Radicali : Faremo ricorso all’Onu se il reato di tortura sarà quello in discussione al Senato


Nazioni Unite OnuNella Giornata Mondiale Contro la Tortura, i dirigenti Radicali Sergio d’Elia, Segretario di Nessuno tocchi Caino, Rita Bernardini, Segretaria di Radicali Italiani, Maurizio Turco, Tesoriere del Partito Radicale e Marco Perduca, Rappresentante all’Onu del Partito Radicale ed Elisabetta Zamparutti, Tesoriera di Nessuno tocchi Caino e candidata al Comita europeo Prevenzione Tortura hanno dichiarato:

“Sul tema della tortura, l’Italia si conferma essere un Paese che non rispetta gli obblighi che le derivano dal Diritto Internazionale. Non solo a distanza di ben 26 anni dalla ratifica della Convenzione Onu sulla tortura siamo ancora in attesa dell’introduzione del reato nel nostro ordinamento, ma il testo finalmente all’esame del Parlamento disattende la definizione propria del Diritto Internazionale per il quale la tortura non è una fattispecie di reato “comune” cioè che si può commettere tra due privati cittadini (in famiglia, fra criminali, in un consesso mafioso..).

La polizia per prima, che appare invece ribellarsi corporativamente all’introduzione del reato di tortura in Italia, dovrebbe respingere la proposta in discussione proprio per l’offensivo e umiliante accostamento a comportamenti delinquenziali di cittadini comuni, e accettare quindi la previsione del reato secondo il diritto internazionale, laddove cioè ci sia un obbligo di custodia o un obbligo giudiziario di intervento.

È quindi un reato specifico, tipico del comportamento di un pubblico ufficiale nelle sue vesti di responsabile di investigazione o indagine giudiziaria su persone sospettate di reato, di custodia e tutela di una persona privata della libertà personale”, hanno spiegato i Radicali che hanno poi aggiunto “Peraltro, l’Italia, due anni fa, ha ratificato il Protocollo Facoltativo alla Convenzione Onu sulla tortura per il quale andrebbe creata un’istituzione indipendente per le visite nonché un sottocomitato nazionale per la prevenzione della tortura, che non abbiamo ancora istituito per cui neppure su questo siamo in linea coi nostri obblighi internazionali”.

I Radicali danno atto del fatto che nel passaggio dal Senato alla Camera della legge sul reato di tortura, sono state introdotte modifiche positive come quella per cui la condotta deve essere intenzionale e quella per cui anche una sola condotta costituisce atto di tortura.

“Tuttavia il reato rimane comune e a forma vincolata (tramite violenza o minaccia) e questo lascia del tutto scoperte le più moderne forme di tortura (solo per fare degli esempi: privazione del cibo o del sonno; sottoposizione ad alte o basse temperature; la musica ad altissimo volume o costringere a posture innaturali, etc.). Senza contare che manca del tutto l’insieme di regole previste dalla Convenzione (articoli 2, 10 e 11) per prevenire gli illeciti, dalla formazione del personale di polizia, civile, militare, medico al sistema di identificazione degli agenti”, hanno precisato D’Elia, Bernardini, Turco e Perduca.

I Radicali hanno concluso annunciando: “Se il testo all’esame del Senato non verrà modificato faremo ricorso al Comitato Onu sulla tortura per la non aderenza della legge agli obblighi di implementazione della Convenzione Onu. Inoltre, ci batteremo per modificare la previsione in base alla quale per la morte non voluta sia prevista una pena superiore a quella dell’omicidio volontario (con evidenti profili di incostituzionalità) e, per chi cagiona volontariamente la morte, si sia mantenuta la pena dell’ergastolo, che ci vede storicamente contrari.”

http://www.radicali.it, 28 giugno 2015

Giustizia: l’On. Enza Bruno Bossio (Pd) torna alla carica “l’ergastolo ostativo va abolito”


On_Vincenza_Bruno_BossioDetto, fatto. L’Onorevole Enza Bruno Bossio del Partito Democratico, dopo che la Commissione Giustizia, nelle scorse settimane, su proposta della Presidente Donatella Ferranti, aveva adottato come “testo base” il Disegno di Legge del Governo C. 2798 riguardante la riforma dell’Ordinamento Penitenziario, ha presentato alcune proposte emendative e tra queste quelle che ripropongono, sotto forma di criterio di delega, la revisione dell’Art. 4 bis della Legge Penitenziaria già contenute nel progetto di legge di cui è prima firmataria, comunque abbinato a quello del Governo.

Bruno Bossio che è anche membro della Commissione Bicamerale Antimafia, ha proposto con l’Emendamento 26.15 di sostituire l’articolo 26 comma 1, lettera C) del Disegno di Legge con il seguente “c) eliminazione di rigidi automatismi e di preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di accesso ai benefici penitenziari ed alle altre misure alternative alla detenzione per i condannati per taluno dei delitti di cui all’articolo 4 bis della Legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modifiche ed integrazioni nei casi in cui risulti che la mancata collaborazione dei predetti con la Giustizia ai sensi dell’articolo 58 ter della Legge medesima, non escluda il sussistere dei presupposti, diversi dalla predetta collaborazione, che consentono la concessione dei benefici e delle misure alternative in modo tale da permettere anche il superamento dell’ergastolo ostativo, cioè di numerose situazioni in cui il fine pena coincide necessariamente con il fine vita, e a trasformare l’attuale presunzione di non rieducatività in assenza di collaborazione da assoluta in relativa fermo restando che non siano stati acquisiti elementi conoscitivi concreti e specifici fondati su circostanze di fatto espressamente indicate che dimostrino in maniera certa l’attualità di collegamenti dei condannati con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”.

