Sassari: Prosegue l’inchiesta della Magistratura sulla morte del detenuto algherese


284628_201282083264003_146229_nProsegue l’inchiesta della Procura sulla morte del detenuto algherese. Si guarda a ciò che è accaduto prima della tragedia. Nessun segno di violenza sul corpo e neppure altri elementi che possano portare a pensare a una causa di morte diversa dal suicidio.

L’autopsia eseguita ieri dal medico legale Francesco Lubino ha confermato la prima ipotesi formulata sul decesso di Francesco Saverio Russo, il detenuto algherese trovato privo di vita – sabato sera – in una cella del nuovo carcere di Bancali. Dopo questo passaggio (i familiari hanno nominato un consulente di parte), il magistrato titolare dell’inchiesta Cristina Carunchio deciderà quali passi compiere e se disporre ulteriori approfondimenti, anche per quanto riguarda la gestione delle fasi precedenti la tragedia. Sul dopo, infatti, sembra tutto chiaro.

Anche le attività messe in atto per cercare di salvare la vita al giovane algherese: le pratiche di rianimazione sono state portate avanti per quasi cinquanta minuti. Ma per il detenuto non c’è stato niente da fare. Articolo 21. Francesco Saverio Russo aveva ottenuto il beneficio previsto dall’articolo 21 e poteva lavorare all’esterno in un laboratorio di informatico gestito dal fratello. Usciva la mattina e tornava la sera, accompagnato sempre dalla madre.

A fine luglio, però, il diritto era stato revocato. Sulle motivazioni ci sono posizioni discordanti: negli ambienti familiari di Russo si parla di violazioni di poco conto, dal carcere invece sostengono che il mancato rispetto di precise disposizioni porta inevitabilmente alla sospensione del beneficio: “Una regola che vale per tutti”.

L’ambiente. Bancali è un carcere nuovo, un gioiellino se si pensa a quello che era San Sebastiano. Male strutture, si sa, non sono tutto, specie se diventano “contenitori di corpi”, come dice radio carcere. Nel penitenziario che è destinato anche ad accogliere ospiti destinati al 41bis, quindi calibri importanti, da qualche tempo il clima sarebbe diventato più pesante rispetto ai primi mesi di apertura.

Una situazione ambientale resa più problematica dal fatto che solo pochi reclusi hanno l’opportunità di lavorare: le richieste inevase sarebbero tante e la carenza di risorse non consentirebbe di fare decollare progetti che, invece, esistono. Equilibrio fragile. In un carcere conta molto l’anima, la vita delle persone che vivono – a vario titolo – dentro la grande casa con le sbarre. Gli umori cambiano da un momento all’altro, spesso basta una mezza notizia, un impedimento qualsiasi per fare crollare l’ottimismo messo insieme a fatica. E chi sta da solo in cella, in genere, fa più fatica a resistere.

Le reazioni. Francesco Saverio Russo aveva manifestato qualche preoccupazione alla madre, ma era stato tranquillizzato. Anche se l’udienza al Riesame fissata per novembre era parsa troppo lontana per chi auspica il ripristino del diritto di poter uscire quotidianamente dal carcere come faceva fino a qualche settimana prima. Comunicazioni complesse. Dentro un carcere le comunicazioni burocratiche tra le diverse aree sono spesso complesse, e non è solo un problema di Bancali. I tempi spesso si allungano, le risposte tardano, a volte si “perdono gli attimi”.

E un giorno in cella – si dice – ha un peso tre volte superiore a quello passato fuori. Strane sorprese. Il giudice di sorveglianza, segue la vita del carcere attraverso quelle dei detenuti. Conosce ogni variazione, sa tutto in tempo reale o quasi.

Del suicidio – il primo che si verifica a Bancali – gira voce che abbia appreso la notizia parecchie ore dopo il grave fatto. Pare al suo ingresso in carcere il giorno seguente. E anche questa, se confermata, è una cosa strana. Confronto. La morte di una persona, specie in una situazione di disagio (come accade in carcere) in qualunque modo avvenga è sempre una sconfitta durissima. E richiama l’attenzione di tutte le istituzioni coinvolte, apre un confronto che troppe volte è solo teorico e non lascia spazio alla pratica soluzione dei problemi di tutti i giorni.

Gianni Bazzoni

La Nuova Sardegna, 10 settembre 2014

 

Napoli: detenuto si impicca nel carcere di Poggioreale, è il 31° suicidio del 2014


Casa Circondariale 1Si chiamava Vincenzo De Matteo, 63 anni, il detenuto ristretto nel Padiglione Avellino della Casa Circondariale di Napoli Poggioreale, che si è tolto la vita impiccandosi nel bagno della sua cella con un asciugamano, mentre gli altri compagni erano in cortile per l’ora d’aria. De Matteo, stava scontando un cumulo di pene e sarebbe dovuto uscire dal carcere nel 2018. Nonostante l’intervento degli uomini della Polizia Penitenziaria, non c’è stato nulla da fare. Salgono così a 31 le persone detenute che hanno rinunciato a vivere nei primi 9 mesi del 2014, per un totale di 103 decessi, ovvero una media di oltre 11 morti al mese.

