Belluno, Francesca Vianello (Antigone) “detenuti dimezzati e celle aperte per 8 ore”


Casa Circondariale di BellunoL’associazione Antigone visita il carcere di Baldenich e trova una situazione decisamente migliorata rispetto a due anni fa grazie ad alcune norme recenti. Una situazione buona, decisamente migliorata rispetto a un paio di anni fa, senza sovraffollamento e con una maggiore “libertà”. È questo il primo resoconto della visita dell’Associazione Antigone del carcere di Baldenich, avvenuta giovedì 27.

Ad illustrare l’esito del sopralluogo è Francesca Vianello, del dipartimento di psicologia e sociologia dell’Università di Padova e membro dell’associazione che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale. Antigone raccoglie e divulga informazioni sulla realtà carceraria, cura la predisposizione di proposte di legge e promuove campagne di informazione e di sensibilizzazione. L’ultima volta che Vianello aveva visitato Baldenich risale a due anni fa, prima dell’entrata in vigore di una serie di norme che hanno ridotto drasticamente la popolazione carceraria, grazie alla possibilità di ricorrere a misure alternative.

“Il problema del sovraffollamento non esiste più”, spiega la dottoressa Vianello. “In passato il carcere di Baldenich si trovava ad ospitare più persone di quanto fosse il suo potenziale, mentre oggi sono molte di meno. Le leggi introdotte a partire dal 2011 prevedono sanzioni alternative per le pene più modeste e alla fine in carcere ci vanno in pochissimi. La tendenza vista a Belluno è generale”.

Questo ha permesso anche di realizzare un nuovo orientamento dell’amministrazione penitenziaria, quello delle “porte aperte”, cioè delle celle lasciate aperte per otto ore al giorno: “Inizialmente c’era qualche dubbio sull’efficacia e sulle conseguenze di queste scelte. Il personale della polizia penitenziaria temeva che le celle aperte sarebbero state difficili da gestire. Oggi sono proprio loro, invece, ad affermare che l’effetto è stato positivo e ha in qualche modo rasserenato la situazione”, spiega ancora Vianello, che aggiunge le numerose attività di formazione professionale, lavoro e svago organizzate per i detenuti da varie realtà. Alla data del 27 agosto, dunque, i detenuti presenti nel carcere di Baldenich erano 58 (i posti disponibili sono quasi il doppio), dei quali 41 stranieri, 17 italiani, 11 transgender per lo più brasiliani e colombiani, 18 tossicodipendenti e 7 alcol dipendenti.

Sotto il profilo strutturale, il carcere risulta più vivibile del passato perché sono terminate le operazioni di ristrutturazione già avviate diversi anni fa e oggi le celle “che sembravano delle grotte” sono decisamente più decorose, ciascuna dotata di servizi igienici minimi e cucinino. “Attualmente i detenuti mangiano nella propria cella chiusa, ma l’obiettivo con il tempo è di farli mangiare insieme in una mensa comune”. In Italia, infatti, non si usano i refettori, praticamente nessun carcere ha la mensa comune (come nei film americani) ma l’amministrazione penitenziaria ha anche questo progetto.

Antigone ha potuto parlare con la direttrice Tiziana Paolini, con il comandante della polizia penitenziari e con il responsabile degli educatori: “Ci sono sembrati tutti relativamente soddisfatti della condizione attuale, compresa l’apertura delle celle che ha reso le cose migliori di prima. Da un punto di vista sanitario, il carcere ha a disposizione almeno una volta a settimana un infettivologo, un dentista, un addetto del Sert e uno psichiatra”. Proprio le patologie psichiatriche (oltre che quelle fisiche) in aumento sono il problema più rilevante segnalato dal personale.

Il progetto futuro, per il carcere di Baldenich, è quello di destinare una sezione ai malati psichiatrici in stato di semi infermità mentale successivo alla carcerazione. “Non sarà una sezione che ne sostituirà un’altra e in questo periodo se ne sta ancora parlando perché ovviamente va associata a personale specializzato attraverso il servizio sanitario. È più probabile che la nuova sezione sarà meno “specifica” e quindi meno problematica”.

In conclusione, in attesa di dicembre quando sarà pubblicato il rapporto Antigone ufficiale, Vianello afferma: “La fine del sovraffollamento ha portato una svolta positiva a Baldenich. Devo ringraziare il personale che, a volte, ci vede come un’intrusione, mentre a Belluno abbiamo trovato grande disponibilità e possibilità di visitare tutte le sezioni che volevamo”.

