Romanelli (Camere Penali) : Caro Csm, ce lo chiede l’Europa… non parlare di “attacco alla Magistratura”


Avv. Rinaldo RomanelliII Csm, in vista della prossima discussione al Senato del testo di riforma della responsabilità civile dei magistrati, ha lasciato filtrare attraverso la stampa le prime indiscrezioni sulla bozza di parere elaborata dalla sesta commissione, che sarà discussa in plenum oggi.

Vista la generale reazione negativa del mondo politico e di chiunque a vario titolo si occupi di giustizia, all’evidente ed insostenibile difesa corporativa messa in atto da palazzo dei Marescialli, il Vice Presidente Legnini è intervenuto per lamentare letture “un po’ forzate” e ribadire che la posizione ufficiale sarà resa nota solo dopo la riunione del Csm.

C’è da augurarsi che tale posizione si discosti fortemente da quella che è stata fatta filtrare alla stampa, che ha dipinto il ddl sulla responsabilità civile dei magistrati come un grave attacco alla loro indipendenza. Non è in atto alcun attacco all’ordine giudiziario e chi voglia ricondurre in questa fuorviante prospettiva il tema del risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e della responsabilità civile dei magistrati, lo fa per difendere posizioni di privilegio a scapito della tutela dei diritti dei cittadini.

Le giurisprudenza elaborata dalla Corte di Giustizia Ue espressa già a partire dal 2003 e ribadita nel 2011, a seguito della procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea, ha affermato con adamantina chiarezza che l’attività giudiziaria di interpretazione di norme giuridiche e di valutazione di fatti e prove non può essere esclusa dall’alveo della responsabilità civile dello Stato. Data la delicatezza delle funzioni giudiziarie, la violazione di legge determina la risarcibilità del danno solo qualora sia “manifesta” e l’erronea valutazione dei fatti e delle prove solo quando degeneri nel “travisamento”.

Si tratta dell’affermazione di un fondamentale principio di diritto, destinato ad operare in tutta l’Unione Europea. Allo stesso modo, gli alti magistrati europei hanno chiarito che il filtro di ammissibilità dell’azione e l’orientamento estremamente restrittivo espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, hanno reso del tutto ineffettiva la vigente disciplina sulla responsabilità civile delle toghe (nel decennio 2005/2014 vi sono state solo nove condanne a carico dello Stato, con una liquidazione media di importi pari a circa 54.000,00 euro). Posto che, col disegno di legge elaborato in materia, il Governo ha avuto cura di tradurre letteralmente nel testo normativo i passaggi fondamentali esposti dalla Corte di Giustizia, pare del tutto fuori luogo ipotizzare che qualcuno voglia attentare all’autonomia della magistratura, salvo che non si vogliano attribuire entrambi gli intendimenti direttamente alla Corte Ue.

Rendendo, invece, giustizia alla verità dei fatti, va riconosciuto il merito del Governo nell’avere avviato la riforma organica della disciplina, scelta in parte obbligata dalla procedura di infrazione avviata dalla Commissione (che ad oggi ha maturato una sanzione superiore ai trentasette milioni di euro a carico dell’Italia e costa trentaseimila euro in più ogni giorno che trascorre inutilmente), ma certamente voluta anche sotto il profilo politico. La prima contestazione della Commissione Ue risale al 10 febbraio 2009 e la successiva diffida è del 9 ottobre dello stesso anno; la condanna poi risale al 2011, tre anni orsono. Tre governi si sono succeduti prima dell’attuale senza mettere mano alla spinosa questione.

Nel merito è poi condivisibile l’opzione di rendere obbligatorio l’avvio dell’azione disciplinare in caso di accoglimento della domanda di risarcimento del danno. Questo aspetto andrebbe però ulteriormente meditato, atteso che, come è stato autorevolmente affermato anche dal Presidente della Commissione Giustizia del Senato, nel caso in cui il magistrato venga sanzionato, il provvedimento dovrebbe incidere sull’avanzamento di carriera, poiché diversamente rischierebbe di rimanere privo di effetti pratici.

