Risarcimenti per detenzione inumana, in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 92/2014


 Varata con decreto urgente la disciplina del rimedio “compensativo” richiesto dalla Corte di Strasburgo per la carcerazione in condizioni “disumane”.

È approdato infatti ieri nella Gazzetta Ufficiale 147 il decreto legge 92/2014 che introduce il rimedio giurisdizionale di carattere risarcitorio del danno sofferto dalle persone detenute e internate in condizioni contrarie alla dignità e all’umanità (articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), richiesto dalla stessa alta Corte con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013.

Il ricorso, la cui disciplina è contenuta nel nuovo articolo 35-ter, legge 354/75 (articolo 1, dl 92/2014), distingue tre possibili modalità di risarcimento, correlate essenzialmente alla durata del pregiudizio subito dai soggetti ristretti.

Se il danno consiste in una detenzione in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione, protrattasi per un perìodo di tempo non inferiore ai 15 giorni, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio (comma 1, articolo 35-ter).

Il comma 2, articolo 35-ter, prevede una seconda fattispecie, integrata qualora il residuo dì pena ancora da espiare non consenta l’integrale detrazione di pena prevista dall’ipotesi precedente. Subentra allora la liquidazione in favore del richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a 8 euro per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Il magistrato di sorveglianza provvede negli stessi termini anche nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione sia stato inferiore a 15 giorni.

Il comma 3, articolo 35-ter, regola la terza modalità risarcitoria, che concerne il danno sofferto in relazione a periodi di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ai sensi dell’articolo 657, Cpp, ovvero i soggetti danneggiati che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere. In questi casi, la domanda deve essere proposta, nel termine decadenziale di sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o di custodia cautelare, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio i soggetti hanno la residenza. Il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti, Cpc, con decreto non reclamabile, liquidando il danno nelle medesime forme sopra indicate.

L’articolo 2, di 92/2014, introduce una disciplina transitoria, modellata su quella prevista dall’articolo 6 della legge 89 del 24 marzo 2001 (“legge Pinto”), applicato le con riguardo a coloro che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano cessato di espiare la pena detentiva o non si trovino più in stato di custodia cautelare in carcere, i quali dovranno proporre l’azione risarcitoria di cui all’articolo 35-ter, comma 3, legge 354/75, entro se i mesi decorrenti dalla stessa data, a pena di decadenza.

Entro lo stesso termine, chi abbia già presentato ricorso alla Cedu per violazione dell’articolo 3, potrà formulare la domanda di risarcimento ai sensi dell’articolo 35-ter, qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte della Corte europea, la domanda dovrà contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte europea. La cancelleria del giudice adito informerà senza ritardo il Ministero degli affari esteri di tutte le domande presentate, nel t er-mine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.

Arresti domiciliari, si aspetta il braccialetto elettronico

Oltre al risarcimento per detenzione inumana, il decreto legge 92/2014 introduce altre importanti novità, che spaziano dall’ordinamento penitenziario, a quello minorile; dal Codice di procedura penale all’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria.

Viene introdotto l’obbligo per il giudice di sorveglianza che provvede su richieste di provvedimenti incidenti sulla libertà personale di condannati da tribunali o corti penali internazionali, di darne immediata comunicazione al ministro della Giustizia, che informa il ministro degli Affari esteri e, qualora previsto da accordi internazionali, l’organismo che ha pronunciato la condanna (articolo 3). In ausilio agli uffici di sorveglianza viene prevista la possibilità di impiego degli assistenti volontari, sia pure con compiti meramente ausiliari (articolo 1, comma 2).

In materia di disciplina esecutiva degli arresti domiciliari disposti in sostituzione della custodia cautelare, è riformulato l’articolo 97-bis, disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale: il giudice della cautela, in caso di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, può autorizzare il differimento dell’esecuzione dell’ordinanza per il tempo necessario alle forze dell’ordine per acquisire la materiale disponibilità dei dispositivi elettronici di controllo (“braccialetto elettronico”).

