Vive sulla sedia a rotelle e ha bisogno di un urgente intervento chirurgico per una infezione alla vescica da otto mesi, ma Fabio Ferrara è ancora incredibilmente detenuto nel carcere di Secondigliano, e se non fosse per i Radicali italiani, la vicenda sarebbe passata sotto silenzio. E così, dopo il presidio del 3 ottobre, gli attivisti del movimento hanno indetto ieri mia nuova protesta per chiederne l’immediata scarcerazione.
Luigi Mazzotta, membro della segreteria Radicali italiani che insieme all’associazione radicale “Per la grande Napoli” da giorni svolge sit-in e manifestazioni di protesta sulla falsariga di quelle vittoriose che hanno permesso a Luigi Moscato, detenuto malato di cancro, di avere i domiciliari per accedere a cure adeguate, spiega che “quella che conduciamo è una lotta nonviolenta per chiedere provvedimenti di amnistia, indulto e riforme alternative alla detenzione in carcere”. “Segnaliamo il caso di Fabio Ferrara – continua Mazzotta – perché vive prigioniero su una sedia a rotelle nel penitenziario di Secondigliano e da oltre otto mesi attende il permesso dal magistrato di sorveglianza per essere sottoposto ad un delicato ed urgente intervento chirurgico alia vescica”.
Fabio Ferrara vive sulla sedia a rotelle da diversi anni, da quando, sorpreso a rapinare una donna puntò l’arma contro un poliziotto che lo colpì con una pallottola. Da allora, dal quel 27 gennaio del 2012, Ferrara perse l’uso delle gambe a seguito di un intervento d’urgenza al Cardarelli che non riuscì a salvare i suoi arti. Rimasto sei giorni in coma, Ferrara si risvegliò e venne poi tradotto in una stanza dell’infermeria del carcere.
Ma in quella stanza, adatta a ospitare una sola persona, i detenuti sono due; l’altro lo aiuta a svolgere le azioni più elementari come lavarsi e muoversi. E tuttavia, salire e scendere le scale non è certo una passeggiata, il detenuto non è autonomo e per uscire di cella deve essere portato a braccia anche per i colloqui o per andare in bagno.
Lo aiutano altri detenuti, racconta la moglie Anna Belladonna, se non fosse così, “non potrebbe fare nulla, resterebbe imprigionato in uno spazio che è di tre metri quadri scarso”. Si tratta insomma di “una condizione disumana”, come bene la definisce Luigi Mazzotta.
“Sono state presentate due istanze per il differimento della pena – racconta il membro dei Radicali. Il magistrato di sorveglianza, però, ha rigettato l’istanza in quanto non sussisterebbe “un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose”. Tradotto, l’effetto è simile a quello del paradosso del Comma 22. Il detenuto, insomma, può essere curato in carcere. Ma il carcere non è in grado di curarlo.
Antonino Ulizzi
Il Garantista, 7 ottobre 2014