Tale proposta, al momento, è una delle più sottoscritte di tutti i numerosi emendamenti (319, 52 quelli specifici sulla riforma dell’Ordinamento Penitenziario) presentati al progetto di legge del Governo Renzi all’esame, in sede referente, nella Commissione Giustizia di Palazzo Montecitorio. Oltre all’On. Bruno Bossio, hanno apposto la loro firma anche i Deputati Danilo Leva, Bruno Censore, Ernesto Preziosi, Luigi Lacquaniti (Partito Democratico), Daniele Farina, Celeste Costantino, Gianni Melilla (Sinistra Ecologia e Libertà) ed Elda Pia Locatelli (Partito Socialista Italiano).

Analoga proposta, più o meno, è stata avanzata da Forza Italia con l’Emendamento 26.16. Prima firmataria l’Onorevole Jole Santelli, Deputato di Forza Italia ed ex Sottosegretario alla Giustizia nel secondo e terzo Governo Berlusconi, calabrese anche lei come l’On. Bruno Bossio. All’Art. 26 comma 1, sostituire la lettera e) con la seguente : “e) eliminazione di automatismi che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati l’individualizzazione del trattamento rieducativo, anche a seguito di revoca di benefìci penitenziari, secondo i principi di ragionevolezza, uguaglianza e finalizzazione rieducativa della pena; rimozione di generalizzati sbarramenti preclusivi all’accesso ai benefici al fine di conformare l’esecuzione penale all’evoluzione della personalità del condannato ed alla concreta pericolosità sociale, presenza di perduranti collegamenti con le organizzazioni criminali di riferimento; revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo per i reati di matrice mafiosa e terroristica individuando nella prova positiva della dissociazione il superamento della presunzione relativa di pericolosità.” In questo caso, oltre alla firma della Santelli, vi è apposta quella di Massimo Parisi e Luca D’Alessandro, Deputati di Forza Italia, tutti membri della Commissione Giustizia della Camera. Decisamente contraria è invece la Lega Nord che con l’Emendamento 26.14 ha proposto di sopprimere tutta la lettera c) dell’Articolo 26 del Disegno di Legge. Primo firmatario l’Onorevole Nicola Molteni, Capogruppo del Partito in Commissione Giustizia insieme al collega Deputato Massimiliano Fedriga. Addirittura gli Onorevoli Molteni e Fedriga hanno presentato un altro Emendamento (il 13.12) sul processo penale con il quale, in sostanza, riprendono il contenuto della proposta di legge C. 1129 dell’On. Molteni ed altri per la modifica degli Articoli 438 e 442 del Codice di Procedura Penale per l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo, pur preferendo l’approvazione della stessa. In pratica, con la proposta, vengono esclusi dal giudizio abbreviato i procedimenti per i delitti di competenza della Corte di Assise e viene soppressa la possibilità per il Giudice di infliggere, in luogo della pena dell’ergastolo, quella della reclusione di 30 anni o, in luogo dell’ergastolo con l’isolamento diurno nei casi di concorso di reati o di reato continuato, quella del solo ergastolo. Molteni ha, inoltre, espressamente chiesto che tale proposta di legge sia inserita nel calendario dei lavori dell’Assemblea per il mese di luglio.

Commissione Giustizia Camera DeputatiContrario anche il Gruppo Parlamentare del Movimento Cinque Stelle che ha presentato, per il caso specifico, due distinti emendamenti. Il 26.19 con il quale propone, all’Art. 26 comma 1 lett. c) di sopprimere le parole “e revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo” ed il 26.20 con il quale propone di modificare la predetta lettera c), aggiungendo dopo le parole “per i condannati alla pena dell’ergastolo” le seguenti “eccetto per i condannati per i reati di cui all’articolo 51 comma 3 bis c.p.p.”. Entrambe le proposte emendative sono state sottoscritte oltre dall’On. Giulia Sarti, anche dagli altri Deputati pentastellati Vittorio Ferraresi, Andrea Colletti, Donatella Agostinelli, Alfonso Bonafede e Francesca Businarolo.

La Presidente della Commissione, Donatella Ferranti (Pd) e relatrice del progetto di legge, ha proposto, invece, per quanto riguarda la lettera c), con l’Emendamento 26.17 di aggiungere dopo la parola “eliminazione” le seguenti parole “salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità”. Infine, la Ferranti, ha convocato la conferenza dei Presidenti di Gruppo, per definire i tempi e le modalità di organizzazione dei lavori, riservandosi di valutare l’ammissibilità degli emendamenti presentati e facendo presente che, in ogni caso, nel corso della prossima settimana, si potrà procedere alla discussione sul complesso delle proposte emendative presentate, anche ai fini di una più efficace interlocuzione tra i gruppi e con il Governo, rappresentato in Commissione dal Vice Ministro della Giustizia On. Enrico Costa.

Emilio Quintieri (Radicali italiani)

Il Garantista, 28 giugno 2015

Palermo, detenuto legato alla branda con “fasce di contenzione” picchiò Agenti, assolto


Cella carcereLo avevano tenuto legato alla Branda della cella, all’Ucciardone, per 24 ore, assicurandolo con “fasce di contenzione”, espressione elegante per definire la camicia di forza. E per questo i giudici di appello di Palermo definiscono il comportamento dei poliziotti penitenziari arbitrario e inumano, affermando che si è tradotto “in una forma di tortura e nella violazione dei diritti costituzioni”.

