Roma: Orlando “per il Giubileo utilizzeremo i detenuti per il miglioramento della Città”


Orlando, Festa Penitenziaria“Interverremo per rafforzare in modo strutturale gli uffici e credo saranno previste norme per far fronte alla domanda eccezionale che si svilupperà sul fronte della giustizia, è avvenuto per Expo e credo avverrà anche per il Giubileo”. Così il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, in occasione della firma di un accordo con la regione Lazio.

“Abbiamo cominciato a progettare un utilizzo dei detenuti per gli interventi di miglioramento della città e abbiamo fatto qualche esperienza pilota molto positiva e mi auguro che in cooperazione con gli enti territoriali si possa fare una cosa di dimensioni più ampie. Anche perché questo – come ci ha ricordato più volte il Santo Padre – è il Giubileo della Misericordia e il tema della modalità dell’esecuzione della pena – ha detto – sarà importante e al centro dell’attenzione come lo è spesso nelle parole del Papa e credo che questo lavoro possa andare esattamente in quella direzione.

Ho detto che parlare in astratto di riabilitazione, rieducazione, restituzione rischia di essere poco compresa dall’opinione pubblica che è fortemente condizionata da molte paure talvolta anche indotte e dimostrare concretamente che chi sta in carcere può dare una mano a risolvere alcuni problemi della comunità credo sia il modo migliore per affermare questi principi” ha concluso il Ministro Orlando.

Legge Pinto, Cianfanelli (Radicali): “Lo Stato legifera per rendere quasi impossibili i risarcimenti”


Deborah Cianfanelli, Radicali ItalianiAncora una volta il nostro Stato non smentisce il suo oramai acquisito status di delinquente abituale a danno dei cittadini ed in costante spregio della Legge, preparandosi a nuove e certe condanne da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

Sappiamo che l’Italia ha accumulato oltre 5.000 condanne per violazione dell’art. 6 in relazione alla durata dei processi. L’art. 6 così recita: “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.

La celere definizione dei giudizi è connaturata all’esplicazione dell’individuo nella società ed ogni ingiustificato ritardo incide pesantemente sulla qualità della vita dei cittadini in quanto determina una situazione di incertezza che la Corte di Strasburgo equipara ad un vero e proprio diniego di giustizia. La Legge Pinto nacque su sollecitazione della Corte europea quale rimedio meramente risarcitorio alla violazione dell’art. 6 da parte dello Stato italiano a danno dei cittadini.

A tale rimedio risarcitorio non sono mai conseguite, però, riforme strutturali tali da evitare la reiterazione della violazione che, ad oggi, continua a verificarsi.

Nel corso dei 14 anni di vigenza della Legge Pinto lo Stato italiano si è mostrato più preoccupato di legiferare in modo da non rendere effettivi i risarcimenti che di portare i nostri processi a tempi ragionevoli di definizione. In quest’ottica va anche l’ultima riforma proposta all’interno del disegno di Legge di Stabilità 2016 dove al titolo IX, art. 56, vengono introdotte tante e tali modifiche alla Legge Pinto da renderne molto difficile se non meramente eccezionale la possibilità di accesso e di conseguente riconoscimento del diritto ad un equo indennizzo per coloro che abbiano subito un procedimento la cui durata sia tale da essere in contrasto con l’Art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il nostro legislatore ha finalmente preso atto dei costi causati all’intera economia nazionale da un sistema giustizia che non funziona. Solo che, ancora una volta, anziché cercare di porre in essere dei rimedi strutturali in grado di riportare il nostro sistema giustizia sui binari della legalità e del rispetto dei diritti umani fondamentali, cerca di aggirare l’ostacolo rendendo inaccessibile la strada che porta ad ottenere almeno il risarcimento del danno a fronte del diritto leso. Per i soggetti che subiscono lesioni da parte dello Stato italiano, quindi, oltre al danno anche la beffa!

Ma vediamo nei dettagli le riforme alla legge Pinto che vengono proposte dalla Legge di stabilità. Il diritto ad ottenere l’equa riparazione del danno causato dall’irragionevole durata del processo viene innanzitutto limitato ai soggetti che, nel corso del processo, abbiano esperito i “rimedi preventivi” che vengono introdotti all’art. 1 ter. Ossia: introdurre il giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione (ex 702 bis cpc); formulare richiesta di passaggio da rito ordinario a rito sommario (ex art. 183 bis) entro l’udienza di trattazione; laddove non si applichi il rito sommario di cognizione, ivi incluso l’appello, proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale ex 281 sexies cpc prima che siano decorsi i termini della ragionevole durata; nel processo penale aver depositato, a mezzo di procuratore speciale, istanza di accelerazione almeno sei mesi prima del decorso del termine ragionevole; nel processo amministrativo e nel processo davanti alla Corte dei Conti presentare istanza di prelievo sei mesi prima che siano decorsi i termini di ragionevole durata; nei giudizi davanti alla Corte di Cassazione depositare istanza di accelerazione due mesi prima dello spirare del termine ragionevole di durata; al di fuori di queste ipotesi diviene inammissibile la domanda di equa riparazione.

