Carceri, Braccialetti elettronici finiti; niente arresti domiciliari i detenuti restano in cella


arresti-domiciliari-con-braccialetto-elettronico-820x427Non ascoltato l’allarme lanciato un anno fa dal Capo della Polizia Pansa. La gara d’appalto per la nuova partita non è stata svolta: mancano i fondi.

Era il 19 giugno 2014 quando con una circolare inviata ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il Capo della Polizia Alessandro Pansa accendeva i riflettori sull’emergenza braccialetti elettronici ormai dietro l’angolo: entro la fine del mese corrente, annunciava il prefetto nel documento recapitato al Dap, la scorta di 2.000 apparecchi diventata largamente insufficiente dopo le nuove leggi dei governi Letta e Renzi in materia di sorveglianza sugli stalker, decongestionamento carcerario e misure alternative alla detenzione per le pene inferiori ai tre anni, sarebbe finita.

Per i nuovi braccialetti, osservava ancora Pansa, si sarebbe dovuto attendere fino ad aprile del 2015, vista la necessità di predisporre un capitolato per una gara europea di fornitura. Dopo un anno e due giorni di fatalista e inerte attesa, oggi quell’allarme si trasforma nel disastro ampiamente annunciato sotto gli occhi del governo.

Perché non solo la circolare di Pansa in allora è caduta nel vuoto ma nel frattempo nemmeno la gara europea fissata per la primavera di quest’anno è stata ancora fatta. Ed è così che negli ultimi mesi a più di un detenuto ospite delle patrie galere è stata offerta l’ennesima variazione sul tema dei diritti umani calpestati: sapere che un giudice ha firmato l’ordinanza che ti permette di tornare a casa, ai domiciliari, ed essere nonostante questo costretto a rimanere in cella a oltranza perché il braccialetto che dovrà sorvegliarti non c’è.

L’ultima tragicomico obbrobrio prodotto dal sistema giudiziario e dall’universo carcerario italiano è cristallizzato in una nuova lettera, stavolta scritta da un magistrato e inviata proprio al Capo della Polizia che un anno fa sollecitava il ministero della Giustizia, quasi a sottolineare plasticamente l’ennesimo rimpallo di competenze dal sapore inconfondibilmente nostrano.

A fine aprile, mentre si vedeva obbligato a trattenere dentro le sbarre un carcerato che a suo parere meritava l’attenuazione della misura cautelare, un gip romano ha infatti scritto al prefetto Alessandro Pansa ricordando “la scarsezza degli strumenti e sollecitando l’adozione di opportune iniziative atte ad evitare che il perdurare della condizione di detenzione del sopracitato imputato dipenda dalla occasionale inadeguatezza di strumenti tecnici”.

Il detenuto, nella circostanza, è stato scarcerato solo un mese dopo la firma del magistrato. Un destino che riguarda centinaia di altri carcerati che rimangono in cella a oltranza anche se il gip ha concesso l’attenuazione della misura. Ogni nuova attivazione al momento dipende infatti dal termine di un’altra custodia cautelare. Il contratto firmato nel 2004 tra Viminale e Telecom per la fornitura, l’installazione e il monitoraggio di 2.000 braccialetti elettronici scade a fine 2018.

Già un anno fa la stessa Telecom aveva avvisato il ministero retto da Angelino Alfano che i braccialetti non sarebbero bastati. La risposta è stata che si sarebbe fatta una nuova gara (quella prevista per l’aprile scorso) che però non è stata ancora indetta. Il capitolato è pronto, si è appreso da fonti del Viminale. A mancare sarebbero però i soldi, ovvero i necessari stanziamenti del Ministero dell’Economia che permetterebbero di tamponare una situazione di crisi la cui potenziale esplosività era nota a tutti gli attori da tempo.