Il processo non era contro gli agenti ma contro di lui, Amadou Abiyara, nato in Costa d’Avorio e finito in cella, l’1 febbraio del 2008: dopo che lo avevano lasciato un’intera giornata senza poter mangiare o bere né fare i bisogni fisiologici, nel momento in cui era stato liberato, Amadou aveva reagito violentemente. Era stato per questo condannato a otto mesi. Ora è stato assolto. È stato un difensore d’ufficio, l’avvocato, Venera Micciché, a chiedere giustizia.

E la Corte d’appello ha ricordato che immobilizzare i soggetti che appaiono pericolo si può apparire inumano ma è consentito solo se a stabilirlo è uno psichiatra. Nel caso specifico la prescrizione non c’era mai stata: “Ed allora – si legge in sentenza – è da chiedersi se rientri nelle funzioni del personale del carcere assicurare un soggetto straniero, che non parla italiano, con fasce di contenzione dentro una cella, senza più curarsi di lui e delle sue necessità per circa 24 ore”. La reazione può ritenersi così giustificata – altra stoccata – “ignorando l’imputato le particolari consuetudini utilizzate talvolta, come nel caso di specie, nelle carceri italiane, e ritenere che nei suoi confronti sia stata esercitata una forma di violenza fisica non consentita”.

Riccardo Arena

La Stampa, 26 giugno 2015

Droghe: c’è chi sta ancora in carcere per la Fini-Giovanardi e Renzi non fa niente


Marijuana 3Esce il Libro Bianco di Antigone e della Società della Ragione sulla legge per le droghe leggere: “La politica si è mostrata pavida e latitante”.

C’è chi è ancora in carcere illegittimamente. Chi non avendo un buon avvocato non ha potuto far valere le sue ragioni. Oppure, più semplicemente, c’è chi sta ancora scontando la pena per la lentezza e la “farraginosità della macchina giudiziaria”. Spesso i registri informatici non riescono a rilevare le richieste. E migliaia di detenuti continuano a rimanere in galera. Mette i brividi l’ultimo Libro Bianco dell’associazione Antigone e della Società della Ragione sulla legge sulle droghe.

A un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi non è cambiato nulla, né la maggioranza dei detenuti giudicati all’epoca è riuscita a far valere le proprie ragioni contro pene illegittime. Colpa soprattutto del legislatore, del governo di Matteo Renzi, che non è intervenuto mai sulla questione, nonostante le richieste dello stesso presidente della Corte di Cassazione all’inizio dell’anno giudiziario.

E nonostante l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, come dichiarato più volte dall’Unione Europea. A gennaio il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, chiese di “adeguare le pene previste in questa materia, tenuto conto del ripristino della differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti e, soprattutto, prendendo coraggiosamente atto della estrema inutilità dell’incremento sanzionatorio stabilito con la legge Fini-Giovanardi”.

All’epoca, era il febbraio del 2014, ci si aspettava – si legge nella relazione – che “la pronuncia di incostituzionalità avrebbe avuto effetti sulla popolazione detenuta nelle carceri italiane. Diminuendo significativamente (passando da 20 a 6 anni) il massimo della pena per detenzione e spaccio di derivati della cannabis”. In particolare l’ipotesi è che si sarebbero prodotti due effetti: “in primis l’insussistenza dei presupposti per misure cautelari in carcere basati su previsioni di pena assai superiori a quelle vigenti dopo la sentenza; e a seguire la necessità di rideterminare le condanne passate in giudicato sulla base delle pene giudicate illegittime”.

Nulla di tutto questo. Anche se nell’ultimo anno sono state portate avanti battaglie da parte della Società della Ragione contro le pene illegittime. Come le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che nell’ottobre del 2014 “dettero impulso alla rideterminazione delle pene. Fu cioè riconosciuto ai detenuti il diritto a ottenere il ridimensionamento delle pene sulla base della normativa così come uscita dalla sentenza della Corte costituzionale”

Corte di cassazione1Leonardo Fiorentini, tra gli estensori del Libro Bianco, è molto preciso nella relazione. “Sulla base del pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le associazioni iniziarono la campagna “Contro la pena illegittima”, chiedendo al parlamento e al governo un provvedimento che garantisse una decisione immediata e uguale per tutti, con una riduzione di due terzi delle pene comminate sulla base di una legge incostituzionale. Purtroppo anche in questa occasione la politica si è mostrata pavida e latitante e questo semplice provvedimento non è stato adottato”.

A nulla sono poi servite le lettere e gli appelli inviati al governo. “Molti garanti dei diritti dei detenuti” si legge “hanno anche richiesto alle Procure della Repubblica informazioni sulla quantità di incidenti di esecuzione e sul loro esito. Le risposte da parte delle istituzioni sono state poche e assai poco significative”. Il risultato è avvilente, perché migliaia di detenuti non sono riusciti a far valere i loro diritti. “La Procura generale della Corte d’Appello di Milano segnala di avere ricevuto 51 richieste e di averne accolte il 20%. Rimanda per il resto della Lombardia alla procura generale di Brescia e alle 13 Procure della Repubblica”.

E poi ancora: “La Procura Generale di Firenze ha effettuato una ricerca dei fascicoli in esecuzione relativi a reati di droga e ne ha individuati circa 400 e di questi 44 relativi a droghe leggere e solo per 7 casi si è proceduto alla rideterminazione della pena. Il quadro che emerge dalle risposte delle procure della Toscana è desolante; solo a Prato è stato disposto un monitoraggio. Per il resto poche istanze e ancora meno accoglimenti.