Inoltre vengono introdotti i casi nei quali l’indennizzo non è comunque dovuto: a favore della parte che ha agito o resistito in giudizio “consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese” e ciò anche al di fuori dei casi previsti di lite temeraria (quindi totale discrezionalità); nel caso art. 91 co 1 cpc, ossia se viene accolta la domanda nella misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa e il giudice condanna la parte che ha rifiutato immotivatamente la proposta; nel caso di cui art. 13 d. lgs 28/10 ossia quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde al contenuto della proposta e viene esclusa la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta; nei casi in cui il giudice abbia disposto d’ufficio il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione ex art. 183 bis cpc; in ogni altro caso di abuso dei tempi processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento. Questa è una vera e propria clausola di esclusione lasciata alla mera discrezionalità del giudicante.

Le modifiche non finiscono qui. Vengono infatti enumerate delle ipotesi nelle quali si “presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo” salva prova contraria: per quanto riguarda l’imputato quando sia intervenuta la prescrizione del reato; nel caso di parte contumace; estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti; perenzione del ricorso nel processo amministrativo; nel giudizio amministrativo mancata presentazione della domanda di riunione nel giudizio presupposto e nel caso di introduzione di domande nuove connesse con altre già proposte; irrisorietà della pretesa o del valore della causa valutata in relazione alle condizioni personali della parte.

Quando la parte ha conseguito dalla irragionevole durata del processo vantaggi patrimoniali uguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto. In particolare questi ultimi punti, oltre a riconfermare una totale discrezionalità nel determinare i casi di insussistenza del pregiudizio, evidenziano la totale mancanza nel nostro legislatore del concetto di giustizia e di lesione di diritti umani riconosciuti dalla convenzione europea, che appare sussistere solo ed esclusivamente quando sia economicamente apprezzabile! Come se tutto ciò non bastasse a perpetrare la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo da parte del nostro Stato, questa proposta di riforma va altresì ad intaccare il quantum del risarcimento (per i casi meramente residuali che abbiano avuto la fortuna di riuscire a superare il percorso ad ostacoli sopra delineato).

Stabilisce infatti che: “il giudice liquida una somma di denaro non inferiore a 400,00€ e non superiore a 800,00€ per ogni anno di causa che eccede il termine ragionevole….può essere incrementata fino al 20% per gli anni successivi al terzo e fino al 40% per gli anni successivi al settimo” detta somma viene poi diminuita del 20% se le parti sono più di 10 e del 40% se sono più di 50.

Ulteriori diminuzioni sono previste in caso di integrale rigetto delle richieste di parte ricorrente. È appena il caso di ricordare che nelle liquidazioni effettuate dalla Corte di Strasburgo questa ha individuato il parametro per la quantificazione dell’indennizzo nell’importo compreso tra € 1.000,00 ed € 1.500,00 per anno. Il percorso ad ostacoli prosegue anche in riferimento alle modalità di pagamento: il creditore deve rilasciare all’amministrazione debitrice una dichiarazione (il cui modello verrà predisposto dall’amministrazione entro il 30.10.16, unitamente all’elenco della documentazione che dovrà essere prodotta dal creditore), attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per il medesimo credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta. Tale dichiarazione ha validità semestrale e va rinnovata. In mancanza, il pagamento non sarà emesso.

L’erogazione degli indennizzi avverrà entro sei mesi dalla data in cui sono assolti tutti gli obblighi da parte del creditore ed avverrà ove possibile per intero e comunque nei limiti delle risorse disponibili nei relativi capitoli di bilancio. Prima del decorso di questi sei mesi il creditore non potrà procedere esecutivamente né con giudizio di ottemperanza. Tutta questa manovra è paradossale e va nella direzione di una spudorata reiterazione nella violazione del diritto garantito dalla convenzione europea ad ottenere giustizia in tempi ragionevoli. Ciò che appare evidente è che la giustizia nel nostro Stato, oltre ad essere costantemente denegata, è oramai ridotta ad un concetto esistente solo in funzione del valore economico, o meglio della monetizzazione del diritto vantato, salvo oltretutto escogitare sempre nuovi elementi utili alla non corresponsione del dovuto ristoro.

