Palermo, detenuto legato alla branda con “fasce di contenzione” picchiò Agenti, assolto


Cella carcereLo avevano tenuto legato alla Branda della cella, all’Ucciardone, per 24 ore, assicurandolo con “fasce di contenzione”, espressione elegante per definire la camicia di forza. E per questo i giudici di appello di Palermo definiscono il comportamento dei poliziotti penitenziari arbitrario e inumano, affermando che si è tradotto “in una forma di tortura e nella violazione dei diritti costituzioni”.

Il processo non era contro gli agenti ma contro di lui, Amadou Abiyara, nato in Costa d’Avorio e finito in cella, l’1 febbraio del 2008: dopo che lo avevano lasciato un’intera giornata senza poter mangiare o bere né fare i bisogni fisiologici, nel momento in cui era stato liberato, Amadou aveva reagito violentemente. Era stato per questo condannato a otto mesi. Ora è stato assolto. È stato un difensore d’ufficio, l’avvocato, Venera Micciché, a chiedere giustizia.

E la Corte d’appello ha ricordato che immobilizzare i soggetti che appaiono pericolo si può apparire inumano ma è consentito solo se a stabilirlo è uno psichiatra. Nel caso specifico la prescrizione non c’era mai stata: “Ed allora – si legge in sentenza – è da chiedersi se rientri nelle funzioni del personale del carcere assicurare un soggetto straniero, che non parla italiano, con fasce di contenzione dentro una cella, senza più curarsi di lui e delle sue necessità per circa 24 ore”. La reazione può ritenersi così giustificata – altra stoccata – “ignorando l’imputato le particolari consuetudini utilizzate talvolta, come nel caso di specie, nelle carceri italiane, e ritenere che nei suoi confronti sia stata esercitata una forma di violenza fisica non consentita”.

Riccardo Arena

La Stampa, 26 giugno 2015

Droghe: c’è chi sta ancora in carcere per la Fini-Giovanardi e Renzi non fa niente


Marijuana 3Esce il Libro Bianco di Antigone e della Società della Ragione sulla legge per le droghe leggere: “La politica si è mostrata pavida e latitante”.

C’è chi è ancora in carcere illegittimamente. Chi non avendo un buon avvocato non ha potuto far valere le sue ragioni. Oppure, più semplicemente, c’è chi sta ancora scontando la pena per la lentezza e la “farraginosità della macchina giudiziaria”. Spesso i registri informatici non riescono a rilevare le richieste. E migliaia di detenuti continuano a rimanere in galera. Mette i brividi l’ultimo Libro Bianco dell’associazione Antigone e della Società della Ragione sulla legge sulle droghe.

A un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi non è cambiato nulla, né la maggioranza dei detenuti giudicati all’epoca è riuscita a far valere le proprie ragioni contro pene illegittime. Colpa soprattutto del legislatore, del governo di Matteo Renzi, che non è intervenuto mai sulla questione, nonostante le richieste dello stesso presidente della Corte di Cassazione all’inizio dell’anno giudiziario.

E nonostante l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, come dichiarato più volte dall’Unione Europea. A gennaio il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, chiese di “adeguare le pene previste in questa materia, tenuto conto del ripristino della differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti e, soprattutto, prendendo coraggiosamente atto della estrema inutilità dell’incremento sanzionatorio stabilito con la legge Fini-Giovanardi”.

All’epoca, era il febbraio del 2014, ci si aspettava – si legge nella relazione – che “la pronuncia di incostituzionalità avrebbe avuto effetti sulla popolazione detenuta nelle carceri italiane. Diminuendo significativamente (passando da 20 a 6 anni) il massimo della pena per detenzione e spaccio di derivati della cannabis”. In particolare l’ipotesi è che si sarebbero prodotti due effetti: “in primis l’insussistenza dei presupposti per misure cautelari in carcere basati su previsioni di pena assai superiori a quelle vigenti dopo la sentenza; e a seguire la necessità di rideterminare le condanne passate in giudicato sulla base delle pene giudicate illegittime”.