Il 29 gennaio scorso De Matteo era stato condannato in via definitiva a 4 anni di reclusione dai giudici della Corte d’Appello del Tribunale di Bologna perché riconosciuto colpevole dei reati di furto e rapina commessi a Pistoia nel 2003. Ma l’8 marzo del 2012 era stato anche condannato a 3 anni e mezzo per una rapina commessa, assieme ad un complice, a Ravenna, il 27 luglio del 2011, ai danni della Banca Popolare di Ravenna ed era in attesa di Appello. E così il, il 31 gennaio scorso, per lui erano scattate le manette e il trasferimento nel carcere di Poggioreale. E lì, nel bagno della sua cella, dopo che non aveva dato alcun segnale sull’insano gesto che voleva fare, il 63enne Vincenzo De Matteo, residente alla seconda Traversa di via Villa Bisignano, a Barra, si è tolto la vita impiccandosi alle sbarre con degli asciugamani arrotolati. Un gesto che ha lasciato sgomenti i compagni di detenzione ma anche gli agenti della polizia penitenziaria che lo ricordano come “una persona tranquilla, un detenuti modello”. Anche perché, venerdì scorso, De Matteo aveva fatto regolarmente il colloqui con i familiari e anche a loro era sembrato tranquillo. Probabilmente, sulla psiche del 63enne, per il quale il “fine pena” era previsto per il 2018, ha pesato proprio il probabile sito negativo del processo d’appello per la rapina commessa a Ravenna a luglio del 2011, per la quale era stato arrestato, assieme al complice, a novembre dello stesso anno e a marzo 2012 aveva già ottenuto la prima condanna a 3 anni e mezzo con il rito abbreviato, mentre il complice aveva scelto il rito ordinario. Nelle prossime ore potrebbe essere disposta l’autopsia sul cadavere di De Matteo e subito dopo il corpo sarà consegnato ai familiari per i funerali a Barra.

 

Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, l’Italia rischia la procedura d’infrazione Ue


giustizia-500x375La riforma della giustizia, dopo molti annunci, ha iniziato il suo iter formale. Il decreto legge sul processo civile è partito ieri in direzione del Quirinale per la firma del Capo dello Stato. Come annunciato, il decreto prevede i meccanismi di deflazione del contenzioso, l’arbitrato e la negoziazione assistita tramite gli avvocati, il taglio alle ferie dei magistrati. A partire dal 2015 i giudici si vedranno quindi tagliare le ferie da 45 a 30 giorni; i tribunali resteranno chiusi dal 6 al 30 agosto e non più dal 1 agosto al 15 settembre.

Si annunciano intanto sgravi fiscali per chi vorrà adottare i percorsi alternativi al processo. Una potente spinta verso il nuovo, unitamente a quanto già previsto: l’arbitrato sarà un titolo immediatamente esecutivo; chi perderà un processo tradizionale pagherà sempre le spese legali a chi vince; gli interessi di mora passeranno dall’I all’8%. Nessuno può prevedere quali saranno gli effetti sulla montagna di processi civili che s’imbastiscono ogni anno, ma il ministro Andrea Orlando, Pd, spera di dare un bel colpo all’arretrato (5 milioni le cause civili pendenti) e all’altissimo indice di litigiosità.

La riforma si comporrà anche di diversi disegni di legge. Uno di questi modifica i meccanismi della responsabilità civile dei giudici. Pochi sanno che sull’Italia pende l’ennesima sanzione europea. Il viceministro Enrico Costa, Ncd, ha fatto fare alcuni calcoli: dato che dal 24 novembre 2011 il nostro ordinamento (cioè la legge Vassalli del 1988) è stato dichiarato dalla Corte di Strasburgo non conforme al diritto comunitario, e che l’Italia ha ricevuto una lettera di messa in mora dalla commissione europea il 26 settembre 2013, c’è il fondato pericolo che venga aperta una procedura d’infrazione. Ciò significa che rischiamo una sanzione di almeno 37 milioni di euro (e che cresce di altri 36mila euro al dì). “Io sono certo – dice Costa – che il governo si sarebbe mosso anche a prescindere dal rischio della sanzione, in quanto la normativa del 1988 si è dimostrata fragile. Tant’è che nel nostro ddl ci sono alcune innovazioni, quali l’abolizione del filtro, che non sono oggetto di osservazioni”.

E poi c’è la giustizia fatta di incarichi. Si è alla vigilia della seduta del Parlamento per nominare i membri del Csm. Per il ruolo di vicepresidente sono in ballo l’ex sottosegretario Massimo Brutti e l’ex sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani, interpreti di due anime diverse del Pd. Per la Corte costituzionale crescono le quotazioni di Luciano Violante e Antonio Catricalà.