In tema di ordinamento minorile, è modificato il testo dell’articolo 24 del Dlgs 272/1989, con estensione delle disposizioni in materia di esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale nei confronti dei minorenni a chi non ha ancora 25 anni.

Il dl 92/14 interviene, inoltre, con una rimodulazione della pianta organica del Corpo di polizia penitenziaria e abbrevia la durata del corso di formazione degli agenti e vice ispettori neoassunti. È anche disposto, per due anni, il divieto di comandi e distacchi del personale del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (articolo 6 e 7).

Il quadro delle riforme si chiude con la riformulazione del comma 2-bis dell’articolo 275 del Codice di procedura penale, con riguardo alle condizioni di applicabilità della custodia cautelare in carcere (che non potrà più essere disposta se il giudice ritenga che la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni), per armonizzarne la disciplina la con le disposizioni dettate dall’articolo 656 del Codice di procedura penale, relativamente alle ipotesi di sospensione dell’esecuzione della pena detentiva (articolo 8, dl 92/2014).

Fai clic per accedere a decreto_risarcimenti.pdf

Fabio Fiorentin

Il Sole 24 Ore, 28 giugno 2014

Quanto costa la tortura in Italia ? 8 euro al giorno


carcere busto arsizioChi è stato torturato rimane torturato. La tortura è marcata nella carne con ferro rovente, anche se nessuna traccia clinicamente oggettiva è più identificabile.
Jean Améry

Mentre nel Regno Unito, è prevista la detenzione a vita per chi commette il reato di tortura; ossia «il pubblico ufficiale» che nell’esercizio delle sue funzioni «pone in essere azioni tali da procurare ad altri sofferenza fisica o psicologica (Criminal Justice Act del 1988) e negli altri paesi Europei si va da una pena minima di 15 anni (per la Francia ad esempio).

In Italia il reato di Tortura, il più odioso dei crimini contro l’umanità. non è stato mai introdotto. In Italia, si potrebbe dire visti gli ultimi accadimenti che basti… pagare…quanto? beh…diciamo 8 euro al giorno e potremo continuare a torturare uomini e donne in carceri che «definire sovraffollate è semplice eufemismo» (cit.di Napolitano).

Carceri che se non fosse per l’instancabile voce radicale di Marco Pannella, Rita Bernardini e tanti altri compagni, sarebbero nel completo oblio mediatico. Carceri dove si muore per mancanza di diritti primari, dove causa sovraffollamento e malagestione non viene garantito il diritto alla salute e quindi il diritto alla vita ad esseri umani che abbiamo in ‘custodia’.

Tutto ciò ha un nome: Reato di tortura. Reato per cui il nostro stato rischierebbe fortemente di essere incriminato, se solo fosse ratificato (è in discussione in Parlamento un disegno di legge che nel prefigurare il reato di tortura lo immagina timidamente come reato generico e non proprio).

Come dice giustamente Tullio Padovani, ordinario di diritto penale alla Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa: “È La tortura accettata come una normalità. Una normalità che diventa normativa e che si fa regola in qualche modo, e si fa regola ad esempio attraverso quella strana formula che è la “capienza tollerabile degli istituti penitenziari”.

Oppure vogliamo dirci chiaramente che la vita di un uomo vale meno se colpevole di reato? Vogliamo dirci francamente che mentre combattiamo contro la pena di morte negli altri paesi, mentre combattiamo per i diritti umani, mentre tuteliamo i nostri amici animali, lasciamo morire centinaia di uomini e donne (di cui la metà neanche giudicato e quindi innocente) solo perché hanno varcato la soglia dell’inferno delle nostre carceri lager? Torturiamo comminando trattamenti inumani e degradanti? Vogliamo dircelo che ne da destra ne da sinistra si è mai voluto porre fine a questo scempio di democrazia per pura opportunità politica e becero populismo? Vogliamo dirci che deteniamo migliaia di persone innocenti alle quali stravolgiamo e roviniamo definitivamente la vita per errori giudiziari madornali? Vogliamo dircelo finalmente che non sono poche le nostre carceri, ma troppi i nostri detenuti? Che non si dovrebbe MAI andare in galera da innocenti? E pagare 8 euro al giorno, basterà a mettere a tacere la nostra, la vostra coscienza?

