Milano, Cimbro (Pd); per detenuta incinta Levato trattamento crudele e degradante


On. Eleonora Cimbro PD“Trattamento crudele e degradante”. Così Eleonora Cimbro, deputata bollatese Pd definisce i giorni di carcere trascorsi nell’ultimo mese di gravidanza da Martina Levato, la studentessa universitaria condannata in primo grado a 14 anni di reclusione per l’aggressione con l’acido ai danni di Pietro Barbini, ex compagno del liceo Parini. Il 15 agosto Martina è diventata mamma, il tribunale deciderà il 30 settembre a chi sarà affidato il bambino. “Chiusa in una cella multipla a San Vittore, i servizi igienici con la turca e le temperature che hanno toccato i 40 gradi. Non le è stato concesso di trascorre quest’ultima fase della maternità in una struttura adeguata”.

Cimbro e Anna Origgi, ex colleghe del papà di Martina, Vincenzo Levato, ci mettono la faccia e si presentano davanti ai giornalisti convinte e battagliere con le foto della ragazza dell’acido in mano per mostrarla “quando era davvero lei. Prima che incontrasse Alexander Boettcher, rotonda, sorridente e solare. È questa la ragazza che abbiamo conosciuto noi”.

Senza mai abbandonare la famiglia di Martina, dopo tanti anni di stretta collaborazione, Cimbro e Origgi vogliono che di lei si abbia anche un’altra immagine “non solo quella mediatica della ragazza dell’acido”. Per lei chiedono garantismo. E per il piccolo il diritto ad avere la sua famiglia. Per questo Origgi all’indomani del parto si era fatta portavoce di una lettera aperta scritta dai professori colleghi di Vincenzo.

E lunedì Cimbro ha presentato in Parlamento un’interrogazione. La deputata bollatese si è rivolta ai Ministri della Giustizia e dell’Interno. Troppo “forte è il clamore mediatico sul caso. Il dibattito pubblico è andato intensificandosi a seguito della preclusione, ordinata dal tribunale dei minori milanese, della possibilità per la donna di tenere con sé il figlio neonato, con un provvedimento immediatamente esecutivo della procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Milano subito dopo il parto”.

Cimbro spiega che il problema non è solo il processo: “Lascia molto perplessi la decisione di dare alla madre il bambino solo un’ora al giorno, senza consentirle di allattarlo, e ancor più la sua giustificazione, evitare che si crei quel legame speciale che unisce le mamme ai loro piccoli invece di consentire che la madre si occupi del figlio per alcuni mesi, almeno tre, anche allattandolo. Non ovviamente da sola, ma affiancandola ad altre figure di accudimento”.

Nel frattempo occorrerebbe individuare in tempi rapidi a chi dare in affidamento o in adozione il neonato, eventualmente effettuando sulla madre una perizia psicologica per valutare se e secondo quali modalità possa continuare a mantenere contatti con il figlio. Il tutto in una struttura protetta, l’Icam. La battaglia potrebbe arrivare “davanti alla Corte dei diritti umani europea”.

Monica Guerci

Il Giorno, 24 settembre 2015

 

Confermato 41bis a Provenzano anche se in fin di vita “il regime duro tutela la sua salute”


Bernardo Provenzano arrestoIl boss di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, resta al 41 bis. Lo dice la Corte di Cassazione spiegando il motivo per cui lo scorso 9 giugno ha bocciato il ricorso del boss. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, puntualizzando che le condizioni di salute del detenuto sono “gravi” ma se Provenzano lasciasse il ricovero in regime di carcere duro, all’Ospedale San Paolo di Milano in camera di sicurezza, per andare in un reparto ospedaliero comune, sarebbe a “rischio sopravvivenza”, per le cure meno dedicate.

Le patologie di cui soffre Provenzano sono “plurime e gravi di tipo invalidante”, evidenziano i giudici della suprema corte in riferimento al grave decadimento cognitivo, ai problemi dei movimenti involontari, all’ipertensione arteriosa, a una infezione cronica del fegato, oltre alle conseguenze degli interventi subiti per lo svuotamento di un ematoma da trauma cranico, per l’asportazione della tiroide e per il tumore alla prostata.

La Cassazione ha confermato il 41 bis nella sentenza 38813, che è stata depositata oggi. Ma secondo la Cassazione Provenzano “risponde alle terapie”. Il regime duro, tradendo la sua originaria finalità, sarebbe diventato, a quanto pare, una modalità necessaria alla vita dell’uomo che per decenni è stato in cima alla lista dei ricercati e che ora è solo un essere inerte e incosciente.

Provenzano e lo Stato che non c’è. Lettera di Rosalba Di Gregorio, Avvocato del boss mafioso in fin di vita

Caro direttore, ieri la Cassazione, dando ragione al Tribunale di Sorveglianza di Milano e respingendo il mio ricorso, ha deciso che Bernardo Provenzano, ridotto praticamente a un “vegetale”, dovrà rimanere rinchiuso in regime di 41bis. Come suo avvocato avevo chiesto non la sospensione della pena, ma la detenzione nello stesso ospedale San Paolo di Milano dove è detenuto (essendo Provenzano intrasportabile) così da togliere il vetro e permettere ai familiari di salutarlo prima che muoia.

Il Tribunale di Sorveglianza, avallato ora dalla Cassazione, ha invece ritenuto, spiegando di avere a cuore la sua salute, che al 41bis Provenzano è meglio curato. Lo trovo aberrante. La verità è che spostarlo in lunga degenza, come da me chiesto, avrebbe significato toglierlo dal 41bis, eventualità invisa al ministro della Giustizia, che nei mesi scorsi ha rinnovato il carcere duro a un detenuto che è ormai un cadavere, incapace di intendere e di volere e con il figlio a fargli da amministratore di sostegno. Si teme davvero che un “vegetale” possa ancora mandare messaggi all’esterno e dirigere Cosa Nostra? Non è questo lo Stato forte che vogliamo.

Avv. Rosalba Di Gregorio

Il Tempo, 25 settembre 2015