Spesso si fa ricorso alla frase in cui si afferma che le prigioni sono lo specchio della civiltà di un Paese. Leggendo la gravissima denuncia fatta dall’Onorevole Enza Bruno Bossio in merito alle condizioni dei detenuti del carcere di Rossano, sembrerebbe opportuno poter giudicare molto basso il livello di civiltà del nostro Paese. La deputata pone l’accento su condizioni e comportamenti, messi in essere dalle istituzioni, che non possono essere accettate.
Detenuti che vivono in condizioni inumane, percossi e senza adeguata assistenza umana, rappresentano gravissime violazioni dei diritti umani che non ha conseguenze limitate ai soli detenuti.
Già nel 1904, il deputato socialista Filippo Turati affermava che “le carceri italiane, nel loro complesso, sono la maggior vergogna del nostro Paese. Esse rappresentano l’esplicazione della vendetta sociale nella forma più atroce che si abbia mai avuta”. Sicuramente certezza della pena e punizione della colpa, devono rappresentare punti fondamentali del nostro sistema giudiziario e penale, però è altrettanto vero che spesso tali concetti, detenzione in seguito ad una condanna, sono riservati a chi commette reati di pericolosità sociale abbastanza relativa. Le nostre carceri si riempiono di piccoli spacciatori, ladruncoli e criminali di piccolo cabotaggio, che nei sistemi penali stranieri spesso vengono indirizzati a pene alternative, mentre ben altro trattamento viene riservato ai “colletti bianchi”. Si sta cercando, per sanare il problema del sovraffollamento delle prigioni, di ragionare sull’abolizione della “Bossi-Fini” e della “Giovannardi-Fini” che hanno avuto come unico risultato quello di sbattere in carcere migranti e piccoli spacciatori ma non hanno inciso ne nel fermare i flussi migratori clandestini ne di ridurre lo spaccio di droga.
Il mio potrà sembrare un discorso da “garantista” ma, in realtà, si tratta di una considerazione che parte da dati statistici chiari: è il carcere, che oramai ha perso il suo compito principale di istituto di rieducazione, ha trasformare piccoli delinquenti, spesso facilmente recuperabili, in criminali abituali. Rinunciare a considerare il carcere come mezzo di recupero per questi uomini significa rinunciare ad affrontare seriamente il problema della criminalità organizzata e della facilità con cui recluta manodopera.
Altra questione che merita, poi, attenzione e chiarimenti da parte delle autorità penitenziarie, sono le presunte parole dette dal vice commissario Ciambrello, che chiedeva conto alla Bruno Bossio su come si fosse permessa di visitare il carcere senza permesso. Il vice commissario dimentica che i Parlamentari della Repubblica possono visitare, senza preavviso, gli istituti penitenziari della nostra Repubblica. E, ricordando i troppi casi non ancora chiariti, quello di Stefano Cucchi il più famoso/famigerato, bisognerebbe riflettere sul fatto che nel solo 2014 i morti nelle carceri italiane sono ben 91 (25 suicidi) e, dal 2000 sono ben 2329 (826 suicidi).
Mi auguro che al più presto si chiariscano tutte le vicende poco chiare del carcere rossanese, che si puniscano i comportamenti violenti e prevaricatori e che si ristabiliscano condizioni di vita umane per i detenuti perchè, nei Paesi nei quali gli uomini non si sentono sicuri in carcere, non si sentono sicuri nemmeno in libertà.
Alberto Laise – Segreteria Provinciale SEL
18 Agosto 2014