Deborah Cianfanelli (Avvocato, Direzione Radicali Italiani)

http://www.radicali.it, 30 ottobre 2015

Giustizia: Cantone, Gratteri, Sabella, mezzi magistrati e mezzi politici dell’Italia renziana


Avvocati togheIl guaio è che non si capisce se sono magistrati o politici, e forse non lo sanno più nemmeno loro, spaesati come il resto degli italiani di fronte a uno di quei misteri linguistici che sempre, in questo paese, occultano un pasticcio.

Prendiamo per esempio il dottor Nicola Gratteri, che è procuratore aggiunto a Reggio Calabria, ma un anno fa è stato anche nominato da Renzi – che lo voleva addirittura ministro della Giustizia – presidente della commissione per la riforma Antimafia. Ebbene, dice il dottor Gratteri: “In Parlamento ci sono molte leggi, molta carne al fuoco. In questo momento sembra un lavandino otturato”.

E insomma, mezzo politico e mezzo magistrato, un po’ tecnico e un po’ no, corteggiato come candidato sindaco di Roma (“ma sono più utile da magistrato, almeno per come è oggi la politica”) Gratteri, come Raffaele Cantone, che è il magistrato benemerito della lotta alla camorra nominato (da Renzi) commissario anti corruzione, e come Alfonso Sabella, che è invece il magistrato antimafia nominato assessore alla Legalità del comune di Roma, svela un’inedita antropologia nel paese che già aveva affidato ai giudici la scienza, la storia e la politica: l’antropologia di quelli che rimangono a metà strada, che non scelgono, un po’ di qua e un po’ di là, quelli che si travestono e ci confondono.

Mercoledì scorso, Cantone si è espresso con sinuosità e spessore di politico: “Milano è tornata a essere capitale morale. Roma deve costruirsi gli anticorpi”. Ma ieri ci ha poi ricordato d’essere in effetti un magistrato: “Potrei lasciare l’Anm. E non ho mai fatto politica”. E c’era una volta il pm che prima accusava e poi assimilava, che indossava la toga e infine si appropriava del ruolo dell’imputato, che lo sostituiva persino in Parlamento, c’era insomma una volta Antonio Di Pietro, mentre oggi ci sono Gratteri, Sabella e Cantone, creature vaghe, enigmatiche, indefinibili come Conchita Wurst, l’ermafrodito che al tempo stesso ci incuriosisce e ci spaventa. E intorno a questa nuova e sfuggente antropologia, che d’un tratto sublima le ambiguità dei togati-candidati, cioè dei vecchi Ingroia ed Emiliano, dei Di Pietro e dei De Magistris, che partirono per moralizzare e finirono moralizzati, adesso si mettono in moto tutte le possibili letture e riletture, variazioni e contaminazioni di quell’antica e complessa vicenda che da Tangentopoli in poi è stata battezzata “cortocircuito politico-giudiziario”, o meglio ancora “imperialismo giudiziario”, storia d’energia popolare e di strumentalizzazione. “Io non ho mai fatto politica nella mia vita, rivendico la mia indipendenza ogni giorno al pari di quando ero in magistratura”, ha detto Cantone.

“Ero”, ha detto. Appunto. Un lapsus ma anche no, perché magistrato lo è ancora eppure in effetti non lo è più. E davvero Cantone, come Gratteri e come Sabella (televisivamente ubiquo: da Sky a Raiuno, da Vespa a Porro), riempie le sue giornate d’innocue enormità mondane e di Palazzo, ha insomma il piacere d’essere molti, di vedere tutti i se stesso, essere a discrezione politico e togato, essere un altro, dunque d’ipotizzare l’abbandono dell’Anm ´(da politico?) e di aiutare (da magistrato?) la candidatura renziana di Giuseppe Sala a sindaco di Milano: “A Roma purtroppo non ho un Giuseppe Sala con cui interloquire, e questo mi manca moltissimo”.

E si crea così un tale clima di discorsi, di convegni, di dichiarazioni pubbliche, d’interviste ai quotidiani, di polemiche radiofoniche, di lesto manovrar d’apparizioni televisive, d’incarichi para amministrativi, di candidature a sindaco, a ministro, a commissario speciale, a salvatore supremo della patria o del comune disastrato, per cui la natura di ciascuno di loro si cancella e si ricompone, si trasforma e si confonde.

E non si riesce più a distinguere chi è chi, né cosa fa. Anche l’Anm è rimasta spiazzata. E la politica è evidentemente una malattia che li contagia, ma che non può essere stata contratta durante gli studi universitari di Giurisprudenza né durante la preparazione del concorso in magistratura. È il mondo politico ad averli voluti così come sono, mezzi politici e mezzi magistrati, sospesi nel mondo di mezzo – ops – assessori alla Legalità, commissari alla corruzione, autorità antimafia capaci d’esprimersi su qualsiasi argomento e su qualsiasi canale, capaci di coltivare allo stesso tempo una doppia ambizione (laica e togata), quello stesso mondo che mentre critica il protagonismo dei magistrati e sottilmente li accusa di far politica con la toga indosso, intanto riempie di toghe la politica (perché non ha una classe dirigente all’altezza). Così alla fine, loro, i mezzi e mezzi, fondatori di un metaforico albo dei moralizzatori cui la politica può attingere ad libitum, ovviamente dicono di non far politica, quando sarebbe più rassicurante, opportuno e in linea con il loro impegno, che invece facessero una scelta, preventiva e liberatrice.

