Ispezione al Carcere di Vibo Valentia. Socialisti e Radicali “Condizioni detentive conformi alla Legge”


Casa Circondariale di Vibo ValentiaContinua l’attività del Partito Radicale in Calabria. Nella giornata di ieri, su iniziativa del radicale calabrese Emilio Quintieri, si è tenuta una Visita Ispettiva presso la Casa Circondariale di Vibo Valentia. L’ispezione è stata effettuata dal Senatore della Repubblica Enrico Buemi (PSI), membro delle Commissioni Parlamentari Giustizia e Antimafia di Palazzo Madama. Il socialista Buemi, nella circostanza, è stato accompagnato oltre da Quintieri anche da Leonardo Trento, già Assessore alla Provincia di Cosenza e Dirigente del Partito Socialista Italiano.

La delegazione è stata ricevuta dai Vice Commissari di Polizia Penitenziaria Domenico Montauro e Paolo Cugliari, rispettivamente Comandante e Vice Comandante di Reparto. Al momento della visita era assente il Direttore dell’Istituto. Dopo un breve colloquio con i vertici della Polizia Penitenziaria, gli esponenti politici, sono stati accompagnati all’interno del Carcere ove hanno visitato la Sezione Isolamento, i Reparti in cui sono allocati i detenuti appartenenti al circuito dell’Alta Sicurezza (As3) e la Sezione in cui sono ristretti i “Sex Offenders”, detenuti imputati o condannati per reati di tipo sessuale, aperta proprio la scorsa settimana. Nel corso della visita sono stati ispezionati anche i cortili passeggio, il Teatro, la Cucina, le Aule Scolastiche, le Sale Colloquio, le Sale per la Socialità, gli Ambulatori ed i locali dell’Area Sanitaria. La struttura penitenziaria vibonese – a fronte di una capienza regolamentare di 365 posti (50 dei quali non disponibili per lavori di ristrutturazione) – ospita 258 detenuti (57 in esubero). Tra i detenuti, il 40% di essi, per come riferito dai Sanitari Penitenziari, soffre di disturbi mentali o patologie psichiatriche. Circostanza questa che il Governo (Vice Ministro della Giustizia On. Enrico Costa) non ha elencato nella recentissima risposta fornita all’Interrogazione Parlamentare dell’On. Vittorio Ferraresi, Capogruppo del Movimento Cinque Stelle in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati. Pochissimi, invece, i detenuti tossicodipendenti (3) e sieropositivi (2) presenti nell’Istituto.

Leonardo Trento ed Enrico BuemiNon è stato riscontrato nulla di illegale anzi, le condizioni di detenzione, sono risultate del tutto conformi alla Costituzione ed alla Legge Penitenziaria. In particolare, la delegazione socialista e radicale, ha verificato la ristrutturazione completa dei reparti detentivi ed il loro adeguamento al regolamento di esecuzione penitenziaria del 2000 (fatta eccezione per l’Isolamento) il quale stabilisce che, le docce, debbono essere sistemate in un vano annesso alla camera di pernottamento e non all’interno di locali comuni posti nel Reparto. Stanno per essere ultimati, altresì, i lavori di tinteggiatura dei corridoi interni alle Sezioni. Per quanto concerne la vigilanza sull’Istituto Penitenziario da parte dell’Autorità Giudiziaria competente è stato riferito che il Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro vi si reca mensilmente sia per colloqui con i detenuti e sia per ispezioni dei locali. Relativamente all’assistenza medico sanitaria, la stessa, viene garantita 24 ore su 24. Nell’Istituto, peraltro, sono presenti ben 12 branche specialistiche (Oculistica, Neurologia, Psichiatria, Cardiologia, Radiologia, Dermatologia, Chirurgia, Otorinolarigoiatria, Odontoiatria, Infettivologia, Fisioterapia ed Ortopedia). Quanto all’area verde esterna di cui è dotato l’Istituto, la stessa, è chiusa e non funzionante da tempo, per non meglio definite problematiche strutturali. Sono presenti anche dei mediatori linguistico – culturali per i detenuti stranieri. L’Istituto non è dotato di un impianto di illuminazione notturna nelle celle per cui, i controlli, da parte del personale di vigilanza, avvengono con delle torce a batteria di intensità attenuata per come prevede la Legge. Due sono le cucine dell’Istituto (anche se ne funziona soltanto una) preposte alla preparazione del vitto. I locali sono stati trovati puliti e ben attrezzati. I detenuti che vi lavorano, sono alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria.

