Entrano in vigore oggi le nuove norme sulla custodia cautelare della legge 47/2015, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 94 del 23 aprile scorso.
Pur non essendo una vera e propria riforma – ma un intervento sul libro IV del codice di procedura penale oltre a un lieve ritocco alla legge penitenziaria 354 del 1975 – l’impatto sulla gestione della detenzione preventiva sarà verosimilmente importante.
Soprattutto nella fase di adozione delle misure, dove il giudice da oggi dovrà valutare autonomamente – senza più poter riprodurre pedissequamente le richieste del pm – il pericolo di fuga, che non potrà più essere apprezzato solo sulla sola base della gravità del reato per cui si procede. Se questo è il tema portante della revisione – tanto da fare ingresso anche nelle inchieste sulla criminalità mafiosa, dove non c’è più l’automatismo del carcere – non meno importante è il tema della “lieve entità del fatto” – un’armonizzazione con il decreto legislativo sulla improcedibilità delle condotte poco lesive – che fa venir meno anche la misura attenuata dei domiciliari.
Più difficile il ricorso al carcere diventa anche nelle ipotesi in cui si sospetta che un indagato possa commettere gravi delitti “con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”: qui il pericolo dovrà essere non più solo “concreto” ma anche “attuale”, e il giudice dovrà adeguatamente motivare la sua prognosi. La regola di giudizio per la detenzione preventiva è fissata dal comma 3 del nuovo articolo 275 del codice: “La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”.
Debutta inoltre una disciplina più rigida sulla durata e sulla decadenza delle misure interdittive, che spirano dopo due mesi e possono essere rinnovate solo per effettive esigenze probatorie. Se impugnate al Riesame, le ordinanze perdono efficacia anche solo per violazione dei termini tassativi di trasmissione degli atti (5 giorni) da parte dell’autorità procedente.
L’eventuale rinnovazione, in questi casi, diventa molto difficile perché fondata solo su “eccezionali esigenze cautelari”. Termini perentori, inoltre, per il deposito della motivazione del Riesame: 30 giorni ordinari per l’arrivo in cancelleria, massimo 45 se il numero degli imputati o la gravità dei reati può giustificare il ritardo. Quanto alla legge penitenziaria, l’intervento consente da oggi la visita non solo al capezzale dei congiunti strettissimi in pericolo imminente di vita, ma anche il diritto alla visita al domicilio del figlio, coniuge o convivente “affetto da handicap in situazione di gravità”.
Alessandro Galimberti
Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2015