Malagiustizia, lo Stato ha speso 600 milioni di euro per risarcire le vittime dei Magistrati. Solo nel 2014 spesi 35 milioni di euro


giustizia2Mentre non si sopiscono le polemiche nella magistratura per la legge sulla responsabilità civile dei giudici, vale la pena ricordare che da due anni a questa parte, la relazione annuale presentata dalla direzione generale del ministero della Giustizia per il contenzioso e per i diritti umani inizia sempre allo stesso modo.

“La materia dei ritardi della giustizia ordinaria costituisce la gran parte del contenzioso seguito. Per altro il numero e l’entità delle condanne (allo Stato di risarcimento ai cittadini, ndr.) rappresentano annualmente una voce importante del passivo del bilancio della Giustizia, voce la cui eliminazione dovrebbe porsi come prioritario obiettivo dell’amministrazione”.

E poi quantificano una cifra che, invece, puntualmente, di anno in anno diventa sempre più ingente. Solo per i risarcimenti legati alla ragionevole durata dei processi, lo Stato italiano ha “un debito che a metà del 2014 ammontava ad oltre 400 milioni di euro”. Una cifra a cui vanno ulteriormente aggiunti vari milioni di euro di risarcimento per altri danni causati dalla magistratura italiana ai cittadini, tra cui l’ingiusta detenzione o l’errore giudiziario.

La relazione della direzione generale del ministero evidenzia un particolare che farebbe sorridere, se non piangere. Oltre all’ammontare del debito dovuto dallo Stato per i processi lumaca, nel solo 2014 a questa cifra si sono aggiunti “mille ricorsi presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo per lamentare il pagamento ritardato degli indennizzi” già fissati per i cittadini che hanno subìto un danno per l’eccessivo ritardo dei processi. Pur non quantificando gli eventuali risarcimenti dovuti né la loro conclusione, la relazione resa pubblica all’inizio di quest’anno certifica anche che nel 2014 sono stati presentati 37 nuovi ricorsi per la responsabilità civile dei magistrati (ancora regolamentati dalla vecchia legge). Questi ricorsi vanno a sommarsi agli oltre tremila ricorsi presentati tra il 1989 e il 2012.

Bisogna passare ad un’altra relazione di un’altra direzione generale, quella dei servizi del Tesoro che si occupa materialmente di liquidare i risarcimenti pecuniari, per comprendere quanto sia enorme la piaga degli errori giudiziari in Italia. Con questo termine sono indicati tutti quei casi di persone condannate con una sentenza divenuta definitiva e che poi stati assolti da un processo di revisione. Nel 2014 si è registrato per gli indennizzi di questi casi un vero e proprio record: si è passati dai 4mila euro dovuti nel 2013 per 4 casi di errore agli 1,6 milioni di euro dovuti per i 17 nuovi errori giudiziari. Di questi indennizzi, in particolare, 1 milione è stato disposto come risarcimento per la vittima di un errore a Catania, mentre gli altri 600 mila euro sono andati a 12 persone di Brescia, due di Perugia, una di Milano, una di Catanzaro. Dal 1991, quando con la legge Vassalli sono stati erogati i primi risarcimenti, fino al 2012 lo Stato ha pagato 575 milioni 698 mila euro per i casi di malagiustizia. Tra i nuovi casi che si stanno discutendo nei tribunali, a Catania spicca quello di Giuseppe Gulotta, ingiustamente condannato al carcere per 22 anni e poi assolto perché il fatto non sussiste, che ha chiesto 69 milioni di euro di risarcimento.

La legge prevede che vengano risarciti anche tutti quei cittadini che sono stati ingiustamente detenuti, anche solo nella fase di custodia cautelare, e poi assolti magari con la formula piena. Nel solo 2014 sono state accolte 995 domande di risarcimento per 35,2 milioni di euro, con un incremento del 41,3 per cento dei pagamenti rispetto al 2013. Dal 1991 al 2012 lo Stato per questo motivo ha dovuto spendere 580milioni di euro per 23.226 cittadini ingiustamente sbattuti dietro le sbarre negli ultimi 15 anni. Tra le città con un maggior numero di risarcimenti nel 2014, in pole position c’è Catanzaro (146 casi), seguita da Napoli (143 casi).

Chiara Rizzo

Tempi, 28 febbraio 2015

Catanzaro, i Pm fanno danni e lo Stato paga. 26 mila euro di risarcimento per il collega Magistrato ingiustamente indagato


tribunale_catanzaroL’ultimo errore giudiziario “inescusabile” che lo Stato dovrà risarcire chiama in causa il sindaco di Napoli ed ex “toga” Luigi De Magistris. La legge Vassalli sulla responsabilità civile dei magistrati, da pochi giorni soppiantata dalle nuove norme del governo Renzi, ha concluso i suoi 27 anni di applicazione con un caso clamoroso: Palazzo Chigi dovrà risarcire 22.400 euro (circa 26mila con le rivalutazioni Istat), tra danni e spese legali, in favore di Paolo Antonio Bruno, magistrato di Cassazione che la procura di Catanzaro, nel 2004, aveva perquisito e indagato per concorso in associazione mafiosa. A firmare quel provvedimento, poi rivelatosi abnorme, erano stati l’allora procuratore capo di Catanzaro Mariano Lombardi (deceduto nel 2011), il pm De Magistris (dimessosi dalla magistratura a fine 2009 per entrare in europarlamento con l’Idv di Di Pietro) e l’aggiunto Mario Spagnuolo (ora procuratore capo a Vibo Valentia).