Alcune procure sostengono che il registro informatico dell’esecuzione (Siep) non consente la rilevazione delle specifiche richieste di rideterminazione della pena per cui non sono estrapolabili quelle conseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014. Altre procure rimandano alle cancellerie del giudice dell’esecuzione. Abbiamo avuto notizia che la Procura di Napoli si è attivata in prima persona e che sono stati esaminati 233 casi di incidenti di esecuzione”.

Per questo motivo, conclude la relazione, “Molti hanno scontato fino alla fine la pena illegittima mentre probabilmente alcuni sono ancora in carcere. In ogni caso, la campagna ha messo in luce la farraginosità della macchina giudiziaria e il suo carattere discriminatorio e di classe. Solo chi ha risorse e avvocato può sperare di vedere riconosciuto il suo diritto. La campagna “Contro la pena illegittima” proseguirà chiedendo al Ministero della Giustizia di impegnarsi nel richiedere tutti i dati e fornire almeno un quadro esaustivo di una vicenda paradossale”.

Alessandro Da Rold

http://www.linkiesta.it, 26 giugno 2015

Cannabis legale, le proposte dell’On. Bruno Bossio (Pd) alla bozza dell’Intergruppo


cannabis 1Non c’è nulla di “ufficiale” per il momento ma, seppur doveva rimanere “riservata”, la proposta di legge che l’Intergruppo Parlamentare sulla Cannabis ha abbozzato, è stata già resa pubblica. In verità, durante l’ultimo incontro dell’Intergruppo costituito su iniziativa del Senatore Benedetto Della Vedova, radicale del Gruppo Misto, Sottosegretario agli Affari Esteri del Governo Renzi, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato Pd, calabrese, molto vicina alle posizioni dei Radicali, ha proposto alcune importanti modifiche al testo che, per la gran parte, riprende le proposte di legge presentate sin’ora nei due rami del Parlamento dal Movimento Cinque Stelle, da Sinistra Ecologia e Libertà e dal Partito Democratico. Inizialmente, la predetta, voleva presentare una sua proposta di legge per la revisione completa del Testo Unico sugli Stupefacenti ma, nel frattempo, essendo stato costituito l’Intergruppo ed avendovi aderito, ci ha rinunciato, impegnandosi a “migliorare” per quanto possibile il progetto di legge denominato “Norme per la legalizzaziopne della cannabis e dei suoi derivati” che verrà presentato dall’Intergruppo.

In particolare, le modifiche proposte dall’On. Bruno Bossio sono quattro e riguardano i primi dei quattro articoli della bozza dell’Intergruppo. Per quanto concerne la coltivazione in forma associata di cannabis sul modello dei cannabis sociale club spagnoli (Art. 1) ha proposto di aggiungere al comma 1 ter, le seguenti parole “limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80”. La norma, infatti, così come proposta, prevede che gli associati debbano essere maggiorenni e residenti in Italia e non debbano aver riportato condanne definitive per i reati di cui all’Art. 416 bis del Codice Penale e agli Articoli 70, 73 e 74 del Testo Unico. Ritengo doveroso – ha detto l’On. Bruno Bossio – che il divieto di coltivazione, previsto in tale articolo all comma 1 ter, fermo restando le altre ipotesi, venga circoscritto per tutti i condannati per spaccio o cessione (Art. 73), che siano stati riconosciuti responsabili per fatti di grave entità ed altro (ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80. In sostanza, vanno inclusi, tra i possibili coltivatori in forma associata, quelle migliaia di cittadini sino ad oggi condannate per detenzione e/o cessione di piccole quantità di stupefacenti che, invece, attualmente, la proposta escluderebbe. E su tale modifica, pare che la maggioranza dell’Intergruppo, si sia espressa favorevolmente. Altra questione affrontata è stato il divieto assoluto di fumare i derivati della cannabis negli spazi pubblici o aperti al pubblico e nei luoghi di lavoro pubblici e privati, contenuto nell’Art. 30 bis comma 2. Tale divieto, per la Parlamentare, così come proposto, è del tutto assurdo e sproporzionato. Ha proposto, infatti, di sopprimere tout court il comma 2 dell’Articolo 30 bis oppure di sostituirlo con il divieto, attualmente vigente, per quanto concerne il fumo del tabacco, lasciando in via supplementare la possibilità alle Amministrazioni e agli Enti Pubblici, nell’ambito del territorio di loro competenza, di istituire tale divieto in spazi pubblici e aperti al pubblico qualora ricorrano comprovati motivi per la salute dei non fumatori previo parere delle Autorità Sanitarie. Questa proposta, al momento, seppur condivisa da altri membri dell’Intergruppo, pare che non venga accolta e che resterà il divieto sancito nella bozza provvisoria.