La Casa Circondariale di Vibo Valentia dispone di un laboratorio adibito alla lavorazione dell’alluminio, di dimensioni ampissime e, soprattutto, di macchinari all’avanguardia. Qualche anno fa, la gestione venne affidata ad un’impresa esterna, specializzata nella produzione di infissi, che riusciva ad impiegare 8 detenuti. Attualmente, tale laboratorio, risulta chiuso e non funzionante per mancanza di commesse. Carente il personale di Polizia Penitenziaria che presta servizio nell’Istituto, anche per i numerosi distacchi, missioni ed aspettative (circa una trentina). Un organico esiguo se si considera anche che nell’Istituto ci sono ben 6 reparti, con detenuti che non possono incontrarsi: comuni, alta sicurezza e protetti. Insufficiente anche il personale dell’Area Giuridico Pedagogica (Educatori) ed inadeguata l’assistenza psicologica per la popolazione ristretta, garantita soltanto per poche ore mensili/settimanali da esperti dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria e dell’Azienda Sanitaria Provinciale. A tutti i detenuti ristretti nella struttura carceraria vibonese, eccetto quelli classificati “Alta Sicurezza” – per come accertato da Buemi, Trento e Quintieri – in conformità alle indicazioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, vengono garantite almeno 8 ore al giorno al di fuori della camera di pernottamento.

 

Detenuto pestato, a giudizio 9 Agenti della Polizia Penitenziaria di Reggio Emilia


Poliziotto PenitenziarioSi è chiusa in poco meno di un’ora l’udienza preliminare che vede accusati 9 agenti di Polizia Penitenziaria per un pestaggio all’interno del carcere di Reggio Emilia ai danni del 21enne Guram Shatirihvilli, il ladro georgiano che nel 2012 rimase coinvolto nel tentato omicidio di un poliziotto nelle cantine di un complesso residenziale di via Mantegna in città. Le guardie sono state tutte rinviate a giudizio dal gup Giovanni Ghini, così come richiesto dal pm Maria Rita Pantani. Fra cinque mesi, il 12 marzo, la nuova udienza davanti al Giudice Monocratico Alessandra Cardarelli.

Secondo le indagini della questura, in tre occasioni almeno (fra il 9 e il 10 luglio 2012), il georgiano venne fatto uscire di cella per essere picchiato con calci e pugni. Gli furono diagnosticate fratture costali giudicate guaribili in oltre 40 giorni. Per gli inquirenti, si sarebbe trattato di una ritorsione nei confronti del giovane implicato nel tentato omicidio di un agente. I 9 poliziotti sono accusati di lesioni pluriaggravate in concorso, con diverse aggravanti: i futili motivi, l’abuso di autorità, il fatto di essersi approfittati dello stato di inferiorità della vittima, incarcerata. Le 9 guardie coinvolte sono: il 41enne Andrea Ambrogi, il 40enne Vincenzo Coccoli, il 40enne Marco Lettieri, il 40enne Andrea Affinito, il 32enne Roger Farinaro, il 31enne Pasquale Zorobbi, il 27enne Domenico Gasparro, il 29enne Carmine Nocera e il 46enne Claudio Pingiori.

In carcere fu intercettato un colloquio fra il georgiano e la madre. Mentre la polizia cercava di intercettare i nomi dei complici sfuggiti alla cattura in via Mantegna, si sentì la donna chiedere al figlio: “Ma ti picchiano ancora?”. Shatirishvilli e la madre si sono costituiti parte civile, chiedono i danni morali e materiali.

