Esseri umani. Anche se detenuti. Perché espiare una colpa dietro le sbarre non significa non avere più diritti. Non significa non essere più uomini. È un grido di dolore quello che arriva da contrada Castelluccio. Un grido che le famiglie e quanti devono scontare la loro condanna a Vibo Valentia hanno voluto portare fuori da quelle mura.
Perché ci sono storie di sofferenza, storie di dolore. Sanno bene di avere sbagliato e sanno per questo di non potere godere della loro libertà. Ma il carcere deve rieducare, non solo punire. Il carcere deve essere il percorso che accompagna verso una nuova consapevolezza.
Deve o, forse, dovrebbe. Perché quello che è stato denunciato questa mattina è tutta un’altra storia. Di un’umanità dimenticata.
Una situazione ormai al limite, dove «la dignità di ogni recluso viene sistematicamente calpestata». Diverse le storie che sono state raccontate. Attraverso missive scritte da chi è dietro le sbarre e in questi anni ha dovuto constatare che nella provincia non ci sono «associazioni o organizzazioni che si occupano dei problemi e dei disagi dei detenuti». A raccontarlo un detenuto. Che sta espiando la sua pena. Un uomo affetto anche da una grave patologia che non ha avuto accesso alle cure. Un uomo che non è più autosufficiente ma che non può avere neanche un piantone.
Non può averlo. Perché in carcere pagano i detenuti e pagano anche gli agenti della Polizia penitenziaria. Poco personale che deve fare fronte a tutte le difficoltà.
Diritti anche in questo caso, che vengono meno.
Cosi come in quelle celle, dove ci sono tre detenuti, e dove hanno spiegato «c’è l’acqua calda per 30 minuti al giorno». E non hanno tavoli e sedie nelle salette, così come le stesse «sono inagibili quando piove, e roventi in caso di sole». Non pensano, poi, di chiedere la “luna” quando spiegano che nessun tipo di attività può essere svolta, «la giornata – hanno sottolineato – si svolge tra cella, passeggi e cella, così come – hanno aggiunto – malgrado ci sono due biblioteche è praticamente impossibile accedere ai libri e la Santa Messa viene celebrata una volta al mese se non ogni due mesi». Particolari questi che possono sembrare di poco conto. Se non si pensasse a quel ruolo rieducativo per cui il carcere è nato. Affinché si cambi.
Ma non è cambiamento quello che per gli stessi può nascere quando «i detenuti dopo aver preso un rapporto disciplinare vengono condotti in isolamento in celle lisce solo con gli slip senza che nemmeno abbiano l’occorrente per l’igiene personale». Né un «materasso, né un cuscino, né una coperta o un lenzuolo». Situazioni al limite quelle denunciate. Situazioni che conducono dentro un mondo che fa paura. La loro verità, la loro versione. Ma su cui occorre fare chiarezza.
Perché il carcere è altro. «E non è giusto – hanno stigmatizzato – che se un detenuto fa la doccia perde l’ora di socialità, o che le salette nelle sezioni siano sprovviste di tutto». E ancora: «Non è giusto non essere chiamati se si è fatta la domanda per la visita medica o non essere chiamati perché in quel momento il detenuto era fuori per l’ora d’aria».
E così anche sulla spesa personale, a quanti «impongono di mangiare quello che viene cucinato dentro la cucina della struttura penitenziaria». Diritti, su questi alcuni detenuti hanno inteso richiamare l’attenzione. Per loro e per i loro familiari che «per un colloquio visivo, per un’ora perdono 3 ore di colloquio, o che non hanno diritto a lasciare cibo per i propri congiunti». Tante storie, più sfumature. Anche dolorose. Come quanto sarebbe accaduto, in base a quanto denunciato, ad un «detenuto di 22 anni che ha tentato – hanno segnalato – di tagliarsi le vene e non è stato nemmeno avvisato il magistrato di sorveglianza di turno, cosi che è stato nell’immediatezza trasferito e tutto è stato messo a tacere». Storie di carcere. Di detenuti e diritti. Nel 2015.
Su cui fare chiarezza, certamente. Ma che meritano attenzione.
http://www.21righe.it – 01 Ottobre 2015
Ma è possibile? Come si può fare perché tutti sappiano ciò che avviene nelle carceri italiane con gli ordini dei vari direttori e il permesso del ministro? Ma è una boutade Emilio, quasi quasi non ci credo poiché sembra siamo tornati nel medio evo. Dimmi che è uno scherzo!
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è ormai risaputo che il carcere di Vibo è gestito in stile lager nazista. Le docce vengono attivate a piacimento dell’amministrazione, trattamento disumano, sovraffollamento e fetore nelle celle. Purtroppo è una regressione totale. Inoltre non vi sono tracce del famoso “reinserimento sociale” previsto dalla legge
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ROBA DA PRENDERE IL DIRETTORE E FARLO PASTA PER LA DUJA
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