Salvatore Merlo

Il Foglio, 30 ottobre 2015

Chianciano Terme, al via il XIV Congresso Nazionale dei Radicali Italiani


Radicali Italiani campagna autofinanziamentoAl via a Chianciano il XIV Congresso di Radicali Italiani: quattro dense giornate di lavori che vedranno alternarsi sul palco ospiti istituzionali e non, e con la partecipazione straordinaria del giornalista e vignettista del Corsera Vincino che darà una mano per l’autofinanziamento del partito (disegnerà vignette che verranno messe in vendita). Molti gli ospiti presenti alle assise. Sabato pomeriggio salirà sul palco Raffaele Sollecito (autore del libro “Un passo fuori dalla notte”), uscito definitivamente dal caso Meredith dopo l’assoluzione della Cassazione. Nella stessa giornata verrà proiettato un video di Bruno Contrada con un breve intervento del suo avvocato Professor Andreana Esposito.

Titolo del congresso (si tiene al Centro Congressi Excelsior di Chianciano Terme) che si chiuderà domenica 1 novembre: “Per lo Stato di diritto democratico federalista laico – Contro le ragion di Stato, anche per il diritto umano alla conoscenza”. Ad aprire il congresso nel pomeriggio, la relazione del Segretario di Radicali Italiani Rita Bernardini e del tesoriere Valerio Federico. Sono poi previsti gli interventi dell’ambasciatore e già ministro degli Esteri Giulio Maria Terzi di Sant’Agata e del sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova. Nella giornata di sabato previsti inoltre gli interventi di: Francesco Seghetti, responsabile comunicazione e relazioni esterne Adapt; Marco Marazzi, rappresentante dei Federalisti europei e presidente di commonboarders.eu.; Sandro Gozi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega agli Affari europei; Giuseppe Di Federico, professore emerito di Ordinamento giudiziario all’Università di Bologna Mario Baldassarri, economista, già vice ministro dell’Economia e delle Finanze. Nel pomeriggio di sabato salirà sul palco Riccardo Nencini, vice ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti. Il primo novembre interverranno tra gli altri Andrea Bernaudo, presidente di “SOS Partita Iva”, Massimo Brandimarte, ex presidente del Tribunale di Sorveglianza di Taranto.

http://www.ansa.it – 29 Ottobre 2015

Palermo, Apprendi (Antigone) visita il Carcere Pagliarelli. Nell’isolamento condizioni degradanti per i detenuti


carcere-Pagliarelli-di-Palermo.Lunedì scorso Pino Apprendi, rappresentante di Antigone, si è recato al carcere Pagliarelli di Palermo dopo aver raccolto strane voci sulle condizioni di alcuni detenuti che, per motivi precauzionali (tendenze al suicidio) sarebbero stati tenuti nudi, in isolamento e senza coperte.

“Ho visitato il reparto di isolamento – dice Pino Apprendi – dove vi erano 4 celle occupate da 4 persone; due di queste non avevano in dotazione alcuna coperta. Avendo fatto notare ciò alla direttrice, la stessa mi riferiva che la coperta sarebbe stata data dietro richiesta. Visitando il reparto degenza della psichiatria – continua Pino Apprendi – ho notato che un ragazzo tossicodipendente viveva in una cella priva di letto, tavolo e sgabello; a terra vi era un pezzo di gommapiuma che faceva da materasso, una coperta e due piatti di pasta.

Il ragazzo rivolgendosi a me ed alla direttrice chiedeva delle condizioni migliori, di essere trasferito nella stanzetta accanto dove c’era, a suo dire la televisione, ed infine chiedeva il metadone. In seguito ho incontrato il medico che mi ha spiegato che a norma di regolamento ancora non poteva somministrare il metadone. In un’altra cella adiacente un altro giovanissimo mi riferiva che da tre giorni aveva perdite di sangue interno ed aveva ricevuto solo cure da infermieri; quando ho riferito al medico del carcere, lo stesso ha minimizzato l’accaduto. Devo dire – conclude Apprendi – che vedere il giovane tossicodipendente in quelle condizioni non mi ha fatto pensare ad un posto dove il recupero della persona umana debba essere messo al primo posto”.