Irene Aliprandi

Corriere delle Alpi, 8 settembre 2015

Carcere di Parma, è cambiata la modalità dei colloqui con i famigliari: la gioia dei detenuti As1


carcere_latina-2Nel carcere di Parma da qualche giorno la vita è meno dura. La direzione del penitenziario ha accettato di dare più spazio ai famigliari dei detenuti, concedendo 4 ore in famiglia all’interno delle mura di via Burla. Una novità frutto del dialogo intrapreso fra differenti attori presenti a Parma, avviato per migliorare le condizioni di vita dei coscritti.

La Direzione del carcere ha recentemente autorizzato una differente modalità di svolgimento dei colloqui tra i detenuti appartenenti al circuito AS1, dedicando una giornata alla affettività ed incontro con le famiglie. Il colloquio, della durata di 4 ore, si è svolto in una grande sala nella quale ciascun detenuto ha avuto modo di avere vicino i propri familiari e consumare con loro il pranzo, grazie all’impegno dell’associazione di volontariato “Per ricominciare”

“Tra i molteplici benefici che un approccio di questo genere ha nella cura degli affetti familiari – racconta Roberto Cavalieri, garante dei detenuti a Parma – riporto la testimonianza della figlia di un detenuto, di 23 anni e studentessa universitaria di farmacia, la quale, attraverso il garante dei detenuti, ha voluto ringraziare la direzione e gli operatori del carcere in quanto la “Giornata in famiglia” gli ha permesso di pranzare per la prima volta nella sua vita con suo padre condannato all’ergastolo”.

I detenuti della Sezione AS1 hanno scritto una lettera per ringraziare pubblicamente l’Amministrazione Penitenziaria di Parma e l’impegno di chi ha reso possibile l’iniziativa:

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Carcere_lettera_detenuti_con_firmeQualche tempo fa alcuni di noi, discutendo con le Educatrici di questo carcere avanzarono richiesta per trascorrere una “Giornata in famiglia”; una giornata al di fuori dei consueti canoni del colloquio.

Nel corso dei mesi ci siamo resi conto che la Direzione stava davvero operando affinché l’evento si realizzasse.

Il progetto di una giornata dedicata all’incontro tra papà, nonni, zii con i loro figli e nipoti è l’evento che abbiamo coltivato con grande entusiasmo e nel quale ci siamo proiettati con sguardo curioso ed emozionato, osservandone lo sviluppo attraverso le parole, le attività e l’impegno di queste meravigliose Educatrici, le quali sostenute dal Direttore, dr. Carlo Berdini, dalla Vice Direttrice, dr.ssa Lucia Monastero, dal Comandate e dalla Polizia Penitenziaria stessa, dall’Associazione “Per ricominciare”, hanno portato a compimento un progetto a noi particolarmente caro.

Forse basterebbe la parola entusiasmo per dirvi ciò che proviamo, poiché è proprio quello il sentimento con il quale noi, detenuti condannati a lunghe pene e in prigione da più di vent’anni, ci siamo avvicinati a questo appuntamento e l’incoraggiamento che abbiamo ricevuto dal Direttore nel sapere possibile questo tipo di incontro è divenuto atto di allegra passione, trasmesso e poi vissuto con i nostri familiari, anche per coloro tra noi le cui figlie o figli hanno ormai superato l’età dell’infanzia (in ogni caso parliamo di chi per noi rappresenta il futuro e porta con sé il futuro, poiché ogni incontro è stupore, è diritto alla affettività, è forte sentire del senso di appartenenza).

Abbiamo gioito, giocato, dato corpo alla fantasia e osservato che la sensazione palpabile di oppressione che il carcere innegabilmente porta con sè, per qualche ora era sparita e quei frenetici e semplici gesti infantili hanno riconquistato il diritto al rumore, hanno lasciato il segno, hanno parlato con il nostro tenace desiderio di costruire il ritorno.