Francesco Grignetti

La Stampa, 10 settembre 2014

Carceri ancora senza una guida, nuovo Capo del Dap all’insegna dell’umanità


Polizia Penitenziaria cella detenutoIl Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è senza capo da fine maggio 2014, Era quella una data significativa perché coincideva con la decisione che il Consiglio d’Europa avrebbe dovuto prendere intorno alla situazione carceraria italiana. La decisione è stata presa, ovvero è stato previsto un altro anno di osservazione internazionale pur nella valutazione positiva di quanto nel frattempo fatto in termini di deflazione numerica e riconoscimento dei diritti dei detenuti.

Decisivo a riguardo è stato il lavoro della Commissione presieduta da Mauro Palma. Nel 2013 partivamo dall’anno zero, visti gli oltre 25 mila detenuti privi di un posto letto regolamentare e viste le condizioni di vita degradate nelle 205 prigioni del Paese, A partire dalla primavera del 2013 si sono sovrapposti interventi normativi e amministrativi diretti a produrre cambiamenti nel senso auspicato dalla Corte di Strasburgo.

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dunque un ruolo strategico, tanto più in una fase meno congestionata come è quella attuale. Il Dap deve avere un progetto, una mission chiara. Pochi tra co-laro che sono stati al vertice del Dap sono stati scelti per le loro competenze specifiche in ambito penitenziario. Nicolò Amato, capo Dap dal 1983 al 1993 ovvero per lunghi dieci anni, aveva le idee chiare. Basta rileggersi il suo libro Diritto, delitto, carcere del 1987.

Il nostro caro Sandro Margara aveva anche lui le idee chiare, nel senso dì proporsi quale garante di una pena rispettosa dei vincoli e delle finalità costituzionali. Margara, però, al vertice del Dap c’è stato poco meno di due anni. Fu mandato via dall’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto che lo definì troppo poco incline alla sicurezza e troppo incline al trattamento. Dal 1983 il capo è sempre stato un magistrato. Spesso è finito sotto le grinfie dello spoil system. Governi di tutti colori hanno così politicizzato un. incarico che per sua natura non dovrebbe esserlo.

Il Dap, come l’Arma dei Carabinieri o la Polizia di Stato, è una organizzazione fortemente centralizzata e gerarchica. Al Dap conta il Capo e contano ì direttori generali delle singole aree. Da loro dipende la gestione di 50 mila lavoratori, 80 mila tra detenuti e persone in misura alternativa, la manutenzione di 205 istituti di pena, la costruzione di eventuali nuove carceri, i rapporti con sindaci, procure, associazioni. di volontariato. Più che nominare un capo Dap vorremmo che il Governo opti per un progetto Dap.

Un progetto individuale e collettivo che cambi il paradigma della carcerazione, che punti sulla responsabilità di detenuti e personale, che azzeri le pratiche segregative e umilianti, che punti ad aprire le celle e non a chiuderle. Conta per questo progetto chi sarà il capo Dap ma conta anche chi andrà a essere il capo del personale, chi a dirigere la formazione, chi a gestire l’ufficio detenuti, chi a tenere i rapporti con gli enti locali e le regioni o chi a bandire e seguire gli appalti milionari. Dunque ci vuole un’idea forte e dai contorni netti.

Il capo Dap è un funzionario pubblico di primissima fascia. È tra le figure di vertice dello Stato. Ha un trattamento economico e previdenziale anch’esso di primissimo livello. Sulla sua nomina vorremmo che ci fosse trasparenza, valutazione dei meriti e delle competenze complesse. Può essere un magistrato ma non deve esserlo per forza. È ragionevole che sia un magistrato a tenere i rapporti con le Procure ma non è questa la principale delle attività di un capo dell’amministrazione penitenziaria. I detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41-bis secondo comma sono circa 700. Quelli ristretti in sezioni di alta sicurezza sono circa 8 mila. Tutti gli altri 45 mila sono detenuti comuni molti dei quali privi di una particolare statura criminale.

Nei loro confronti deve prevalere una gestione di tipo trattamentale, così dice la legge. Pertanto, più giusto sarebbe collocare al vertice del Dap chi al trattamento e a una gestione umano-centrica ci crede e a essa ha dedicato una vita intera. Sarebbe bello se anche dalle varie correnti della magistratura arrivasse un segnale in questa direzione, dal quale si evinca un interesso al progetto e non al posto.

Il sistema penitenziario italiano è stato giudicato fuori dalla legalità internazionale nel 2013. Ce lo ricorda continuamente Marco Pannella grazie al quale i riflettori sul carcere non si sono mai spenti. Alla sentenza del 2013 non si è arrivati per caso ma essa è stata l’effetto di una cattiva politica e di un’amministrazione incapace di cestinare prassi degradanti sclerotizzatesi nel tempo. Un vero cambio di direzione dovrebbe prendere atto di tutto questo e modificare completamente la logica con cui procedere alle nomine, quanto meno alla luce dei tanti fallimenti del passato.

Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)

Il Garantista, 10 settembre 2014