Poi ha proposto alcune modifiche importantissime anche all’Articolo 3 concernente le condotte non punibili e fatti di lieve entità. Si sancisce la “non punibilità” della cessione di cannabis e dei prodotti da essa ottenuti a determinate condizioni ed entro specifici limiti. In sostanza, si depenalizza la cessione a persona maggiorenne e, comunque, la cessione che avvenga fra soggetti minori, di una modica quantità di cannabis (nei limiti consentiti), in quanto presuntivamente preordinata al consumo personale. E su questo, nulla da eccepire. Non altrettanto, però, per quel che riguarda le pene detentive e pecuniarie ipotizzate. Infatti, la Deputata calabrese, ha proposto di modificare la lettera b) al fine di ridurne sensibilmente il minimo ed il massimo edittale previsto per le c.d. “droghe pesanti” (cocaina, etc.) anziché 6 anni, 4 anni di reclusione e la multa anziché da euro 2.064 a euro 13.000, da euro 1.000 a euro 5.000 e, fermo restando le pene detentive ipotizzate per le c.d. “droghe leggere” (cannabis, etc.) da 6 mesi a 3 anni, ha proposto di ridurre quelle pecuniarie, nel minimo e nel massimo, anziché da euro 1.032 a euro 6.500, da euro 500 ad euro 2.500. Ciò, ha inteso precisare l’On. Bruno Bossio, per evitare il ripristino della possibilità, per l’Autorità Giudiziaria, di disporre la custodia in carcere anche per i fatti di lieve entità per le c.d. “droghe pesanti” e salvaguardare la possibilità di sospendere la carcerazione del condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza, in attesa del giudizio della Magistratura di Sorveglianza e per applicare, nella fase processuale, il nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato nonché l’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto poiché, con l’innalzamento della pena a 6 anni di reclusione, verrebbe categoricamente escluso. Salvaguardare la non punibilità per particolare tenuità del fatto va nella direzioone della riduzione del sovraffollamento carcerario e per non ingolfare i Tribunali con processi per fatti tenui e non abituali come quello della modesta detenzione e/o cessione di sostanze stupefacenti anche di tipo “non leggere”, così come la non applicabilità della carcerazione preventiva ai reati puniti con pena detentiva inferiore a 5 anni. Infine, ha proposto di aggiungere un ulteriore comma, dopo il comma 1, per abrogare i commi 1 e 2 dell’Articolo 85 del Testo Unico sugli Stupefacenti. Sono le “pene accessorie” che il Giudice può comminare ai condannati e che consistono nel divieto di espatrio e nel ritiro della patente di guida per un periodo non superiore a 3 anni. Ritengo, ha insistito la democrat, che sia giusto abrogare queste “pene accessorie” o, comunque, di non applicarle per i fatti di lieve entità, ritenendole eccessive ed inadeguate in quando riducono ed ostacolano, tra le altre cose, le opportunità di lavoro e di reinserimento sociale dei soggetti sanzionati in spregio a quanto previsto dal principio di finalizzazione della pena, più volte affermato dalla Corte Costituzionale, e perché comunque non hanno alcuna concreta efficacia nei confronti dei condannati. Il ritiro della patente di guida è un handicap assoluto o relativo, assoluto nelle attività di lavoro in cui la patente è necessaria e relativo in tutte quelle in cui l’uso della stessa è più o meno indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro. Non disporre della patente di guida oggi è una forma di grave incapacitazione della persona. I condannati, non saranno certo “ostacolati” dal divieto di espatrio o dal ritiro della patente se intendano tornare a delinquere mentre lo saranno se intendano seguire un percorso di riabilitazione sociale e di lavoro. Su tutte queste proposte, invece, stante la loro importanza, nei prossimi giorni, ci sarà una riunione specifica. Inoltre, l’ultima modifica proposta, attiene all’Articolo 4 sugli illeciti amministrativi. E’ stato proposto di inserire la lettera e) che prevede un’aggiunta all’Articolo 75 comma 4 del Testo Unico e cioè che il termine concesso al Prefetto per l’adozione del provvedimento di convocazione della persona segnalata dalle Forze dell’Ordine per uso personale, debba essere perentorio e non più ordinatorio, in modo tale da rispettare quel tempo congruo e ragionevole (40 giorni) che la normativa vigente individua rispetto la finalità cautelare cui il provvedimento è legato. Infine, è stato proposto, di aggiungere sempre all’Articolo 75 comma 4, che la mancata presentazione al colloquio prefettizio non possa comportare automaticamnete l’irrogazione delle sanzioni se la persona convocata adduca giustificati motivi. Anche su queste ultime proposte, l’Intergruppo, farà le proprie valutazioni.

Emilio Quintieri, Radicali Italiani

Il Garantista, 26 Giugno 2015

Gli Opg dovrebbero essere chiusi ma le Regioni sono inadempienti. Chiesto l’intervento del Governo


OPG Barcellona Pozzo di GottoRegioni senza Rems verso il commissariamento? che potrebbe non risolvere il problema di una legge mal fatta. Suicidi in carcere: la domanda è questa: perché, nonostante tutti gli sforzi, effettivi o promessi; nonostante l’indubbio impegno di tanti agenti della Polizia penitenziaria e della comunità penitenziaria in genere, perché il numero di suicidi o tentati suicidi tra i detenuti italiani è sempre più in aumento?

Nelle prigioni italiane si registra un tasso di suicidi 20 volte maggiore rispetto a quello della popolazione libera. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità viene commesso un tentativo di suicidio circa ogni tre secondi, ed un suicidio completato ogni minuto. Nelle carceri poi, si registrano numeri maggiori sempre in aumento, rispetto a quelli della comunità circostante. Il sovraffollamento delle carceri non si arresta, calano le forze di Polizia penitenziaria, e questa bomba a orologeria esplode tra i detenuti sotto forma di suicidio. Eccetto per una leggera flessione registrata nel 2013, quando i detenuti suicidi furono il 30 per cento, i dati sono allarmanti. Nelle carceri italiane si registra un tasso di suicidi 20 volte maggiore rispetto a quello della popolazione libera.