Siamo consapevoli che la nostra vita, per quanto realizzato, non è cambiata, tuttavia grazie alla solidarietà offerta dall’Associazione “Per ricominciare”, dalla sua Presidente, dr.ssa Emilia Zaccomer, e da tutte quelle splendide persone li presenti si è arieggiata una sala, si è dato valore alla solidarietà e all’ospitalità. Vorremmo dirvi, cordiali e affettuosi amici de l’Associazione “Per ricominciare” che il vostro impegno in favore della serenità dei bimbi molto centra con quanto avvenuto nella giornata del 24 agosto non solo perché avete sempre lavorato in favore dei minori, non solo perché avete fatto giocare i nostri rampolli. Voi ci avete parlato di solidarietà, ci avete offerto il vostro cibo, ci avete permesso di realizzare un incontro tra culture diverse, tra religioni diverse, il tutto all’interno di uno spazio che ha parlato di vite, di famiglie, di incontri, di rispetto reciproco. Voi ci avete donato il sorriso dei nostri cari e noi speriamo abbiate vissuto un’esperienza altrettanto rilevante, delicata e sincera, umile e generosa e siamo sicuri che i vostri familiari e le persone con le quali vi relazionate vi leggeranno con orgoglio ed emozione, questo è certo, perché con a vostra solidarietà avete reso felici tanti cuori; cuori imprigionati e segnati dalla lontananza e dal dolore.

Noi confidiamo vivamente che un simile momento non resti episodico e possa ripetersi, possa migliorarsi, perché esperienze del genere possono rappresentare per la società civile fonte di riflessione propositiva, giacché la speranza e la voglia di partecipazione sono risorse che non vanno smarrite o derise dall’indifferenza.

Il nostro messaggio vuole trasmettere un grazie a tutti coloro che hanno permesso si realizzasse l’evento e tra loro inseriamo il Garante comunale dei detenuti, dr. Roberto Cavalieri, per il contributo che sappiamo generoso e costante. Come costante è stata per noi la sua presenza in questi anni.

Esprimiamo con sincera lealtà la nostra gioia e il nostro ringraziamento verso un atto che è si previsto dalla legge, ma è pur sempre un atto coraggioso che valorizza un percorso lineare di chi è disponibile al confronto, allo sviluppo del trattamento e alla tutela di un insieme di soggettività tra loro unite: “i nostri familiari”.

Un grande abbraccio.

Carcere di Parma, Sezione AS1, 24 Agosto 2015

ANTONIO DI GIRGENTI – GIOVANNI MAFRICA – DOMENICO MORELLI – CORRADO FAVARA – ROBERTO REITANO – GIUSEPPE PISCOPO – CIRO PUCCINELLI – GIOVANNI AVARELLO – GIANFRANCO RUA’ – DOMENICO FERRAIOLI – GIUSEPPE BARRANCA – VITO MAZZARA – ENZO DI BONA – DOMENICO TESTA – GIOACCHINO NUNNARI – FIORE BEVILAQUA – VINCENZO NICASTRO – CIRO STOLDER – PIETRO VERNENGO – GAETANO BOCCHETTI – ANDREA GANCITANO – ANTONIO SORRENTO – LUIGI CAPOZZA – ANTONIO ROMEO – SALVATORE BENIGNO – GIOVANNI DONATIELLO – AURELIO CAVALLO

Comunicato Garante Comunale Detenuti di Parma e lettera Detenuti AS1

 

Parma, un giorno “in famiglia” per i detenuti della Sezione di Alta Sicurezza (As1)


CC Parma DAP“Un giorno per ricominciare”, colloquio collettivo e pranzo con i familiari in una grande sala. “Forse basterebbe la parola entusiasmo per dirvi ciò che proviamo, poiché è proprio quello il sentimento con il quale noi, detenuti condannati a lunghe pene e in prigione da più di vent’anni, ci siamo avvicinati a questo appuntamento”: i 31 detenuti della sezione AS1 (appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso) del carcere di Parma riassumono così, in un passaggio di una lettera aperta, l’esperienza della prima “Giornata in famiglia”.

Si è trattato – spiega Dires – Redattore Sociale – di un colloquio collettivo di quattro ore, in una grande sala nella quale ciascuno di essi ha avuto modo di avere vicino i familiari e con loro dividere il pranzo: tavoli da giardino, uno per nucleo. Un evento eccezionale, già messo in pratica per i detenuti comuni ma all’esordio assoluto nel caso di detenuti AS1, in carcere da 25, 30 anni, molti dei quali condannati all’ergastolo ostativo (e con colloqui molto più ridotti: quattro ore al mese).

