La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, con voto unanime, questa mattina ha condannato la Repubblica Italiana per violazione dell’Art. 3 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali che proibisce in termini assoluti la tortura, le pene ed i trattamenti inumani e degradanti. Pronunciandosi sul ricorso promosso dal manifestante vicentino Arnaldo Cestaro, 75 anni, che all’epoca dei fatti ne aveva 62 e che rimase vittima, insieme ad altri 87 no global, del violento pestaggio da parte delle Forze di Polizia durante l’irruzione nella sede del Genova Social Forum, i Giudici Europei hanno stabilito che quanto compiuto dalle Forze dell’Ordine italiane alla Diaz quel 21 luglio 2001 “deve essere qualificato come tortura”. Diversamente, tale irruzione, venne definita dalla Polizia di Stato come una “perquisizione ad iniziativa autonoma” finalizzata alla ricerca di armi e black bloc dopo le devastazioni avvenute in mezza Genova durante le proteste contro il G8.
L’uomo, il 21 luglio 2001, era il più anziano dei manifestanti presenti nella scuola Diaz a Genova. Gli ruppero un braccio, una gamba e dieci costole durante i pestaggi. Nel ricorso l’uomo afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell’ordine tanto da dover essere operato e da subire ancora oggi ripercussioni per alcune delle percosse subite. Cestaro sostiene che le persone colpevoli di quanto ha subito sarebbero dovute essere punite adeguatamente ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi.
La Corte di Strasburgo, presieduta dal Giudice finlandese Paivi Hirvela, gli ha dato ragione ed hanno deciso all’unanimità che l’Italia (anche) in quella occasione ha violato l’Art. 3 della Convenzione che recita “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti” ed ha altresì condannato perché non ha una legislazione adeguata che punisca il reato di tortura. Infatti, nella sentenza, i Giudici sono andati oltre, affermando che se i responsabili non sono stati mai puniti è soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. La mancata identificazione degli autori materiali dei maltrattamenti dipende, secondo la Corte, “in parte dalla difficoltà oggettiva della procura a procedere a identificazioni certe, ma al tempo stesso dalla mancanza di cooperazione da parte della polizia”. Nella sentenza si legge anche che la mancanza di determinati reati non permette allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte delle forze dell’ordine. In particolare per quanto riguarda il caso di Cestaro, “aggredito da parte di alcuni agenti a calci e a colpi di manganello”, la Corte sottolinea “l’assenza di ogni nesso di causalità” fra la condotta dell’uomo e l’utilizzo della forza da parte della polizia nel corso dell’irruzione nella scuola. E i maltrattamenti “sono stati inflitti in maniera totalmente gratuita” e sono qualificabili come “tortura”. L’azione avviata da Cestaro assume particolare rilevanza poiché è destinata a fare da precedente per un gruppo di ricorsi pendenti. L’Italia dovrà versare a Cestaro un risarcimento di 45mila euro.
L’aspetto più rilevante è il fatto che la Corte ha condannato il nostro Paese perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura dice la calabrese Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia. Credo che il Parlamento debba farsi promotore di un’iniziativa in grado di sanare questo vulnus quanto prima perché quello che è successo alla Diaz ha rappresentato una pagina vergognosa per il nostro Paese. Occorre impedire – conclude l’On. Bruno Bossio – che si ripeta ed è per questo necessario dare vita a un provvedimento che preveda pene certe per il reato di tortura.