È il profilo disciplinare, infatti, quello che più propriamente deve svolgere anche una funzione preventiva e rendere i magistrati, che già non lo siano, coscienziosi e responsabili nello svolgimento delle loro funzioni. Il tema dell’azione di rivalsa in sede civile da parte dello Stato nei confronti del magistrato che, con la sua condotta imperita o negligente abbia danneggiato il cittadino, è e deve restare, invece, estraneo ad ogni scopo general-preventivo. La ragione della rivalsa, il cui limite massimo complessivo (anche in caso di più soggetti danneggiati) è stato innalzato dal ddl governativo, con una scelta equilibrata e condivisibile, da un terzo alla metà dello stipendio netto annuo, va ricercata nel principio generale del neminem laedere.

Questo è posto a fondamento della disciplina della responsabilità extracontrattuale ed in base ad esso, chiunque violi il divieto di ledere l’altrui sfera giuridica è chiamato a rispondere del danno che sia conseguenza immediata e diretta della propria condotta. In via ordinaria il danno va risarcito nella sua integralità da chi ne è l’autore, la particolare delicatezza delle funzioni giudiziarie, induce poi ad introdurre eccezionali correttivi, che operino quali adeguate tutele a protezione magistrati.

Tali tutele sono, appunto, il giusto divieto di azione diretta (il danno può essere richiesto dal cittadino solo allo Stato) e l’altrettanto corretto limite nell’azione di rivalsa. Limite che, sia detto una volta per tutte, malgrado le grida di dolore che si alzano da palazzo dei Marescialli e qua e là da parte di qualche togato cui fa, evidentemente, difetto l’onestà intellettuale, è estremamente cautelativo e non comporta, né comporterà, in concreto nessun esborso, perché assicurabile con una somma irrisoria.

Per tradurre in numeri: lo stipendio annuale netto medio di un magistrato è di circa 50.000,00 euro; ciò vuol dire che, qualunque sia l’ammontare del danno che lo Stato sarà chiamato a risarcire (a uno o più persone fisiche e/o giuridiche) in ragione dell’atto o del provvedimento manifestamente erroneo, il limite complessivo dell’azione di rivalsa non potrà mediamente superare la somma 25.000,00 euro. Chiunque può comprendere quanto possa costare assicurarsi contro un rischio così irrisorio nell’ammontare e remoto nel suo verificarsi.

Resta, invece, la pressante necessità di approvare in tempi brevi la riforma della disciplina del risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio di funzioni giudiziarie e la responsabilità civile dei magistrati, sia per evitare l’aggravarsi delle sanzioni Ue, che per dotare il nostro sistema di un corpus normativo adeguato, degno di un paese civile evoluto e democratico.

Che per far ciò sia necessario vincere le resistenze corporative e le indebite pressioni della magistratura è ormai evidente a tutti, non tanto perché i magistrati vedano effettivamente messa in pericolo da questa riforma l’autonomia nell’esercizio della giurisdizione (tesi oggettivamente insostenibile), ma perché una legge che faccia sorgere loro in capo una qualche responsabilità (pur con tutte le cautele ed i correttivi di cui si è detto) è avvertita come oltraggiosa, ancor più perché li coglie in un momento di profonda crisi di identità.

Dopo un ventennio in cui sono stati identificati dall’opinione pubblica come l’unica soluzione possibile a tutti i mali del paese ed in cui, nel vuoto lasciato da un politica screditata hanno recitato, a vario titolo, ruoli che non avrebbero dovuto competergli, si trovano anch’essi messi in discussione ed il loro intoccabile operato addirittura sindacabile quale possibile fonte di danno ingiusto.

Rinaldo Romanelli (Componente Giunta Unione Camere Penali)

Il Garantista, 30 ottobre 2014

Una risposta a "Romanelli (Camere Penali) : Caro Csm, ce lo chiede l’Europa… non parlare di “attacco alla Magistratura”"

  1. Lettera aperta di Buemi a tutti i parlamentari di Camera e Senato

    SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI LE COSE STANNO COSÌ

    30 OTTOBRE 2014 – “cari colleghi, in tre note al parere espresso il 29 ottobre 2014, il C.S.M. mi gratifica di ben tre citazioni, sebbene nessuna di esse lusinghiera: sarei l’artefice del tentativo di introdurre la responsabilità diretta dei giudici nell’ordinamento italiano.