Nulla di tutto questo. Anche se nell’ultimo anno sono state portate avanti battaglie da parte della Società della Ragione contro le pene illegittime. Come le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che nell’ottobre del 2014 “dettero impulso alla rideterminazione delle pene. Fu cioè riconosciuto ai detenuti il diritto a ottenere il ridimensionamento delle pene sulla base della normativa così come uscita dalla sentenza della Corte costituzionale”

Corte di cassazione1Leonardo Fiorentini, tra gli estensori del Libro Bianco, è molto preciso nella relazione. “Sulla base del pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le associazioni iniziarono la campagna “Contro la pena illegittima”, chiedendo al parlamento e al governo un provvedimento che garantisse una decisione immediata e uguale per tutti, con una riduzione di due terzi delle pene comminate sulla base di una legge incostituzionale. Purtroppo anche in questa occasione la politica si è mostrata pavida e latitante e questo semplice provvedimento non è stato adottato”.

A nulla sono poi servite le lettere e gli appelli inviati al governo. “Molti garanti dei diritti dei detenuti” si legge “hanno anche richiesto alle Procure della Repubblica informazioni sulla quantità di incidenti di esecuzione e sul loro esito. Le risposte da parte delle istituzioni sono state poche e assai poco significative”. Il risultato è avvilente, perché migliaia di detenuti non sono riusciti a far valere i loro diritti. “La Procura generale della Corte d’Appello di Milano segnala di avere ricevuto 51 richieste e di averne accolte il 20%. Rimanda per il resto della Lombardia alla procura generale di Brescia e alle 13 Procure della Repubblica”.

E poi ancora: “La Procura Generale di Firenze ha effettuato una ricerca dei fascicoli in esecuzione relativi a reati di droga e ne ha individuati circa 400 e di questi 44 relativi a droghe leggere e solo per 7 casi si è proceduto alla rideterminazione della pena. Il quadro che emerge dalle risposte delle procure della Toscana è desolante; solo a Prato è stato disposto un monitoraggio. Per il resto poche istanze e ancora meno accoglimenti.

Alcune procure sostengono che il registro informatico dell’esecuzione (Siep) non consente la rilevazione delle specifiche richieste di rideterminazione della pena per cui non sono estrapolabili quelle conseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014. Altre procure rimandano alle cancellerie del giudice dell’esecuzione. Abbiamo avuto notizia che la Procura di Napoli si è attivata in prima persona e che sono stati esaminati 233 casi di incidenti di esecuzione”.

Per questo motivo, conclude la relazione, “Molti hanno scontato fino alla fine la pena illegittima mentre probabilmente alcuni sono ancora in carcere. In ogni caso, la campagna ha messo in luce la farraginosità della macchina giudiziaria e il suo carattere discriminatorio e di classe. Solo chi ha risorse e avvocato può sperare di vedere riconosciuto il suo diritto. La campagna “Contro la pena illegittima” proseguirà chiedendo al Ministero della Giustizia di impegnarsi nel richiedere tutti i dati e fornire almeno un quadro esaustivo di una vicenda paradossale”.

Alessandro Da Rold

http://www.linkiesta.it, 26 giugno 2015

Cannabis legale, le proposte dell’On. Bruno Bossio (Pd) alla bozza dell’Intergruppo


