Il tribunale di Parma acquisisce le carte sui presunti pestaggi denunciati dal detenuto che in carcere aveva registrato le confessioni di alcuni agenti. Ora gli audio, rivelati in esclusiva dalla nostra testata, sono agli atti del processo contro il carcerato accusato di oltraggio da un gruppo di guardie penitenziarie.
Il tribunale di Parma ha acquisito le registrazioni audio dei presunti pestaggi subiti in carcere da Rachid Assarag rivelate in esclusiva da “l’Espresso”. Il detenuto marocchino, che sta scontando una condanna per violenza sessuale, ha registrato, tra il 2010 e il 2011, le confessioni di alcuni agenti all’interno del penitenziario emiliano.
Le sue denunce però sono rimaste ferme in Procura, mentre la querela presentata da un gruppo di agenti contro di lui per oltraggio si è rapidamente trasformata in processo. Così la strategia dell’avvocato Fabio Anselmo (difensore della famiglia di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi) è di sfruttare questo giudizio per ribaltare la situazione. E oggi ha incassato un primo risultato.
Nell’ultima udienza, il giudice, dopo aver interrogato Assarag, ha deciso far entrare nel processo i documenti della difesa, incluse le conversazioni rubate all’interno del penitenziario emiliano. Non solo. È stata anche disposta la perquisizione urgente della sua cella del carcere di Sollicciano, a Firenze, dove attualmente è recluso. La polizia giudiziaria dovrà recuperare i suoi diari scritti in arabo. Insomma, quello che sembrava un processo dall’esito scontato, si arricchisce di nuovi colpi di scena. La prossima udienza è fissata per il 12 dicembre.
Le trascrizioni degli audio raccolti all’interno del super carcere – affidate a una società specializzata che lavora anche per l’autorità giudiziaria – sono impressionanti: presentano uno spaccato di violenza e omertà. Viene proclamata un’unica legge: “Se ti comporti bene, ti do una mano, però se tu ti poni male”, spiega un agente.
E quando il detenuto descrive le botte allo psicologo della struttura, riceve una risposta lapidaria: “Dentro il carcere funziona così, le regole vengono fatte dagli assistenti, dal capo delle guardie, c’è una copertura reciproca, una specie di solidarietà reciproca tollerata… non credo che lei abbia il potere di cambiare niente”.
“Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu”. Così parlava ai microfoni nascosti del detenuto un poliziotto della penitenziaria. E il medico della stessa struttura è ancora più esplicito: “Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero… Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte”.
Il direttore dell’epoca, Silvio Di Gregorio, ora responsabile dell’ufficio del personale della polizia penitenziaria, contattato da “l’Espresso”, aveva preferito non rilasciare dichiarazioni. Mentre il rappresentante del Sappe aveva detto di nutrire forti perplessità sul metodo utilizzato dal detenuto nel ricercare le prove: “Mi sembra strano che possa aver registrato, nel carcere non è possibile avere niente di elettrico, non ci sono telefoni.
La denuncia la può fare comunque, si vedrà chi ha ragione e chi ha torto. Poi per carità c’è qualche collega che può sbagliare e il detenuto può denunciare, ma mi sembra strano che si possa registrare” è stata la replica di Enrico Maiorisi responsabile sindacale della struttura emiliana.
Giovanni Tizian
L’Espresso, 14 ottobre 2014
L’ha ribloggato su CARCERE VERITA'e ha commentato:
Ci vediamo il 12 Dicembre, per una battaglia che non vale solo per i diritti dei detenuti (che non si annullano con la detenzione, con buona pace di certi poliziotti), ma anche per gli stessi agenti, che potrebbero lavorare in condizioni molto migliori di queste, se solo venissero preparati diversamente.
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