erano 341 persone internate in tutta Italia, come riferiva il sottosegretario Vito De Filippo alla Commissione igiene e sanità del Senato. Si contavano 708 pazienti nei vari Opg nel mese di marzo, quando è stata predisposta la chiusura di queste strutture.

La legge “non sembra ancora oggi di facile attuazione” perché necessita di “una maturazione delle diverse istituzioni coinvolte”, mentre l’organismo di coordinamento, che doveva cessare di agire il primo di aprile, continuava a riunirsi ogni 15 giorni per controllare l’attività degli Opg. Ci sono stati dei trasferimenti, tutti individuali, per “evitare traumi e contenere al massimo i possibili disagi per persone dal fragile equilibrio psicofisico, accompagnati dalla massima attenzione al monitoraggio delle condizioni cliniche”, mentre le Rems attivate non erano sufficientemente adeguate per sostituire le precedenti strutture. Secondo quanto detto dal Dap le Rems di Pisticci (Basilicata), di Pontecorvo (Lazio), di Bologna e Parma (Emilia Romagna) hanno già raggiunto la capienza massima, mentre quella provvisorie di Castiglione delle Stiviere, per i pazienti residenti in Lombardia e della Liguria, accoglieva a giugno 230 pazienti pur avendo solo 160 posti letto, dei quali 140 residenti in Lombardia e Liguria e 19 senza fissa dimora.

I restanti 71 pazienti venivano dalla Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Molise, Piemonte (43 uomini e 2 donne), Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria e Veneto. La Regione Lombardia ha comunicato che la struttura non accetterà pazienti, mentre sarà prevista una Rems a Limbiate (Monza e Brianza), con 40 posti letto. Questo fino a giugno. In base al sito Regioni.it, in data 18 settembre i numeri emersi durante l’audizione svolta in Senato in Commissione sanità, di Santi Consolo, presidente del Dap, indicano un calo di 226 i pazienti ospitati nei cinque Opg di Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino).

Sono emersi però ancora dei ritardi: si vedano le strutture regionali di Toscana e Umbria, dove la data di attivazione della residenza Padiglione Morel, 22 posti letto, ha sforato il termine previsto del primo agosto e, presumibilmente, è destinata a essere aperta tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre.

Veniva già segnalato ad aprile dal responsabile di Psichiatria democratica Bondioli come un caso palese di “inadempienza”, dato che la chiusura dell’Opg di Montelupo è stata rallentata per i molti tentennamenti dalla Regione, portando a una soluzione inusitata: la delibera di trasferimento in blocco della maggioranza degli internati nell’Istituto “Mario Gozzini” (noto come Solliccianino), all’interno di un carcere che non cesserà, anche con la presenza dei nuovi arrivati, di mantenere le sue funzioni penitenziarie.

Aperture e attivazioni posticipate a fine 2015. Ritardano le Rems definitive di San Nicola Baronia e Calvi Risolta in Campania, entrambe con 20 posti, termine di capienza per legge, che dovevano aprire nell’estate del 2015, ma l’apertura è stata posticipata in autunno. Incerto il caso dell’Abruzzo e Molise, dove è in corso un ricorso del Tar sulla realizzazione della struttura, e della Rems a Spinazzola, in Puglia, la cui data di attivazione era il primo ottobre. Idem per quella Grugliasco, in Piemonte, nel Torinese, che dovrebbe aprire entro dicembre. La Regione Lombardia, invece, ha presentato un sistema che comprende anche la Val d’Aosta: è il più vasto d’Italia, con 160 posti letto ed è stato avviato in tempo, il primo aprile, stipulando convenzioni pure con la Liguria e il Veneto per 10 posti letto.

Le vecchie inadempienze, frutto anche di un superamento di sistema gestito in maniera eccessivamente celere, erano quindi sia colpa dell’operato delle Regioni, sia della magistratura, dato che continua a inviare sollecitazioni anche dopo l’entrata in vigore della legge 81/2014 che dice che l’ingresso in una Rems debba essere sempre e comunque considerato come l’ultima ratio. Infatti, il sottosegretario De Filippo ha spiegato che è “urgente, a tale riguardo, prendere delle iniziative di concerto con la magistratura inquirente: la magistratura di sorveglianza si è detta disponibile a favorire una tale interlocuzione finalizzata all’adozione delle misure alternative prescritte dalla legge n. 81 del 2014”.

Gli effetti di questa legge avranno ripercussioni pure sulle carceri, dato che i detenuti un tempo inviati negli Opg per il periodo canonico di osservazione di 30 giorni, adesso andranno nelle sezioni psichiatriche nei penitenziari, non migliorando senz’altro neppure la situazione di tali strutture, dove secondo dati del 2013, i disturbi mentali riguarderebbero circa il 40% dei detenuti, cosa del resto condannata dalla Corte europea dei diritti umani.

Matteo Luca Andriola

lettera43.it, 26 ottobre 2015