    Il parere fa riferimento al testo del disegno di legge da me depositato il Senato un anno fa, quando già da due anni navigava per le aule parlamentari l’emendamento Pini alle varie leggi comunitarie che si succedevano nel tempo: un emendamento che, col voto favorevole della Commissione referente, prendeva spunto dalle condanne italiane a Lussemburgo per proporre la responsabilità diretta del giudice, secondo il meccanismo previsto per tutti i pubblici funzionari dall’articolo 28 della Costituzione. Si trattava di un orientamento tutt’altro che minoritario, se a voto segreto in Aula alla Camera ha addirittura registrato un’approvazione di un ramo del Parlamento –

    Per circoscrivere la portata di questo orientamento, il mio disegno di legge n. 1070 – confermato l’impianto della legge Vassalli, fondato sulla responsabilità indiretta – limitava la responsabilità diretta a due casi di assoluto ed evidente sviamento dal corretto uso del potere giurisdizionale: disattendere la consolidata giurisprudenza della Cassazione nell’interpretazione del diritto (salvo il caso di ignoranza inescusabile, p. es. per improvvidi cambi di giurisprudenza) e negare in Cassazione il diritto al rinvio pregiudiziale su un punto qualificante del diritto dell’Unione.

    Ricordo, a chi l’avesse dimenticato, che il primo caso di condanna italiana avvenne perché i giudici di Cassazione disattesero quello che, per loro, è obbligo e non facoltà, cioé investire Lussemburgo sull’interpretazione del diritto europeo, quando lo chieda una parte; anche qui, per non essere dirompente, limitai la responsabilità diretta al solo caso in cui gli “ermellini” ignorino una richiesta che trovi daccordo sia le parti private che il pm.

    La Commissione giustizia, con un voto che mise insieme PD e Movimento 5 stelle mentre ero in missione per conto della Commissione antimafia, respinse l’articolo 1, che limitatissima questa responsabilità diretta introduceva. Mi adeguai, nella veste di Relatore, alle decisioni della maggioranza, e proseguii nella parte successiva delle proposte del disegno di legge assunto a testo base, cioè quelle di snellimento e maggiore efficacia della responsabilità indiretta. Mi adeguai fino al punto di proporre il parere che invitava a stralciare dalla legge comunitaria l’emendamento Pini; in Aula su questo il Governo ci chiamò addirittura ad un voto di fiducia.

    Non credo, quindi, di essermi dimostrato insensibile alle esigenze della mediazione e del compromesso, che sono proprie della vita politica e della procedura parlamentare. Quando il Governo presentò il suo disegno di legge, a votazioni già iniziate in Commissione, fui proprio io ad invitare tutti a tener conto della sostanza delle proposte del ministro Orlando, anche se formalmente non era più possibile congiungerle all’iter già in corso.

    Ma la vita parlamentare implica mediazioni con altri modi di vedere l’interesse generale, legittimati dal voto popolare; non con le istanze corporative, di chi fa della sua professione non un’occasione per contribuire al benessere del Paese, bensì un fortilizio dentro il quale difendere rendite di potere consolidate. Ad esempio, proponiamo l’obbligo di motivare la sentenza, quando ci si discosta dalle Sezioni Unite della Cassazione; per l’ANM, invece, il precedente non vincola, anche contro la relazione dei Saggi nominati dal Capo dello Stato nella primavera del 2013.

    Secondo il parere approvato, “l’istituto della responsabilità civile non può essere utilizzato per mettere pressione ai magistrati al fine di aumentare la diligenza del singolo e la qualità della giurisdizione”. Mentre la sfida della modernità mette pressione al Paese, la corporazione non vuole che si incrementi la qualità del servizio giustizia con la minaccia di pagare i danni: peccato che questa minaccia funzioni da sempre per i medici e gli ingegneri, che dispongono soltanto di organi di governo autonomo del loro ordine professionale. La magistratura vanta invece un organo di autogoverno e, mi pare, oggi si può apprezzare come la differenza non sia di poco conto.

    Nel giorno in cui con il deposito di un ricorso al TAR si mette in dubbio la stessa regolarità della composizione dell’organo CSM – che in autodichia ha escluso un componente, evidentemente non omologata alla lottizzazione partitica e probabilmente espressiva, su questi delicatissimi temi, di una posizione indipendente – si pone con urgenza non solo la questione della riforma della responsabilità civile, ma quella della riforma del Consiglio Superiore della Magistratura”.

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