Agevolato dalla divisa che indossava, riusciva ad introdurre nel carcere di Brindisi dosi di hashish e cocaina, che poi spacciava ai detenuti che ne facevano richiesta. Un corriere della droga insospettabile, il 48enne brindisino Salvatore Papadonno, Assistente Capo di Polizia Penitenziaria, che finì in carcere grazie proprio alla “soffiata” di un detenuto e che, recentemente, ha chiuso i conti con la giustizia che rappresentava, patteggiando la pena a due anni e mezzo di reclusione (pena sospesa) e al pagamento di una multa di 10 mila euro.
La sentenza di condanna è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi, Paola Liaci, che ha accolto la richiesta avanzata dal difensore del basco azzurro “infedele”, l’avvocato Vito Epifani.
L’agente-pusher, secondo le indagini svolte dai carabinieri della Compagnia di Brindisi, si procacciava la droga da smerciare nel penitenziario di via Appia, dove lo stesso lavorava, dai due brindisini Vito Braccio ed Aldo Cigliola, di 33 e 42 anni, che lo rifornivano di “fumo” e “bianca” nonostante entrambi si trovassero ristretti ai domiciliari.
Tutti e tre i brindisini finirono in manette all’alba dell’11 marzo scorso, quando i militari eseguirono le tre ordinanze di custodia cautelare in carcere (Braccio e Cigliola erano già detenuti per vicende precedenti), emesse dal gip Maurizio Saso, su richiesta del sostituto procuratore Milto Stefano De Nozza.
Papadonno svolgeva il ruolo di “fattorino” della droga, in barba all’uniforme che indossava. In violazione dei doveri inerenti alla sua pubblica funzione, infatti, il 48enne era accusato di avere acquistato, trattenuto, trasportato all’interno dell’istituto carcerario e, infine, ceduto a diversi detenuti dosi di sostanze stupefacenti. Un'”attività” parallela ed antitetica, che il carceriere avrebbe svolto almeno fino all’agosto del 2013.
La droga che il basco azzurro spacciava nel carcere brindisino, come emerso dalle indagini dei carabinieri (che piazzarono cimici anche nell’auto del 48enne), nella maggior parte dei casi gli era fornita dai suoi spacciatori di fiducia, ossia Braccio e Cigliola. Il primo, difeso dall’avvocato Cinzia Cavallo, ha proposto una pena a due anni di reclusione ed attende la decisione del giudice; Cigliola, invece, difeso dall’avvocato Laura Beltrami, dovrà comparire davanti al gip Liaci il prossimo 23 ottobre.
A mettere in allarme tanto i carabinieri quanto i vertici della Polizia Penitenziaria del carcere di Brindisi – come detto – fu un “rigurgito di giustizia” da parte di un detenuto: una fonte interna che, con dovizia di particolari, rivelò alla direzione del penitenziario nomi, cognomi, fatti e circostanze in relazione al viavai di droga, maturato all’interno delle mura carcerarie, grazie alla collaborazione dell’agente “infedele”. Confidenze che le indagini tecniche dei carabinieri, fondate anche su intercettazioni ambientali e telefoniche, avvalorarono nel corso dei mesi.
Accogliendo la richiesta di patteggiamento, il gip Liaci ha concesso al Papadonno le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle aggravanti contestategli, in virtù dell’atteggiamento collaborativo assunto dal 48enne sin dal giorno del suo arresto. L’agente penitenziario, durante l’interrogatorio di garanzia, confessò in lacrime. Papadonno, che fino al 2 aprile scorso fu recluso nel carcere di Lecce, salvo poi ottenere gli arresti domiciliari, è stato condannato anche al pagamento delle spese di mantenimento in carcere, essendo la pena superiore ai due anni.