Nel corso di questi ultimi dodici anni sono avvenuti complessivamente 692 suicidi, più di un terzo di tutti i decessi avvenuti in carcere. Nel 2012 i detenuti hanno raggiunto i 7.317 atti di autolesionismo e 1.308 tentativi di suicidio. Le morti sono state complessivamente 154, 60 per suicidio, con una più elevata frequenza tra le persone più giovani.

Ospedali Psichiatrici Giudiziari: 31 marzo scorso: a partire da quel giorno gli Opg sarebbero dovuti sparire. Una promessa e un annuncio dato con molta enfasi, l’evento storico. Fine di una pagina spesso drammatica del sistema penale del nostro Paese.

A che punto siamo? La realtà è ben diversa da quella auspicata. Gli Opg non si sono affatto svuotati. In Campania attualmente sono presenti 122 internati, 67 ad Aversa, 55 a Secondigliano. Di questi circa la metà sono campani, gli altri provengono da altre regioni. Le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza che avrebbero dovuto sostituire gli OPG, non sono ancora pronte. In Campania ne sono previste due: a Calvi Risorta, e S. Nicola la Baronia, 20 posti ciascuna. Se tutto andrà come si spera saranno completate entro l’estate, le prime funzionanti a livello nazionale. Sono state individuate tre Rems provvisorie: 38 posti letto, solo due sono aperte.

Finito l’effetto annuncio, si deve prendere atto che non si è pronti. La legge 81 del 2014 che definisce la chiusura degli Opg, rileva evidenti limiti che non si sono voluti vedere, ma che fin dal primo momento erano chiarissimi: per esempio si prevede il commissariamento per le Regioni inadempienti. Con questo provvedimento, del resto non attuato pur talvolta essendoci le condizioni, il commissario dovrebbe predisporre in un tempo ragionevole i piani per la definizione delle Rems e riorganizzare i Dipartimenti di Salute Mentale, avviando nel contempo i progetti terapeutici individuali. Ma ecco emergere un’altra criticità: la difficoltà di prendere in carico i pazienti più problematici, gli internati rimasti in OPG, e quelli per cui fallisce la licenza finale di esperimento. Le incognite sul futuro, comunque, riguardano soprattutto i nuovi ingressi che nel frattempo continuano ad essere predisposti nelle Rems, con un intasamento che nei prossimi mesi diventerà ingestibile.

Al di là dello specifico caso campano, almeno 300 persone restano rinchiuse nei cinque Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, Aversa, Napoli, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, e quasi 250 persone sono rinchiuse nell’OPG di Castiglione delle Stiviere. Nelle otto Rems sinora attivate nelle altre regioni vi sono meno di 100 persone. È la denuncia del Comitato StopOpg. Il comitato chiede che le regioni che non hanno ancora accolto i loro pazienti siano immediatamente commissariate, “per assicurare le dimissioni e il trasferimento delle persone internate. Il Commissariamento è indispensabile per superare i ritardi nella chiusura degli Opg e per l’attuazione integrale della Legge 81/2014; misure e progetti che il Ministero della Salute è tenuto a monitorare e a sollecitare”.

Valter Vecellio

L’Indro, 25 giugno 2015

Carceri, Paglia e Farina (Sel) interrogano il Governo sul trasferimento dei detenuti da Padova a Parma


On. Daniele FarinaPaglia e Farina di Sel: “Le condizioni di spazio, di trattamento e di partecipazione ad attività tra le sezioni di Alta Sicurezza di Padova e di Parma non sono neanche lontanamente paragonabili come si evince anche dalla testimonianza diretta resa dai detenuti – osservano gli On. Paglia e Farina – ed è perciò certo che se il paventato trasferimento si compisse, si andrebbe a ledere l’articolo 27 della Costituzione”.

“È degli ultimi giorni la notizia -si legge in una nota dei deputati di Sel Giovanni Paglia e Daniele Farina – del trasferimento di un numero ancora imprecisato di detenuti delle sezioni di massima sicurezza del carcere di Padova al carcere di Parma, a causa della decisione repentina e non meglio motivata del Dap di chiudere le suddette sezioni del carcere veneto.

Alcuni di questi spostamenti sono già avvenuti nonostante l’allarme lanciato dal Garante per i diritti dei detenuti di Parma a cui oggi si è aggiunta una drammatica testimonianza da parte degli attuali detenuti della sezione As1 (reati legati alla criminalità organizzata di tipo mafioso) del carcere emiliano, attraverso una lettera sulla vivibilità interna e sull’ulteriore peggioramento che ne conseguirebbe se si realizzasse il paventato trasferimento dei detenuti da Padova.

A prendere l’iniziativa ed interrogare il ministro della Giustizia Andrea Orlando sono i deputati di Sel Giovanni Paglia e Daniele Farina, grazie ad una puntuale ricostruzione delle condizioni in essere. Le condizioni di spazio, di trattamento e di partecipazione ad attività tra le sezioni di Alta Sicurezza di Padova e di Parma non sono neanche lontanamente paragonabili come si evince anche dalla testimonianza diretta resa dai detenuti – osservano gli On. Paglia e Farina – ed è perciò certo che se il paventato trasferimento si compisse, si andrebbe a ledere l’articolo 27 della Costituzione. Perciò crediamo – concludono Paglia e Farina – che il ministero della Giustizia e il Dap abbiano l’obbligo morale di scongiurare questo trasferimento, a tutela dei detenuti ristretti a Padova e a Parma”.