“Una ragazza di 23 anni, studentessa in farmacia, mi ha chiesto di ringraziare la direzione e gli operatori del carcere perché è stata l’occasione di pranzare, per la prima volta nella sua vita, con suo padre condannato all’ergastolo. La sua testimonianza, le sue parole, mi hanno molto colpito”, racconta alla Dires Roberto Cavalieri, Garante per i detenuti di Parma. Prossimo obiettivo, passare dalla straordinarietà all’ordinarietà: “Ho detto al direttore che momenti come questo possono dimostrarsi più utili di tanti corsi di formazione. Eravamo preoccupati per la sicurezza, ma tutto si è svolto nella più totale tranquillità. Mi piacerebbe riproporlo, magari sotto Natale”.

“Giornata in famiglia”, resa possibile anche grazie alla collaborazione con l’associazione di volontari penitenziari “Per ricominciare”, si inserisce in un più ampio percorso verso un progressivo miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti del carcere di Parma della sezione AS1: “Sono stati loro a consegnarmi una lettera firmata per ringraziare pubblicamente l’amministrazione penitenziaria e il lavoro di tutti coloro che hanno reso possibile l’iniziativa”, continua Cavalieri. “Il progetto di una giornata dedicata all’incontro tra papà, nonni, zii con i loro figli e nipoti è l’evento che abbiamo coltivato con grande entusiasmo e nel quale ci siamo proiettati con sguardo curioso ed emozionato”, si legge nella lettera, che continua: “L’incontro è divenuto atto di allegra passione, trasmesso e poi vissuto con i nostri familiari, anche per coloro tra noi le cui figlie o figli hanno ormai superato l’età dell’infanzia. In ogni caso parliamo di chi per noi rappresenta il futuro e porta con sé il futuro, poiché ogni incontro è stupore, è diritto alla affettività, è forte sentire del senso di appartenenza”.

I detenuti ringraziano i volontari di “Per ricominciare” che hanno offerto il cibo: “Abbiamo gioito, giocato, dato corpo alla fantasia e osservato che la sensazione palpabile di oppressione che il carcere innegabilmente porta con sé, per qualche ora, era sparita e quei frenetici e semplici gesti infantili hanno riconquistato il diritto al rumore, hanno lasciato il segno, hanno parlato con il nostro tenace desiderio di costruire il ritorno”.

Tra i firmatari, anche due detenuti recentemente trasferiti a Parma da Padova (per la chiusura dei reparti di massima sicurezza), una decisione che numerose polemiche – da entrambe le parti – aveva suscitato: “Il fatto che anche loro, che nel carcere emiliano erano arrivati decisamente malvolentieri, abbiano gradito l’iniziativa ci dà grande soddisfazione: speriamo di continuare su questa strada”, conclude Cavalieri.

La Repubblica, 8 settembre 2015

 

Pisa, suicida in carcere, il corpo resta 20 giorni in cella frigorifera per un fax non inviato dal Pm


Carcere di PisaDalla procura non è stato trasmesso il nullaosta La rabbia dei familiari: “Nessun rispetto per questa morte”. Non l’hanno potuta vedere nemmeno quando la salma è stata loro riconsegnata. Non hanno potuto baciare quel piccolo volto che hanno visto l’ultima volta a fine luglio, prima di essere portata al carcere don Bosco di Pisa. Ramona è morta lì. Suicida, hanno detto gli agenti della penitenziaria. Ma secondo i suoi familiari, quello che è successo nella cella dove la ventisettenne era rinchiusa, è ancora tutto da chiarire.

Due giorni fa c’è stato il funerale a Follonica. La cassa di legno non è stata riaperta e nessuno ha potuto poggiare le proprie labbra sul volto della ragazza. Perché Ramona è rimasta in una cella frigorifera del santa Chiara per venti giorni. Un tempo infinito, un tempo di dolore che si è protratto a causa di un disguido. “Il sostituto procuratore aveva dato l’ok per la sepoltura di Ramona il 19 o il 20 agosto, dopo l’autopsia – dice la sorella della ragazza, Consuelo – ma il fax non è mai stato trasmesso. Che la situazione era stata sbloccata lo abbiamo saputo qualche giorno fa dall’impresa funebre che ha organizzato il funerale di mia sorella. È stata tenuta venti giorni in una cella frigorifera. le hanno fatto male in vita e anche da morta”. Consuelo trattiene a stento le lacrime. Non ha potuto vedere Ramona se non per un solo minuto, all’obitorio del santa Chiara di Pisa, subito prima che si svolgesse l’autopsia.