Carceri, il Ministro della Giustizia Orlando “Stiamo trasformando tutto il sistema detentivo”


OrlandoIl ministro della Giustizia Andrea Orlando risponde alla lettera pubblicata ieri a firma di Giuseppe Battaglia sul mantenimento in carcere dei detenuti.

Non vi è dubbio che esista un principio generale che obbliga chi ha responsabilità pubblica ad adempiere a quegli atti che evitino all’amministrazione di dover rispondere di danno rispetto alla gestione delle risorse. La pur dolorosa questione, sollevata dalla lettera di Giuseppe Battaglia al “manifesto”, rientra in tali obblighi: appartiene alla correttezza amministrativa provvedere all’adeguamento di tabelle e quindi oneri dovuti, come la norma stabilisce, per il mantenimento quotidiano in carcere.

Se ci si è risolti a provvedere ora è perché, contrariamente al passato, si è messa in campo una vasta operazione di trasformazione del sistema detentivo che, se per ora ha dato risultati solo sul piano della riduzione numerica delle presenze (si è passati da 66.000 a 52.000 detenuti) deve necessariamente nel breve periodo dare risultati anche sul piano della qualità della vita nelle strutture detentive e su quello della sensatezza del periodo trascorso all’interno di esse.

Gli Stati generali dell’esecuzione penale che ho avviato nei mesi scorsi stanno discutendo proprio di questo. Per offrire al termine delle soluzioni praticabili che diano la possibilità nel nostro Paese di un carcere, limitato ai casi che effettivamente richiedano questo tipo di sanzione, centrato sul ritorno alla società esterna dopo un percorso dignitoso e significativo, tale da ridurre il rischio di commettere nuovi reati.

Tuttavia la lettera coglie un punto di verità non eludibile: accanto al dovere di adeguare le cifre del mantenimento c’è anche quello di adeguare le retribuzioni per coloro che in carcere lavorano.

Qui si evidenzia una simmetrica mancanza del passato che deve essere risolta. E che sarebbe stata risolta in contemporanea con l’altra se non avessimo preferito però ripensare completamente il sistema del lavoro in carcere, nelle sua varie modalità.

L’apertura di un tavolo di lavoro su questo tema, l’avvio di un rapporto con le realtà imprenditoriali e il parallelo avvio di ambiti di studio in collaborazione con alcune Università ci ha portato a rinviare il mero adeguamento – che rischiava di restringere a questo un problema ben più complesso – e a proporre a breve un piano complessivo entro cui collocare il doveroso adeguamento delle retribuzioni del lavoro detentivo. Impegno che intendiamo mantenere con certezza e con rapidità.

Andrea Orlando (Ministro della Giustizia)

Il Manifesto, 29 ottobre 2015

Milano, Visita dell’On. Stefano Dambruoso (Sc) alla Casa di Reclusione di Bollate


Casa di Reclusione di Milano BollateIl Questore della Camera dei Deputati, Stefano Dambruoso si è recato stamane in visita all’istituto di pena di Bollate di Milano, in occasione dell’apertura al pubblico del ristorante proprio all’interno dell’istituto penitenziario ed a venti metri dall’ingresso dell’Expo. Si tratta della prima iniziativa del genere in Italia, il ristorante interno al carcere aperto al pubblico con i detenuti al lavoro, a seguito di un periodo di formazione in un corso professionale. Presente anche il sottosegretario all’istruzione Toccafondi.

“Da magistrato – ha detto Dambruoso durante l’incontro – ho contribuito a far arrestare mafiosi e terroristi ma ho sempre creduto che l’art. 27 della Costituzione che prevede il recupero e la fase emendativa del detenuto in espiazione debba essere valorizzato”. Il magistrato prestato alla politica, ha ribadito l’importanza delle iniziative volte non solo al recupero ma anche capaci di rendere dignitosa la vita all’interno delle carceri, tant’è che si è reso promotore personalmente finanziando un corso di arte-terapia all’interno dello stesso carcere di Bollate consentendo a oltre 20 detenuti di apprendere l’arte del disegno e la conseguente acquisizione di creatività. Dambruoso in tale contesto ha spiegato che garantire ai detenuti un impegno quotidiano e di recupero possa servire: “Evitare che i detenuti non facciano nulla in carcere diminuirà la possibilità che appena in libertà tornino a commettere crimini”.

Carcere Bollate - Pol Pen con DambruosoPer quanto riguarda invece la questione del sovraffollamento, Dambruoso ha focalizzato due questioni: “Come membro in Commissione Giustizia di Scelta Civica mi sono attivato per la costruzione di nuovi istituti di pena perché da magistrato e parlamentare sono convinto che sia prioritaria la certezza della pena e della sua esecuzione”. “Pena certa da scontare in luoghi dignitosi: solo così il nostro Paese non sarà più condannato al pagamento di salatissime penali per sovraffollamento carcerario in luoghi indecorosi come è accaduto in tempi recenti. Nessun buonismo – ha concluso Dambruoso – quindi: pena certa e carceri sicure dove svolgere attività di recupero per evitare la recidività criminale”.