cannabis 1Non c’è nulla di “ufficiale” per il momento ma, seppur doveva rimanere “riservata”, la proposta di legge che l’Intergruppo Parlamentare sulla Cannabis ha abbozzato, è stata già resa pubblica. In verità, durante l’ultimo incontro dell’Intergruppo costituito su iniziativa del Senatore Benedetto Della Vedova, radicale del Gruppo Misto, Sottosegretario agli Affari Esteri del Governo Renzi, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato Pd, calabrese, molto vicina alle posizioni dei Radicali, ha proposto alcune importanti modifiche al testo che, per la gran parte, riprende le proposte di legge presentate sin’ora nei due rami del Parlamento dal Movimento Cinque Stelle, da Sinistra Ecologia e Libertà e dal Partito Democratico. Inizialmente, la predetta, voleva presentare una sua proposta di legge per la revisione completa del Testo Unico sugli Stupefacenti ma, nel frattempo, essendo stato costituito l’Intergruppo ed avendovi aderito, ci ha rinunciato, impegnandosi a “migliorare” per quanto possibile il progetto di legge denominato “Norme per la legalizzaziopne della cannabis e dei suoi derivati” che verrà presentato dall’Intergruppo.

In particolare, le modifiche proposte dall’On. Bruno Bossio sono quattro e riguardano i primi dei quattro articoli della bozza dell’Intergruppo. Per quanto concerne la coltivazione in forma associata di cannabis sul modello dei cannabis sociale club spagnoli (Art. 1) ha proposto di aggiungere al comma 1 ter, le seguenti parole “limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80”. La norma, infatti, così come proposta, prevede che gli associati debbano essere maggiorenni e residenti in Italia e non debbano aver riportato condanne definitive per i reati di cui all’Art. 416 bis del Codice Penale e agli Articoli 70, 73 e 74 del Testo Unico. Ritengo doveroso – ha detto l’On. Bruno Bossio – che il divieto di coltivazione, previsto in tale articolo all comma 1 ter, fermo restando le altre ipotesi, venga circoscritto per tutti i condannati per spaccio o cessione (Art. 73), che siano stati riconosciuti responsabili per fatti di grave entità ed altro (ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80. In sostanza, vanno inclusi, tra i possibili coltivatori in forma associata, quelle migliaia di cittadini sino ad oggi condannate per detenzione e/o cessione di piccole quantità di stupefacenti che, invece, attualmente, la proposta escluderebbe. E su tale modifica, pare che la maggioranza dell’Intergruppo, si sia espressa favorevolmente. Altra questione affrontata è stato il divieto assoluto di fumare i derivati della cannabis negli spazi pubblici o aperti al pubblico e nei luoghi di lavoro pubblici e privati, contenuto nell’Art. 30 bis comma 2. Tale divieto, per la Parlamentare, così come proposto, è del tutto assurdo e sproporzionato. Ha proposto, infatti, di sopprimere tout court il comma 2 dell’Articolo 30 bis oppure di sostituirlo con il divieto, attualmente vigente, per quanto concerne il fumo del tabacco, lasciando in via supplementare la possibilità alle Amministrazioni e agli Enti Pubblici, nell’ambito del territorio di loro competenza, di istituire tale divieto in spazi pubblici e aperti al pubblico qualora ricorrano comprovati motivi per la salute dei non fumatori previo parere delle Autorità Sanitarie. Questa proposta, al momento, seppur condivisa da altri membri dell’Intergruppo, pare che non venga accolta e che resterà il divieto sancito nella bozza provvisoria.