Suicidi dei detenuti e 41 bis, indaga la Commissione Diritti Umani del Senato. Audita la Radicale Bernardini


Cella 41 bis OPAl Senato continuano le audizioni della Commissione straordinaria dei diritti umani, in particolar modo sul regime di detenzione relativo all’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario, presieduta dal senatore Luigi Manconi. Il 15 ottobre scorso è stata la volta della segretaria dei radicali Rita Bernardini che ha tracciato un bilancio preoccupante in merito alla situazione del nostro sistema penitenziario. “Ci sono intere sezioni detentive esclusivamente in mano alla polizia penitenziaria – ha spiegato la Bernardini – anch’essa sotto organico e sofferente, e lo dimostra il numero di suicidi. Anche sull’aspetto lavoro a me non risulta che i numeri siano notevolmente cambiati. Siamo sempre a una percentuale di non più del 20% di detenuti che hanno accesso alla possibilità di lavoro e questo determina la giornata del detenuto, che viene trascorsa nell’ozio”.


D’altronde, sempre secondo la Bernardini, “in carcere si risparmia su tutto, anche nel materiale di pulizia della cella, tranne che sugli psicofarmaci, che consentono a persone provate dalla detenzione di poter superare questo stato. E molto alta infatti, intorno al 25%, la percentuale di persone detenute che hanno precedenti di tossicodipendenza”. Davanti alla Commissione, la segretaria dei radicali ha anche affrontato il tema, oramai abbandonato dalla politica, dell’amnistia spiegando che “non viene tenuto conto del fatto che avere oltre 5 milioni di procedimenti penali pendenti continua a rallentare la nostra giustizia, quindi fare un’amnistia significa pulire un’arteria intasata per fare quelle riforme strutturali che consentano alla macchina di camminare”.
La segretaria dei radicali spiega anche il ruolo decisivo dell’informazione: “Si martella l’opinione pubblica con i fatti di cronaca nera, facendo intuire che aumentano i reati quando non è vero e solo perché fa audience. In un Paese che così facendo, dal punto di vista del diritto della conoscenza dei cittadini – ha concluso la Bernardini – dimostra di essere fuori da ogni criterio di democrazia”.


rita bernardiniDurante l’audizione ha preso la parola il senatore Peppe De Cristofaro, del gruppo Sinistra ecologia e libertà e membro della commissione, esprimendo sintonia di idee con la Bernardini e ribadendo che “il clima è sfavorevole grazie anche all’informazione, ma il parlamento dovrebbe avviare una riflessione e porre l’argomento della clemenza, accompagnata però dalle riforme che aboliscano leggi che producono carcerazione facile”.
Il senatore De Cristofaro ha voluto anche porre una considerazione sulla vicenda del 41 Bis spiegando che “la vera struttura del 41 bis è quella del non detto. Non si dice chiaramente – ha chiosato De Cristofaro – che è un duro strumento per portare al pentimento i mafiosi”. Il senatore ha concluso con una domanda: “È un esempio di civiltà il fatto che lo Stato utilizzi uno strumento di tortura per portare i mafiosi a collaborare?”. Parole forti, soprattutto dopo l’audizione del 4 Giugno scorso del procuratore Nicola Gratteri, il quale ha confermato la validità del 41 Bis e la proposta di riaprire il carcere dell’Asinara e Pianosa per concentrare tutti i detenuti sottoposti alla carcerazione dura. Parere che si era andato a scontrare con le parole del dottor Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento presso il Dap, ascoltato dalla Commissione sempre nel mese di Giungo: “Nell’assegnazione della misura si evita l’assembramento in pochi istituti di soggetti che facciano parte della medesima associazione o ai organizzazioni fra loro contrapposte. E si evita che soggetti di grande spessore criminale siano ristretti nello stesso istituto. I soggetti in 41 bis sono detenuti rigorosamente in celle singole. Come tutti i detenuti hanno diritto a colloqui e momenti socialità con altri detenuti, in gruppi non superiori a quattro”. La Commissione preseduta da Luigi Manconi, continuerà a svolgere l’indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti umani per poi produrre un dossier entro gennaio prossimo. La prospettiva sarebbe quella di portare la discussione in parlamento.

