Napoli, il detenuto suicida a Poggioreale era stato rifiutato dai suoi familiari


Carcere Poggioreale NapoliNon aveva mai potuto lasciare il carcere perché non sapeva dove andare: era stato rifiutato finanche dai familiari. Il giudice gli aveva applicato la misura alternativa degli arresti domiciliari senza mai poterla far eseguire; soltanto nell’ultimo periodo era stata trovata un’alternativa grazie ai volontari e alla direzione del carcere.

Ma non c’è stato tempo: Giovanni Iazzetta, 51 anni, di Afragola, si è tolto la vita a Poggioreale l’altro giorno, impiccandosi con la cinta dell’accappatoio. Il particolare del rifiuto, triste e drammatico, è emerso in queste ore, indagando sui motivi del gesto estremo del detenuto. La direzione del carcere si era interessato del caso dopo che era emersa chiara l’impossibilità di ottenere un domicilio per gli arresti a casa. Sposato, due figlie, arrestato dai carabinieri dopo una rapina in una farmacia a Crispano, Iazzetta era stato rifiutato proprio dai familiari. Nel senso che la direzione del carcere non aveva potuto dare seguito al provvedimento degli arresti domiciliari. Tra gli stessi operatori sociali e i volontari che lavorano a Poggioreale era scattata una gara di solidarietà che sembrava aver raggiunto un risultato: proprio nei giorni scorsi era arrivato un assenso di massima da parte di un dormitorio. Una corsa inutile: l’altro giorno la decisione di farla finita. Una sorpresa (e un dolore forte) per gli operatori e per lo stesso direttore di Poggioreale, Antonio Fullone, che personalmente segue i casi più difficili all’interno del carcere.

Una vita sul filo, sfortunata, quella di Iazzetta. Abitava nella zona dei cosiddetti “mattoni”, alla periferia di Afragola. Qui lo conoscevano tutti. Una vita bruciata da alcol e droga, scandita da un incessante via vai dal carcere, inframmezzato da una misera quotidianità nell’orrida edilizia delle palazzine popolari Iacp di Afragola, i “mattoni” appunto, e che per panorama e sky line hanno i palazzoni del rione Salicelle, un altro posto difficile in mano alla camorra.

Una volta rinchiuso in carcere, Iazzetta era stato preso in carico ma anche assistito dalla polizia penitenziaria e dal personale che svolge una continua azione di affiancamento e monitoraggio. Si era rincuorato dopo aver appreso che poteva tornare a casa, ma si era subito abbattuto quando si era reso conto che la famiglia non aveva dato la sua disponibilità per i domiciliari. L’altro giorno la decisione di farla finita. E quando la notizia è stata data fuori, a casa, gli stessi familiari si sono sentiti tramortiti.

La Repubblica, 7 maggio 2015

Padova, detenuto calabrese morì in cella. Il Pm chiede l’archiviazione del caso


Casa Circondariale di Padova“Errori innegabili dei medici, ma non hanno inciso sul decesso del paziente”. Innegabili gli errori di 5 medici in servizio nel carcere Due Palazzi, secondo la procura di Padova. Ma, comunque, tali errori non hanno condizionato la perforazione dell’intestino destinata a innescare una setticemia mortale. Ecco perché il pm Francesco Tonon, titolare dell’inchiesta, ha sollecitato l’archiviazione del procedimento penale avviato a carico dei sanitari per la morte di Francesco Amoruso, originario di Crotone, detenuto nel carcere di Padova, ucciso a 45 anni da una peritonite stercoracea, una perforazione di un tratto dell’intestino con infiammazione del peritoneo, dovuta alla fuoriuscita di feci e batteri.