A condannare lo Stato per almeno due “errori inescusabili”, commessi dalla procura di Catanzaro ben 11 anni fa, è stato il mese scorso il Tribunale civile di Salerno con motivazioni che pesano come macigni e ora aprono una serie di interrogativi: il governo avrà o no l’obbligo di rivalsa entro due anni su De Magistris, ora che non è più in magistratura? Varranno le vecchie norme della Vassalli o quelle più salate della nuova legge Orlando (fino alla metà dell’annualità dello stipendio)? In assenza di una norma transitoria, vige l’incertezza sui procedimenti pendenti. Agli atti resta però un fatto: in dieci anni, il nono e ultimo caso di condanna dello Stato per un errore giudiziario, valutato sulla base della Vassalli, tocca la procura di Catanzaro, finita tra il 2006 e il 2008 nell’occhio del ciclone.

Le inchieste “Toghe lucane”, “Why Not” e “Poseidone” aprirono una stagione di guerre intestine alla magistratura (De Magistris intercettò alcuni colleghi e avviò un conflitto col suo capo Lombardi) e di scontro frontale con la politica (nel registro degli indagati, poi archiviati, finirono anche l’allora premier Prodi e l’ex Guardasigilli Mastella).

Il giudice Paolo Antonio Bruno si era trovato coinvolto in una precedente inchiesta di Catanzaro che, il 9 novembre del 2004, aveva portato all’arresto di sei persone, tra cui l’ex parlamentare forzista Matacena, accusate a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso e minaccia a un corpo giudiziario. L’ipotesi di De Magistris era la seguente: a Reggio Calabria ci sarebbe stato un comitato di affari che avrebbe cercato di condizionare i magistrati della Dda per bloccare le inchieste. Tra i 34 indagati anche il consigliere di Cassazione Bruno. Il quale aveva solo una “colpa”: essere nato a Reggio. Il filone principale fu chiuso con l’assoluzione in primo grado di tutti gli imputati.

E anche il giudice Bruno ha avuto ragione in toto. Il gup di Roma, competente per territorio e al quale Catanzaro ha inviato gli atti in ritardo, dopo averli girati per errore a Perugia, ha archiviato tutte le accuse. E lo ha fatto, scrive il Tribunale di Salerno che ha condannato lo Stato, “non già in forza di sopravvenienze investigative, ma sulla base della mera presa d’atto che fin dall’inizio mancava qualsiasi elemento, sia pure di mero sospetto, idonea a sorreggere l’accusa come prospettata”. Le indagini, poi, hanno avuto una “durata assolutamente irragionevole”, senza contare che il magistrato perquisito non è mai stato interrogato, nonostante lo avesse chiesto per oltre un anno.

Silvia Barocci

Il Messaggero, 2 marzo 2015

Bruno Bossio e Magorno (Pd) difendono i Giovani Avvocati. Chiesta l’abrogazione dell’Art. 21 della Riforma Forense


Avvocati togheLa riforma della professione forense varata dal governo Monti lede il diritto degli avvocati di esercitare “la professione in piena libertà autonomia e indipendenza”, come recita il codice deontologico. Per questo ho aderito alla manifestazione nazionale degli avvocati che si è svolta oggi a Roma in piazza Cavour.
Mobilitazione nata all’insegna dell’hashtag #iononmicancello alla quale si sono unite anche le partite IVA iscritte agli ordini professionali e i freelance rientranti nella gestione separata dell’Inps e che chiede con forza una riforma degli ammortizzatori sociali, un sistema previdenziale equo, solidale e proporzionato al reddito e l’equità fiscale per gli iscritti all’ordine degli avvocati.
Proprio gli avvocati, in particolare i più giovani, rischiano infatti la cancellazione dall’albo e, quindi, la disoccupazione, in virtù di una norma illiberale, e cioè lo schema di decreto ministeriale (Regolamento recante disposizioni per l’accertamento dell’esercizio della professione) che attua l’articolo 21, comma 1, della riforma forense.
La norma, attualmente all’esame dei consigli forensi e degli ordini, vincola l’iscrizione all’albo degli avvocati ai requisiti di “abitualità, effettività, continuità e prevalenza”.
Si tratta di condizioni di difficile interpretazione e applicazione in una professione che, per sua natura, deve restare libera e indipendente da condizionamenti politici o economici, pena gravi ripercussioni sulla domanda di giustizia e sulla difesa dei diritti dei cittadini.
Come essere imparziali nella difesa del cittadino se proprio la norma impone condizionamenti economici in assenza dei quali il professionista potrà essere cancellato dall’albo? Come potranno gli avvocati che si occupano di cause sensibili, come quelle che hanno a che fare coi diritti umani, non vedere penalizzato il loro lavoro – prestato gratuitamente – da tale normativa?
Di qui la proposta di legge, proposta insieme al collega Ernesto Magorno che chiede l’abrogazione dell’articolo 21 della riforma forense.
Questa PDL deve essere immediatamente calendarizzata e discussa in Commissione Giustizia e in Aula al fine di pervenire alla sua approvazione e tutelare così le migliaia di difensori dei cittadini che rischiano la cancellazione dall’albo professionale.

On. Enza Bruno Bossio

Deputato del Partito Democratico

Proposta di Legge On. Magorno ed altri – Camera dei Deputati