Damiano Aliprandi

Il Garantista, 18 ottobre 2014

Trentenne morì di anoressia in cella a Regina Coeli. Chiesta la condanna di 3 Medici


regina-coeli-carcereCi fu chi lo definì «un altro caso Cucchi». E chi smentì. Adesso, comunque si voglia etichettare la vicenda, la morte del detenuto Simone La Penna nel carcere di Regina Coeli, nel 2009, ha indotto il Pubblico Ministero Eugenio Albamonte a chiedere al Giudice della VII Sezione Penale del Tribunale Monocratico di Roma a chiedere la condanna a 2 anni e 10 mesi di reclusione per Andrea Franceschini, Giuseppe Tizzano e Andrea Silvano, i tre Medici del Carcere romano che ebbero in cura il detenuto.

Mancata vigilanza del personale sanitario

Nel novembre di cinque anni fa, a Regina Coeli, avrebbero causato la morte del detenuto. I tre camici bianchi, accusati di omicidio colposo, non avrebbero vigilato doverosamente sulle condizioni di salute di La Penna. E questo nonostante Simone fosse già allora affetto da una grave forma di anoressia contratta durante la permanenza in carcere: il 32enne viterbese morì all’interno del penitenziario della Capitale il 26 novembre 2009, dopo aver perso più di 40 chili. Stava scontando una pena di 2 anni e 4 mesi una condanna per stupefacenti. “Non siamo di fronte ad un nuovo caso Cucchi perché nella vicenda di Simone La Penna non si sono verificate vessazioni in ambiente penitenziario nè maltrattamenti”, aveva precisato all’epoca la Procura della Repubblica di Roma.

Non compatibile con il carcere

Simone La PennaIl Procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara ed il Sostituto Eugenio Albamonte, che fa parte del pool di magistrati che si occupano di colpe professionali, hanno spiegato che «nella vicenda La Penna gli indagati» erano inizialmente «sei medici e un infermiere della struttura sanitaria interna al carcere di Regina Coeli, e non personale medico dell’ospedale Sandro Pertini» e che il reato ipotizzato era quello di omicidio colposo. I magistrati avevano anche sottolineato che «occasionalmente La Penna era stato visitato anche al Pertini». Lo stato di salute del detenuto non era compatibile con la presenza nella struttura medica del carcere.

Il 30 aprile scorso, innanzi al Tribunale di Roma presso cui pende il processo, è stato sentito anche Mauro Mariani, all’epoca dei fatti, Direttore del Carcere di Regina Coeli, il quale spiegò come era organizzata l’assistenza sanitaria nell’Istituto Penitenziario e quali erano i compiti del direttore sanitario.

Secondo la Procura della Repubblica di Roma, i medici, non avrebbero somministrato al giovane le cure necessarie, nonostante i loro colleghi in servizio nel carcere di Viterbo, dove era detenuto La Penna prima del trasferimento a Regina Coeli, gli avessero diagnosticato “anoressia e vomito con calo ponderale e episodi di ipokaliemia”.

Le terapie, secondo l’accusa, furono iniziate solo 43 giorni dopo il ricovero nel centro clinico del carcere romano. Un lasso di tempo, ritenuto eccessivo dagli inquirenti, aggravato dalla mancata verifica sulla effettiva somministrazione della terapia psichiatrica. Inoltre, i medici, nonostante il progressivo peggioramento delle condizioni di La Penna, non avrebbero chiesto il suo trasferimento in una struttura sanitaria specializzata nel contrasto dell’anoressia e dei suoi effetti.

Entro la fine dell’anno è presumibile che si arrivi alla sentenza.