Dire, 27 ottobre 2015

Dal 29 ottobre al 1 novembre a Chianciano Terme si terrà il XIV Congresso dei Radicali Italiani


On. Bernardini RadicaliLo statuto di Radicali Italiani prevede che ogni anno il congresso del Movimento si tenga “a data fissa nella decade che include il 1 novembre” (art. 3, comma 1). Lo stesso statuto conferisce al segretario la prerogativa/compito di convocarlo (art. 7, comma 2).

Nel convocare la nostra assise da giovedì 29 ottobre a domenica 1 novembre, sento il dovere di dire a ciascuno di voi ciò che ritengo fondamentale per fare dell’appuntamento un fatto politico all’altezza della storia radicale che – avendo come naturale riferimento il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito che insieme ad altri soggetti costituiamo – compie, in questi giorni, sessant’anni.

Io propongo che l’obiettivo del XIV Congresso sia quello di sostenere all’Onu – con un nostro diretto, forte impegno e adeguate lotte – la battaglia già incardinata per la transizione verso lo Stato di Diritto attraverso l’affermazione del diritto umano alla conoscenza, contro la ragion di Stato. Ed è all’Italia (che vogliamo divenga finalmente consapevole di sé, dei suoi limiti e delle ferite da decenni inferte alla democrazia e ai diritti umani) che noi intendiamo affidare la leadership della campagna alle Nazioni Unite, cosicché la sua candidatura – già avanzata – a membro del Consiglio di Sicurezza non sia la scontata occupazione di un posto di potere, ma abbia il respiro di una strategia politica per il futuro.

Indichiamo a noi stessi questa prospettiva mentre siamo al minimo della nostra rappresentanza istituzionale e allo stremo delle nostre possibilità economiche. Ciò che non mi ha fatto scoraggiare fino a mollare è stato vivere giorno dopo giorno con Marco Pannella, il quale continua a testimoniare con la sua forza morale ed intellettuale ciò di cui è intimamente convinto e che ci ha portato in passato ad ottenere, proprio all’Onu, la moratoria delle esecuzioni capitali e l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale. Non è un caso che proprio in queste ore ci giunga un prestigioso riconoscimento da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che ha eletto Elisabetta Zamparutti quale membro italiano del Cpt (Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura). È il tributo ad una storia, quella radicale, la nostra, la tua.
Sia chiaro: l’obiettivo che propongo al dibattito congressuale di Radicali Italiani è al cento per cento anche italiano. È il governo italiano che vogliamo e dobbiamo convincere perché faccia propria la campagna per la transizione verso lo Stato di Diritto attraverso l’affermazione del diritto umano alla conoscenza, contro la ragion di Stato. Dobbiamo ottenere questo risultato, non solo grazie alle interlocuzioni che Pannella ha avuto ed ha con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, i quali hanno voluto far sentire la loro voce – non di circostanza – alla conferenza del 27 luglio al Senato organizzata da Matteo Angioli sull’”Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo Stato di Diritto e l’affermazione del Diritto alla Conoscenza”. Dobbiamo sempre più ora, attraverso le nostre articolazioni territoriali e tematiche e lottando contro la disinformazione del sistema, far sì che la battaglia divenga obiettivo conosciuto, capito e condiviso dai cittadini. Propongo che ogni radicale, ogni associazione (costituita e da costituire) si faccia, attraverso la sua concreta e diversificata presenza nel paese, testimone e soggetto di questo grande impegno capace di “concepire il nuovo possibile”.

L’obiettivo è al cento per cento italiano anche – infine – per la requisitoria severa e circostanziata che vogliamo continuare a portare avanti contro uno Stato che ha violato e viola sistematicamente i diritti umani nei settori vitali della giustizia con la sua ignobile appendice carceraria, dell’economia, dell’ambiente, delle libertà civili e politiche. Lo abbiamo sempre fatto nei sessant’anni di vita del Partito Radicale. E in questi ultimi anni, via via che l’arroganza del regime diveniva sempre più indecente negando fino a renderla nulla la possibilità dei cittadini del nostro paese di poterci ascoltare attraverso i mass media, abbiamo praticato la via delle giurisdizioni nazionali, europee e internazionali per affermare diritto e diritti. Ce lo ha riconosciuto Giuseppe De Rita quando il 2 agosto scorso sul “Corriere della Sera” ha scritto che abbiamo aperto una strada oggi percorsa anche da altri.