Interrogazione n. 4_09579 (clicca per leggere)

parmatoday.it – 25 giugno 2015

Carceri, i Detenuti AS di Parma “Siamo chiusi come maiali in piccole celle che puzzano di water”


Cella Carcere ItaliaSiamo i detenuti del Reparto di Alta Sicurezza del carcere di Parma. Siamo già tanti, ma vogliono trasferire altri dal carcere di Padova”.

Lettera inviata al Capo dello Stato, al Ministro della Giustizia, al Capo dell’amministrazione Penitenziaria, ai Magistrati di Sorveglianza di Reggio Emilia, al Direttore della Casa di reclusione di Parma, al Garante dei diritti dei detenuti Emilia-Romagna. Per conoscenza al senatore Luigi Manconi e altri.

Siamo i detenuti del Reparto di Alta Sicurezza della Casa di reclusione di Parma. Abbiamo deciso di rivolgerci a voi dopo essere venuti a conoscenza del fatto che la sezione dì alta sicurezza di Padova sarà dimessa e che i detenuti di quel reparto – secondo notizie giornalistiche – verranno trasferiti presso il reparto di alta sicurezza del carcere di Parma. Vogliamo, innanzitutto rivolgerci a voi in termini civili, quei termini che ci consentono di affrontare una comunicazione responsabile e cosciente atta a fare conoscere e comprendere quali sono le difficoltà che segnano la nostra quotidianità. Gli argomenti che tratteremo, per quanto complessi, sono indissolubilmente legati alla vivibilità all’interno delle celle e alla qualità della vita al di fuori di esse. La sezione di alta sicurezza del carcere di Parma, attualmente ospita 27 detenuti, per una capienza max di 25 posti.

Tra gli ospiti qui reclusi, 19 sono ergastolani, i rimanenti 8 scontano condanne ventennali o trentennali. Nel computo dei 27 ci sono persone affette da malattie debilitanti, altri soffrono di problemi psi-co-fisici-claustrofobici, altri ancora sono studenti universitari, infine ci sono individui con discrete condizioni fisiche. Per tutti, nessuno escluso, vale il principio del rispetto della dignità umana. Dignità citata nelle premesse delle regole penitenziarie europee del 2006, ma anche all’art. 18 (I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, segnatamente per quanto riguarda la superficie e la cubatura).

Noi stiamo chiusi in cella 20 ore su 24. Le 4 ore sono assegnate ai passeggi. Locali questi non idonei ad ospitare 27 persone, se si considerala superficie minima disponibile per ogni maiale che, secondo la direttiva Cee 91/630 (recepita dall’Italia) è di 6 metri quadri. Le celle detentive, per capienza, possono ospitare solo un detenuto. Se all’interno venissero collocate 2 persone lo spazio disponibile calpestabile pro-capite scenderebbe sotto i 3 metri quadri, spazio calcolato al netto dell’ingombro del mobilio. La cella è provvista di un piccolo wc privo di finestra. Il ricambio d’aria dovrebbe avvenire attraverso un aeratore, ma questo non avviene e giornalmente chi vive stipato in due all’interno della stessa cella è costretto a respirare gli odori maleodoranti causati dai bisogni fisiologici del compagno di cella. Per le operazioni di pulizia corporale la porta del wc rimane aperta. Abbiamo costatato l’impossibilità di lavarsi nel lavabo con la porta chiusa. Questa situazione non è sufficientemente adeguata ad assicurare un minimo di privacy.

Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intra-murario, la giurisprudenza nazionale ha precisato che, dalla superficie lorda della cella debba essere detratta la superficie occupata dagli arredi, individuando nel suolo calpestabile il parametro di calcolo. Una misura questa calcolata sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto, più 5 mq per gli altri. Lo stesso spazio per cui in Italia viene concessa l’abitabilità alle abitazioni, condizione più favorevole rispetto ai 7 mq per singolo detenuto più 4 mq – stabiliti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura – per gli altri. (Fonte Dap, Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo statistica e automazione di supporto dipartimentale).

Sulla questione spazio individuale esiste una elaborazione giurisprudenziale da parte della: Corte di Cassazione, magistratura di Sorveglianza di Padova, magistratura di Sorveglianza di Verona. Tra gli aspetti della qualità della vita di noi detenuti del reparto di alta sicurezza da segnalare la mancanza di una biblioteca, di una scuola, di lavoro, l’esclusione alle nomine a Commissioni esterne, a corsi professionali finalizzati.

Ma la questione dell’inumanità della pena non si esaurisce nello spazio messo a disposizione a una persona in carcere, ma vanno contemplati altri parametri, tra i quali spicca quella evidenziata nello standard del Comitato per la prevenzione della tortura, che, nello specifico, afferma: “Tra i 3 ed i 7 mq a disposizione la disumanità è inversamente proporzionale al grado di implementazione di una serie di fattori compensativi, il primo fra tutti è assicurare che i detenuti possano trascorrere una ragionevole parte della giornata – 8 ore o più – fuori dalla cella occupati in attività motivanti di vario tipo.

Per i condannati i regimi dovrebbero essere di livello ancora più elevato”. In considerazione di quanto descritto pare opportuno rivelare che l’eventuale – quanto probabile – arrivo di altri detenuti restringerebbero i già esigui spazi vitali in cella e se lo spazio recluso diventa incapace di garantire lo spazio vitale, viola la dignità umana. Ci appelliamo alla vostra sensibilità e vi chiediamo una pena coerente con la dignità umana, spazi di vita umani, trattamento umano, riconoscimento pieno di diritti, salvaguardando l’integrità psico-fisica della persona qui detenuta, nel rispetto dell’articolo 27 della Costituzione.