E quando la piccola bara bianca che conteneva il corpo della ventisettenne ha cominciato la sua marcia dall’abitazione della ragazza fino al camposanto di Follonica, non c’era nemmeno un vigile a regolare il traffico. “In tanti si sono stupiti per questa assenza – dice la mamma Manola – Sono stati gli addetti delle pompe funebri a rallentare le auto per permetterci di arrivare al cimitero. E nemmeno nessuno del Comune, tranne alcuni operai, si è fatto vivo con noi. Né il sindaco, né un assessore. Le istituzioni sono state completamente assenti nonostante che nostra figlia sia morta in una struttura dello Stato”.

I tanti ricordi della ragazza sono tutti conservati nella sua casa. Ci sono i suoi vestiti, i suoi oggetti. I suoi scritti. C’era tutta la sua vita, in quell’appartamento dove ieri sua madre e sua sorella sono entrate un’altra volta. “Ora aspettiamo la risposta dell’autopsia – aggiunge Consuelo – e non ci arrenderemo fino a quando non sapremo tutta la verità. Ci sono troppi punti oscuri in questa vicenda, troppe cose che non tornano”.

Verità, giustizia. Ma anche rispetto. Rispetto per una ragazza di 27 anni che ha avuto una vita difficile. “Rispetto che è mancato quando non è stato trasmesso il nullaosta per la sepoltura di mia sorella – dice ancora Consuelo – che era pronto ma che è arrivato a Pisa con venti giorni di ritardo. Gli addetti delle pompe funebri non l’hanno nemmeno potuta vestire, i suoi abiti le sono stati poggiati sopra. È stata sempre il parafulmine di tutti i guai di Follonica, e purtroppo ha pagato anche dopo la sua morte”.

Francesca Gori

Il Tirreno, 8 settembre 2015

Benevento, è morto il 90enne detenuto di San Leucio del Sannio. Venerdì scorso era stato scarcerato


Casa Circondariale di BeneventoSi è fermato il cuore dell’ultranovantenne di San Leucio del Sannio. La storia, purtroppo, è arrivata al capolinea. E, ora, non servono più udienze e magistrati. Perché è morto l’ultra novantenne di San Leucio del Sannio finito alla ribalta della cronaca negli ultimi mesi. Dopo oltre tre mesi di detenzione in carcere, venerdì scorso era tornato a casa. In attesa di essere trasferito presso un centro di riabilitazione per ricevere le cure di cui aveva bisogno dopo l’operazione al femore, conseguenza di una caduta.

L’anziano, secondo una prima ricostruzione, non si sarebbe sentito bene e per questo, dopo le prime cure, sarebbe stato trasportato in ospedale, dove il suo cuore ha cessato di battere. È l’ultimo capitolo di una storia cominciata lo scorso 23 giugno, quando il pensionato era stato arrestato dalla squadra mobile sulla base di un ordine della Procura generale di Napoli. Doveva scontare 8 anni per una vicenda di abusi sessuali risalenti al periodo 2000 – 2001: assolto in primo grado era stato condannato in appello con una sentenza non impugnata in cassazione.

Pena definitiva, dunque, di cui il suo attuale difensore, l’avvocato Eugenio Capossela, aveva chiesto il differimento al Tribunale di sorveglianza (udienza a dicembre) e poi al magistrato di Sorveglianza di Avellino. Quest’ultimo aveva detto no ritenendo compatibili le condizioni dell’uomo con il regime carcerario: un dato emerso dalla relazione dei sanitari.

Mentre era in infermeria, ad agosto il detenuto era rimasto vittima di una caduta dalla sedia a rotelle. Per questo era stato operato al Fatebenefratelli: qualche giorno di degenza, poi il rientro presso la casa circondariale di contrada Capodimonte. Che aveva, come detto, lasciato venerdì quando il magistrato di sorveglianza aveva concesso il differimento dell’esecuzione della pena per l’ultranovantenne, per consentirgli le terapie riabilitative. Di cui, ora, purtroppo, non ha più bisogno.

Enzo Spiezia

ottopagine.it, 8 settembre 2015