Solo se lo Stato italiano e i suoi massimi rappresentanti e istituzioni prenderanno coscienza di ciò che è accaduto e sta accadendo al nostro Paese sarà possibile quella transizione verso lo Stato di Diritto democratico federalista e laico che alcuni esponenti del mondo arabo hanno suggerito per loro stessi e per noi quando li abbiamo coinvolti nella campagna per il riconoscimento del diritto umano alla conoscenza in sede Onu.

Ecco, care compagne e cari compagni, è questo l’obiettivo assolutamente necessario per noi e per tutta la galassia radicale che ritengo debba essere il tema di confronto e incontro del nostro XIV Congresso.

Vi prego di essere presenti fin dall’apertura dei lavori alle ore 16:00 di giovedì 29 ottobre, lavori che, come da tradizione, si apriranno con la relazione mia e del Tesoriere Valerio Federico. La nostra assemblea proseguirà per le intere giornate di venerdì 30 e sabato 31 ottobre per concludersi domenica 1° novembre con l’approvazione dei documenti e l’elezione dei nuovi organi statutari.

Un abbraccio forte pieno di gratitudine per aver sostenuto il Movimento nell’anno politico che volge al termine.

Rita Bernardini, Segretario Nazionale di Radicali Italiani

Il Dap chiude il Carcere di Savona. Protesta il Sindacato della Polizia Penitenziaria


CC Savona Sant'AgostinoL’informativa indirizzata al presidente del Tribunale e al Procuratore della Repubblica, firmata dal Capo dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Santi Consolo, è del 7 ottobre scorso, e non lascia spazio a diverse interpretazioni. Il carcere di Sant’Agostino chiude. E forse molto presto. Si attende solo la firma del ministro della Giustizia.

Le condizioni fatiscenti, di degrado dell’edificio, le celle sovraffollate che non “consentono – si legge nel documento – ai detenuti di espiare la pena in modo dignitoso” hanno determinato l’inserimento del carcere di Savona nel piano di dismissioni che interessa complessivamente in tutta Italia una ventina di istituti di pena. In attesa dunque della costruzione di un nuovo penitenziario (come è specificato nell’informativa), i detenuti saranno trasferiti in altre strutture, a Marassi ad esempio, ma non solo lì. Stando a indiscrezioni, infatti, i primi dodici ospiti dovrebbe essere spostati già questa settimana a Sanremo. Le indiscrezioni di quella che pare un’imminente chiusura hanno scatenato la protesta del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il cui segretario regionale Michele Lorenzo, dice senza mezzi termini “no alla chiusura del Sant’Agostino, prima di costruire il nuovo carcere”. E attacca la politica: “che non è stata capace nemmeno di trovare un sito dove costruirlo”.

Sappe: no alla chiusura del carcere prima di aver costruito quello nuovo

“Il carcere di Savona è il fallimento della politica che non è stata capace nemmeno di trovare un sito dove costruirlo. Ben venga in Valbormida allora”. È data per certa le indiscrezioni che ormai da mesi circolavano sulla chiusura della C.C. di Savona alle quali mai nessuna risposta è mai pervenuta alle nostre richieste di conoscere quali determinazioni volessero adottare i vertici del nostro dipartimento. Alla fine la chiusura è stata ufficializzata dal capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo, prima con i Provveditori in una riunione del 1° ottobre scorso ed in seguito mediante l’emanazione di alcuni atti ufficiali diretti a varie autorità connessi con sistema carcere. Nessuna comunicazione è però stata indirizzata alle OO.SS. di categoria.

Spiegare cosa significa la chiusura di un istituto penitenziario in una città quale può essere Savona, potrebbe sembrare per certi versi assurdo, come a significare offendere la capacità organizzativa del proponente. Ma se siamo arrivati a ciò allora sicuramente chi ha proposto all’On. Ministro della Giustizia la chiusura di Savona, non ha ben chiaro la ricaduta sul territorio. Vorrei lasciare in ultima analisi la questione del personale di Polizia Penitenziaria che per questa O.S. è l’aspetto più importante. Una città sede di procura, tribunale, prefettura, questura, comandi provinciali di tutte le forze di Polizia dello Stato e non, come può fare a meno di un carcere? L’assenza del carcere connette una serie di problematiche:

1. la forza di polizia che effettua un arresto deve accompagnare il soggetto o a Genova marassi o a Imperia, quindi maggiore impegno in termini di tempo e spese connesse.

2. Questo determinerebbe un ulteriore carico su questi istituti che sono già penalizzati per l’elevata presenza di detenuti e movimenti connessi.

3. L’avvocato che deve effettuare un incontro per attività, dovrà recarsi in altro istituto e questo è un disagio sotto tutti gli aspetti.

4. L’attività giudiziaria verrebbe rallentata, in quanto per le convalide o interrogatori bisogna recarsi fuori comune con aggravio di tempi e costi.