I detenuti: Avarello Giovanni – Cavallo Aurelio – Mafrica Giovanni – Stolder Ciro – Piscopo Giuseppe – Di Girgenti Antonino – Farraioli Domenico – Barranca Giuseppe – Testa Domenico – Donatiello Giovanni – Pulcinelli Ciro – Rua Gianfranco – Reitano Roberto – Favara Corrado – Gangitano Andrea -Romeo Antonio – Benigno Salvatore – fiocchetti Gaetano – Bevilacqua Fioravantio – Donatello Giovanni – Capozza Luigi – Sorrento Antonio – Morelli Domenico – Di Bona Enzo – Mazzara Vito.

Il Garantista, 25 giugno 2015

Lettera Detenuti AS1 Parma (clicca per leggere)

 

6° Libro Bianco sulla Legge sulle Droghe, Giugno 2015


libro bianco drogheIl 24 giugno a Roma, nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso la sala Stampa della Camera dei Deputati è stato presentata la sesta edizione del Libro Bianco Illustrazione e commento dei dati sulle conseguenze penali e l’impatto sul sovraffollamento delle carceri, sulle sanzioni amministrative e sui servizi.

Curato da la Società della Ragione Onlus, Antigone, CNCA e Forum Droghe, il Libro Bianco 2015 è il primo che vede esplicitarsi gli effetti della cancellazione della Fini-Giovanardi dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Al suo interno anche si trovano anche i dati sul consumo di sostanze in Italia forniti dal CNR e un’analisi del contesto internazionale in vista di “UNGASS 2016”, la sessione straordinaria sulle droghe dell’ONU che si terrà il prossimo anno.

6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe: giugno 2015

Il Sap : “No all’approvazione del reato di tortura” Coro di proteste contro il Sindacato Autonomo della Polizia


polizia-picchia-studentiDomani è la giornata internazionale contro la tortura e, in Italia, ad oltre 26 anni dalla ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite, il codice penale ancora non prevede questo reato.
Nelle ultime ore il Sap (Sindacato Autonomo di Polizia), vi si è scagliato contro, annunciando che oggi scenderà in piazza distribuendo appositi volantini. La motivazione sta nel fatto che favorirebbe estremisti e violenti, impedendo alle forze dell’ordine di svolgere il proprio lavoro.

“La posizione del Sap è fuori dalla comunità internazionale” dichiarano Patrizio Gonnella (Antigone), Massimo Corti (Acat) e Franco Corleone (coordinatore dei Garanti dei detenuti). “La polizia deve essere un corpo che protegge i diritti umani e non deve aver paura del reato di tortura. Va ricordato che la tortura è considerato dal diritto internazionale un crimine contro l’umanità tanto da essere fra quelli su cui può investigare e giudicare la Corte Penale Internazionale dell’Aia”.

“Affermare che il reato di tortura sarebbe un regalo agli estremisti e ai violenti è inaccettabile. Praticamente tutti i Paesi a democrazia avanzata dell’Europa hanno il reato nel loro Codice. Anche il Vaticano grazie a Papa Francesco ha codificato il crimine di tortura così come chiesto dall’Onu di Ban Ki-Moon”.

“Il Sap – proseguono – parla di reato ideologico, ma di ideologica c’è solo la loro opposizione. La previsione di questo crimine non è un capriccio italiano, né tantomeno di un presunto partito contro le forze dell’ordine, ma arriva direttamente dalle Nazioni Unite che, nel 1984, approvarono la Convenzione contro la tortura. La codificazione del crimine ci consente di dare valore al lavoro straordinario di tutti quei poliziotti che si muovono nel solco della legalità”.
“Va spiegato dunque al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon e al Papa perché sono contrari”.

Tra le varie questioni su cui il sindacato di polizia si scaglia c’è anche la dicitura “torture psichiche”, anch’esse previste nella Convenzione internazionale. Anche qui, con una posizione per nulla ancorata alla realtà, il Sap paragona questo genere di torture all’alzare la voce durante un interrogatorio, avvertendo con durezza l’indiziato sui rischi che corre. Le torture psichiche sono un dramma nella vita delle persone così come ci raccontano le organizzazioni internazionali: finte esecuzioni, la privazione costante e per giorni del sonno, l’obbligo di radersi per i prigionieri di fede musulmana, minacce di stupro, isolamento prolungato, deprivazione sensoriale. Alcune di queste furono inflitte a due detenuti del carcere di Asti, quando un giudice – nella sentenza di condanna di alcuni poliziotti penitenziari – scrisse che di torture si trattava, ma che i responsabili non potevano ricevere pene proporzionali alla gravità del fatto commesso per l’assenza dello specifico reato.

“È responsabilità anche del governo rispondere a questi muri che si costruiscono e obiezioni fittizie che vengono sollevate. Approvare la legge oggi è un obbligo per il nostro paese e, se qualcosa di ideologico c’è nel volere il crimine di tortura – dichiarano infine Patrizio Gonnella, Massimo Corti e Franco Corleone –, è il volersi ancorare alle democrazie avanzate europee e mondiali”.

Per domani Antigone ha organizzato una mobilitazione via twitter, invitando chi utilizza questo social network a scrivere questo tweet:
#‎GiornataMondialeControLaTortura‬ In Italia la tortura esiste e si pratica. @matteorenzi vogliamo ‪#‎SubitoLaLegge