Per un decennio il braccialetto è rimasto un oggetto misterioso e trascurato, poi due anni fa il gip del tribunale di Roma Stefano Aprile impose alla questura di Roma di utilizzare sistematicamente gli apparecchi disponibili visto che il sistema risultava regolarmente attivato. In pochi mesi il braccialetto elettronico ha preso piede anche in altre procure e tribunali d’Italia.

Ci hanno pensato poi gli ultimi governi a trasformare l’apparecchio in uno strumento cardine nella politica di alleggerimento dei penitenziari: solo dieci giorni dopo l’allarme lanciato da Pansa lo scorso anno, infatti, il 28 giungo 2014 è entrato in vigore il decreto 92. In base alla norma ogni nuovo arrestato, ma anche chi è già detenuto in attesa di giudizio o con una sentenza non ancora definitiva, deve essere inviato agli arresti domiciliari se il giudice competente prevede per lui una pena non superiore ai tre anni. Prima ancora c’erano stati il decreto sul femminicidio, che nell’estate del 2013 ha introdotto il braccialetto come strumento di controllo per gli stalker. E poi la svuota carceri varata nell’inverno 2014, che li fece diventare praticamente obbligatori per i detenuti assegnati agli arresti domiciliari.

Il gip lo manda ai domiciliari. In cella un altro mese

Detenuto in attesa di scarcerazione. A distanza di 44 anni dal film di denuncia di Nanni Loy, da quel “Detenuto in attesa di giudizio” in cui Alberto Sordi viaggiava attraverso i soprusi e i meccanismi infernali della giustizia e del sistema penitenziario italiani sviscerandoli impietosamente con una delle sue massime prove d’attore, dall’arcipelago carcerario italiano spuntano nuovi e aggiornati capolavori di kafkiana assurdità.

Sarebbe dovuto uscire di prigione subito, dopo che il gip di Roma lo scorso 21 aprile gli aveva concesso i domiciliari a una condizione: data la sua potenziale pericolosità, gli doveva essere applicato il braccialetto elettronico. Invece un uomo detenuto a Roma, condannato in primo grado per rapina e sottoposto a custodia cautelare, prima di poter lasciare il penitenziario come deciso dallo Stato è stato costretto (sempre dallo Stato) a rimanere un altro buon mesetto dietro le sbarre a causa della penuria di braccialetti elettronici che sta mettendo a dura prova l’applicazione concreta delle già contestate misure “svuota-carceri” varate dagli ultimi due governi. La vicenda viene denunciata in una lettera spedita al ministero dell’Interno proprio dal gip che aveva concesso i domiciliari vincolati all’impiego del braccialetto.

“Ritengo doveroso rappresentare la grave situazione che si verifica a seguito della indisponibilità dei dispositivi in oggetto”, esordiva il giudice il 30 aprile scorso nella missiva spedita al Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale. “A distanza di alcuni giorni dall’ordinanza”, denuncia il magistrato, “senza avere avuto alcun riscontro in merito all’esecuzione dell’ordinanza, con nota 27 aprile 2015 si sono richieste informazioni alla casa circondariale”.

È così che il gip ha scoperto che il suo provvedimento non aveva avuto applicazione. Infatti il commissariato di Spinaceto informava che il sopralluogo nel domicilio del detenuto per l’installazione dell’apparecchiatura si era concluso positivamente. Il problema, però, è che si era in attesa della “conferma di disponibilità dell’apparato”. Tenendo conto delle rassicurazioni fornite “anche in sede parlamentare”, chiosava il gip, “si sollecita l’adozione di opportune iniziative atte ad evitare che il perdurare della condizione di detenzione del sopra citato imputato dipenda dalla occasionale inadeguatezza di strumenti tecnici”.

Parole rimbalzate nel vuoto. Prima di lasciare il carcere, l’uomo ha dovuto attendere altri 20 giorni prima che venisse il suo turno di indossare uno dei preziosi e contesi braccialetti disponibili nella seleziona “parure” del Viminale.

Martino Villosio

Il Tempo, 22 giugno 2015

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