L’uomo – che stava scontando una condanna per rapina, omicidio e reati legati allo spaccio di droga, fine pena il 15 luglio 2023 – aveva cominciato a stare male il 6 marzo 2014: cinque visite nell’arco di 24 ore e dolori sempre più forti curati con Buscopan, un antidolorifico. Troppo tardi. Ricovero il 7 marzo, poi la morte l’indomani. “Non sono emersi elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio nei confronti dei sanitari della casa di reclusione che hanno avuto in cura il paziente…” si legge nella richiesta di archiviazione trasmessa all’ufficio gip, richiamando le conclusioni dei due consulenti tecnici della procura, il dottor Matteo Corradin di Bologna e il professor Massimo Montisci di Padova. Entrambi gli specialisti hanno escluso che gli errori – sia diagnostici (non è stato approfondito il quadro clinico) sia per quanto riguarda l’evoluzione della patologia (non sono stati ordinati esami) – abbiano inciso nella perforazione che ha scatenato l’infezione dovuta a un’ulcerazione dell’intestino in seguito a costipazione cronica. Perforazione che sarebbe avvenuta nelle 24 ore successive al primo sanguinamento. E se Amoruso fosse stato subito trasferito in ospedale? La colonscopia non sarebbe stata eseguita che tra le 12 e le 48 ore successive perché, prima che la situazione precipitasse, c’era un quadro clinico non di emergenza.

Cristina Genesin

Il Mattino di Padova, 8 maggio 2015

Giustizia: custodia cautelare, oggi in vigore le novità, meno frequente il ricorso al carcere


toga_avvocatoEntrano in vigore oggi le nuove norme sulla custodia cautelare della legge 47/2015, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 94 del 23 aprile scorso.

Pur non essendo una vera e propria riforma – ma un intervento sul libro IV del codice di procedura penale oltre a un lieve ritocco alla legge penitenziaria 354 del 1975 – l’impatto sulla gestione della detenzione preventiva sarà verosimilmente importante.

Soprattutto nella fase di adozione delle misure, dove il giudice da oggi dovrà valutare autonomamente – senza più poter riprodurre pedissequamente le richieste del pm – il pericolo di fuga, che non potrà più essere apprezzato solo sulla sola base della gravità del reato per cui si procede. Se questo è il tema portante della revisione – tanto da fare ingresso anche nelle inchieste sulla criminalità mafiosa, dove non c’è più l’automatismo del carcere – non meno importante è il tema della “lieve entità del fatto” – un’armonizzazione con il decreto legislativo sulla improcedibilità delle condotte poco lesive – che fa venir meno anche la misura attenuata dei domiciliari.

Più difficile il ricorso al carcere diventa anche nelle ipotesi in cui si sospetta che un indagato possa commettere gravi delitti “con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”: qui il pericolo dovrà essere non più solo “concreto” ma anche “attuale”, e il giudice dovrà adeguatamente motivare la sua prognosi. La regola di giudizio per la detenzione preventiva è fissata dal comma 3 del nuovo articolo 275 del codice: “La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”.

Debutta inoltre una disciplina più rigida sulla durata e sulla decadenza delle misure interdittive, che spirano dopo due mesi e possono essere rinnovate solo per effettive esigenze probatorie. Se impugnate al Riesame, le ordinanze perdono efficacia anche solo per violazione dei termini tassativi di trasmissione degli atti (5 giorni) da parte dell’autorità procedente.

L’eventuale rinnovazione, in questi casi, diventa molto difficile perché fondata solo su “eccezionali esigenze cautelari”. Termini perentori, inoltre, per il deposito della motivazione del Riesame: 30 giorni ordinari per l’arrivo in cancelleria, massimo 45 se il numero degli imputati o la gravità dei reati può giustificare il ritardo. Quanto alla legge penitenziaria, l’intervento consente da oggi la visita non solo al capezzale dei congiunti strettissimi in pericolo imminente di vita, ma anche il diritto alla visita al domicilio del figlio, coniuge o convivente “affetto da handicap in situazione di gravità”.

Alessandro Galimberti

Il Sole 24 Ore, 8 maggio 2015