5. Ripercussione sui detenuti e famigliari allorquando questi devono effettuare i colloqui o quanto altro connesso alla vita sociale del detenuto.

6. Sulla Polizia Penitenziaria ricadrà il maggiore disagio. Premesso che nessuna richiesta di incontro sull’argomento chiusura carcere è mai pervenuta a questa O.S. quindi non si conoscono tempi e modalità attuative la chiusura, questa O.S. in attesa dell’incontro sulla mobilità del personale di polizia evidenziando e ponendo come condizione che tale mobilità non dipende dalla loro volontà sarà interesse dell’amministrazione non determinare ulteriori disagi al personale del Corpo, questa o.s. propone.

a) che una parte di essi, in attesa della totale dismissione dell’istituto, resti a presidio dell’istituto

b) che un’aliquota venga inviata presso la scuola di Polizia Penitenziaria di Cairo Montenotte quale sede più vicina e territorialmente della stessa provincia.

c) prevedere un’aliquota presso il Tribunale di Savona utile sia come supporto logistico alle varie scorte provenienti da altri istituti ma anche come forza di Polizia disponibile per esigenze di giustizia.

d) In ultima ipotesi quella di un utilizzo sul territorio cittadino considerato che la Polizia Penitenziaria, sino a smentita, è una Forza di Polizia prevista dall’art.16 l.121\81.

e) Rispettare la volontà di coloro che, per loro scelta, optino per altre sedi.

f) Garantire la costruzione del nuovo istituto con la procedura d’urgenza.

Quindi se l’intenzione del Ministro è quella di chiudere l’istituto prima della costruzione del nuovo, lo faccia pure ma rispetti la Polizia Penitenziaria che sino ad oggi ha fatto bene il loro lavoro in quel luogo che oggi è dichiarato ufficialmente vetusto ossia inadeguato, riconoscendo a tutto il personale che ha costantemente operato in quell’ambiente, le ripercussioni specialmente sul proprio stato di salute. Su tale argomento questa O.S. non transige. Aspettiamo fiduciosi una risposta ovvero la decisione che il carcere di Savona chiuderà solo dopo l’apertura di quello nuovo.

L’Unione delle Camere Penali Italiane all’attacco: «Riforma degli Opg mai partita»


OPGAd oltre sei mesi dalla formale chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), l’Unione Camere Penali Italiane (associazioni senza scopo di lucro i cui membri sono avvocati che prestano patrocinio nell’ambito dei procedimenti penali) lancia l’allarme per una situazione che rischia drammaticamente di peggiorare «travolgendo i principi di diritto e di civiltà che sono alla base della riforma». Il tema è la “falsa partenza” della legge che doveva abolire gli Opg sostituendoli con Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), piccole unità da 20 degenti. E per le Camere penali proprio Castiglione ne è l’esempio.

«Per rendersi conto delle effettive condizioni in cui gli internati sono detenuti – spiega il presidente dell’Osservatorio nazionale sul carcere dell’Unione camere penali, l’avvocato Riccardo Polidoro – si pensi che a Castiglione delle Stiviere prima Opg, oggi Rems si era ipotizzato di costituire otto Rems, ciascuna per 20 unità. Ma la trasformazione, di fatto, non è mai veramente decollata perché si è arrivati a toccare ben 270 presenze impedendo la chiusura dell’Opg. La struttura di Castiglione, alla quale è stata solo cambiata la targa all’ingresso, da Opg a Rems, è diventata una sorta di “residenza” nazionale, ospitando soggetti provenienti da tutta Italia. Inoltre per noi non è auspicabile che le 8 strutture nascano nello stesso posto dell’Opg perché lo spirito della legge era creare piccole residenze autonome ed indipendenti».

Una situazione di sovraffollamento più volte segnalata dalla stessa direzione dell’Opg e dall’ospedale Poma che alcuni mesi fa ha inviato una nota preoccupata a ministero e procura, segnalando l’impossibilità di accogliere altri pazienti all’Opg.

«Al 12 ottobre 2015, vi sono ancora 220 internati negli Opg in via di chiusura – prosegue Polidoro –e le Regioni, quelle che hanno già le Rems hanno comunicato che non vi sono più posti per accogliere altre persone nelle loro strutture, già sovraffollate. La legge che disponeva la chiusura degli Opg allo scorso 31 marzo è, pertanto, tradita ed occorre intervenire subito. Le Regioni sono in gran parte inadempienti nonostante i rinvii che vi sono stati in passato per l’entrata in vigore della legge. Noi abbiamo chiesto che il governo faccia con solerzia la propria parte, destinando le risorse necessarie alla trasformazione e facendo scattare subito il commissariamento».

Francesco Romani

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