Poi ha proposto alcune modifiche importantissime anche all’Articolo 3 concernente le condotte non punibili e fatti di lieve entità. Si sancisce la “non punibilità” della cessione di cannabis e dei prodotti da essa ottenuti a determinate condizioni ed entro specifici limiti. In sostanza, si depenalizza la cessione a persona maggiorenne e, comunque, la cessione che avvenga fra soggetti minori, di una modica quantità di cannabis (nei limiti consentiti), in quanto presuntivamente preordinata al consumo personale. E su questo, nulla da eccepire. Non altrettanto, però, per quel che riguarda le pene detentive e pecuniarie ipotizzate. Infatti, la Deputata calabrese, ha proposto di modificare la lettera b) al fine di ridurne sensibilmente il minimo ed il massimo edittale previsto per le c.d. “droghe pesanti” (cocaina, etc.) anziché 6 anni, 4 anni di reclusione e la multa anziché da euro 2.064 a euro 13.000, da euro 1.000 a euro 5.000 e, fermo restando le pene detentive ipotizzate per le c.d. “droghe leggere” (cannabis, etc.) da 6 mesi a 3 anni, ha proposto di ridurre quelle pecuniarie, nel minimo e nel massimo, anziché da euro 1.032 a euro 6.500, da euro 500 ad euro 2.500. Ciò, ha inteso precisare l’On. Bruno Bossio, per evitare il ripristino della possibilità, per l’Autorità Giudiziaria, di disporre la custodia in carcere anche per i fatti di lieve entità per le c.d. “droghe pesanti” e salvaguardare la possibilità di sospendere la carcerazione del condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza, in attesa del giudizio della Magistratura di Sorveglianza e per applicare, nella fase processuale, il nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato nonché l’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto poiché, con l’innalzamento della pena a 6 anni di reclusione, verrebbe categoricamente escluso. Salvaguardare la non punibilità per particolare tenuità del fatto va nella direzioone della riduzione del sovraffollamento carcerario e per non ingolfare i Tribunali con processi per fatti tenui e non abituali come quello della modesta detenzione e/o cessione di sostanze stupefacenti anche di tipo “non leggere”, così come la non applicabilità della carcerazione preventiva ai reati puniti con pena detentiva inferiore a 5 anni. Infine, ha proposto di aggiungere un ulteriore comma, dopo il comma 1, per abrogare i commi 1 e 2 dell’Articolo 85 del Testo Unico sugli Stupefacenti. Sono le “pene accessorie” che il Giudice può comminare ai condannati e che consistono nel divieto di espatrio e nel ritiro della patente di guida per un periodo non superiore a 3 anni. Ritengo, ha insistito la democrat, che sia giusto abrogare queste “pene accessorie” o, comunque, di non applicarle per i fatti di lieve entità, ritenendole eccessive ed inadeguate in quando riducono ed ostacolano, tra le altre cose, le opportunità di lavoro e di reinserimento sociale dei soggetti sanzionati in spregio a quanto previsto dal principio di finalizzazione della pena, più volte affermato dalla Corte Costituzionale, e perché comunque non hanno alcuna concreta efficacia nei confronti dei condannati. Il ritiro della patente di guida è un handicap assoluto o relativo, assoluto nelle attività di lavoro in cui la patente è necessaria e relativo in tutte quelle in cui l’uso della stessa è più o meno indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro. Non disporre della patente di guida oggi è una forma di grave incapacitazione della persona. I condannati, non saranno certo “ostacolati” dal divieto di espatrio o dal ritiro della patente se intendano tornare a delinquere mentre lo saranno se intendano seguire un percorso di riabilitazione sociale e di lavoro. Su tutte queste proposte, invece, stante la loro importanza, nei prossimi giorni, ci sarà una riunione specifica. Inoltre, l’ultima modifica proposta, attiene all’Articolo 4 sugli illeciti amministrativi. E’ stato proposto di inserire la lettera e) che prevede un’aggiunta all’Articolo 75 comma 4 del Testo Unico e cioè che il termine concesso al Prefetto per l’adozione del provvedimento di convocazione della persona segnalata dalle Forze dell’Ordine per uso personale, debba essere perentorio e non più ordinatorio, in modo tale da rispettare quel tempo congruo e ragionevole (40 giorni) che la normativa vigente individua rispetto la finalità cautelare cui il provvedimento è legato. Infine, è stato proposto, di aggiungere sempre all’Articolo 75 comma 4, che la mancata presentazione al colloquio prefettizio non possa comportare automaticamnete l’irrogazione delle sanzioni se la persona convocata adduca giustificati motivi. Anche su queste ultime proposte, l’Intergruppo, farà le proprie valutazioni.

Emilio Quintieri, Radicali Italiani

Il Garantista, 26 Giugno 2015