Secondo il Tribunale di Milano le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione, ma per il giovane romano, che vive sulla sedia a rotelle, solo ieri l’uscita da Opera. Colpa della mancanza di strutture in grado di accoglierlo e burocrazia.
Poteva essere scarcerato, ma dietro le sbarre c’è rimasto per altri nove mesi. Per la mancanza di strutture in grado di accoglierlo e per colpa della burocrazia. L.V. è un giovane romeno, che ha tentato due volte il suicidio in cella ed è semi-paralizzato. Vive sulla sedia a rotelle. Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha stabilito, nel novembre dell’anno scorso, che le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione.
Ma dal carcere di Opera è uscito solo ieri, quando finalmente il Comune di Milano e il garante per i detenuti sono riusciti a trovargli un posto all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone. Il suo caso era stato denunciato dalla stesso direttore del carcere, Giacinto Siciliano, durante un’audizione alla sottocommissione carcere di Palazzo Marino: “Abbiamo percorso tutte le strade possibili perché qualche struttura esterna se ne occupi – aveva detto – ma nessuno vuole prenderlo in carico”.
Il paradosso è che quando la struttura è stata trovata, non si riusciva a farlo uscire per problemi burocratici. “L’attuale normativa prevede infatti che debba essere garantita l’assistenza sanitaria a tutte le persone detenute o sottoposte a misure alternative alla detenzione – racconta Alessandra Naldi, garante per i detenuti del Comune di Milano. Ma L.V. non è in nessuna di queste due situazioni perché il Tribunale di sorveglianza gli ha concesso il differimento pena per motivi di salute. Il differimento pena non è formalmente una misura alternativa alla detenzione, e quindi non rientra tra le situazioni in cui è esplicitamente prevista la garanzia dell’assistenza sanitaria anche ai cittadini stranieri”.
Risultato: l’Asl non concedeva la tessera sanitaria perché formalmente L.V. non era più un detenuto. Allo stesso tempo però la Sacra Famiglia non poteva ricoverarlo perché non aveva la tessera sanitaria e quindi il carcere di Opera non poteva lasciarlo libero. Un gatto che si morde la coda, insomma. La situazione si è sbloccata quando il Comune di Milano è intervenuto e ha garantito per il giovane L.V.. “È una storia che fa anche rabbia – commenta Alessandra Naldi, perché la lentezza e le incongruenze della burocrazia a volte creano situazioni paradossali. Per questo a fine giugno abbiamo istituito un tavolo con Asl, Regione, Comune e amministrazione carceraria per creare un protocollo che colmi questi vuoti che impediscono ai detenuti di usufruire di benefici di cui hanno diritto”.
Dario Paladini
Redattore Sociale, 2 agosto 2014