Grazia negata da un detenuto malato. Il Ministero della Giustizia: “Verificate che sia ancora in vita prima di notificargli la responso”.
Il Presidente della Repubblica ha respinto una domanda di Grazia presentata da un detenuto, che aveva chiesto di concludere anticipatamente la propria detenzione per motivi di salute. Il Ministero della Giustizia, come da prassi in questi casi, ha notificato la decisione presa al magistrato di sorveglianza, al procuratore generale della Corte d’Appello ed anche al Penitenziario di Bologna presso il quale il domandante stava scontando la sua pena. E fin qui niente di strano. La singolarità sta in una richiesta fatta dal Ministero della Giustizia ai tre destinatari della sua missiva. Prima di notificare la domanda rifiutata, infatti, si suggeriva di verificare che il detenuto fosse ancora in vita:
“Si comunica che il Presidente della Repubblica non ha concesso la grazia. Si prega di dare notizia del disposto rigetto assicurando con sollecitudine questo ministero. Al riguardo al fine di corrispondere a conforme richiesta della stessa presidenza della repubblica, si prega di voler istruire il personale procedente affinché quest’ultimo provveda ad assicurarsi, anche nelle vie brevi, circa l’esistenza in vita del condannato”.
La motivazione è semplicissima: evitare situazioni di imbarazzo, magari notificando alla famiglia la grazia negata dopo la morte del loro caro: “previamente alla formale notifica del rigetto, onde prevenire il verificarsi di evidenti situazioni di imbarazzo”. Sembra quasi uno scherzo, ma la vicenda è verissima. A rendere pubblico questo documento scottante è stata l’agenzia di stampa Dire che ovviamente non ha rivelato la sua fonte. L’agenzia ha anche potuto appurare che il detenuto in questione sia ancora in vita e stia ancora scontando la sua pena nel carcere de “La Dozza”.
Viene da domandarsi perché il Presidente della Repubblica abbia respinto una Domanda di Grazia arrivata da un detenuto del quale il Ministero stesso non poteva escludere che il decesso fosse già avvenuto, evidentemente a ragion veduta perché in questi casi vengono recapitate anche le cartelle cliniche.
Una riflessione in un caso come questo è d’obbligo partendo dall’etimologia della parola giustizia, che deriva dal latino iustus (giusto). Per cui noi a questo punto chiediamo: è giusto che un detenuto, evidentemente arrivato alla fine della propria vita a causa di una malattia terminale, muoia in una cella di un carcere oltretutto sovraffollato?
E ancora: indipendentemente dagli errori che ciascuno ha commesso nella propria vita, non sarebbe più umano consentire a tutti di morire con dignità nel proprio letto di casa? Questa più che giustizia sembra vendetta. Ci auguriamo dunque che adesso sia il magistrato di sorveglianza a porre rimedio a questa situazione dimostrando umanità.
Stefano Capasso
http://www.blogosfere.it, 17 marzo 2015