Non credo proprio, non è questo che voglio insegnare e lasciare in eredità ai miei figli.

Valeria Centorame

Notizie Radicali, 27 Giugno 2014

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Giustizia. L’ennesima riforma truffa firmata Renzi, Orlando, PD


Andrea Orlando Ministro GiustiziaDunque, appuntamento a lunedì, quando il Consiglio dei Ministri discuterà le proposte di riforma della Giustizia. Comunque il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha già voluto rassicurare la magistratura associata incontrandone i vertici. Già questo è un mattino che fa capire che tipo di “buongiorno” sarà. C’è una coda infinita di processi, circa nove milioni, tra penale e civile. Se non si parte di qui, questo il ragionamento di Orlando, “non ci si raccapezza più”. Per raccapezzarci, ben cinque mosse: snellimento, con interventi sia sul codice di procedura civile e che quello di procedura penale; potenziamento della magistratura ordinaria e onoraria; sterzata ai tempi del CSM; punizioni e responsabilità; garanzia effettiva che i processi non cadano nel vuoto con la prescrizione, come avviene ora.

A parte il merito delle proposte –bisognerà vigilare sui prevedibili pasticci che saranno capaci di combinare con gli interventi sui codici di procedura penale e civile– siamo a programmi da mille e passa giorni. E cosa si vuole fare, per esempio, per evitare le prescrizioni? Si allungheranno i tempi. Bingo!

E per quanto la responsabilità civile dei magistrati? Il Governo esclude quella diretta, e avrebbe già pronto un ddl che riscrive la responsabilità civile per i magistrati: via il filtro e una rivalsa dello Stato sulla toga non più di un terzo, ma della metà; e dunque chissenefrega di quanto ha approvato pochi giorni fa la Camera dei deputati accogliendo l’emendamento Pini. Del resto lo si è fatto tranquillamente con il referendum Tortora, i cui risultati erano inequivocabili, e venne varata una normativa che andava in senso opposto…

Nel frattempo che accade in città? Che viene presentato il quinto Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Se ne ricava che il 38,6 per cento dei detenuti presenti nelle carceri italiane sono imputati-condannati per reati di droga. Il rapporto conferma gli effetti nefasti di 8 anni illegittimi di legge Fini-Giovanardi. Nel 2013, su un totale di 59.390 ingressi negli istituti penitenziari, il 30,56 per cento era per violazione dell’art.73 Dpr 309/90 mentre quasi il 40 per cento delle presenze in carcere al 31.12.2013 sono dovute direttamente alla legge sulle droghe.

Nonostante i ripetuti proclami gli affidamenti terapeutici dei tossicodipendenti restano al di sotto del dato precedente all’approvazione della legge, ed oggi avvengono perlopiù dopo un periodo di detenzione. Resta irrisolto il grave problema dei detenuti che stanno scontando pene ritenute illegittime dalla Corte Costituzionale: in assenza di un intervento legislativo si rischia il collasso dei Tribunali, costretti ad esaminare una per una le richieste di ricalcolo delle pene o peggio si rischia di lasciare scontare alle persone pene ingiuste.

Per quanto riguarda il sistema di repressione se si sommano le denunce per hashish, per marijuana e per le piante si raggiunge la cifra di 15.347 casi (45,37 per cento del totale). La “predilezione” del sistema repressivo per la cannabis è confermata dal numero di operazioni che aumentano, in controtendenza con tutte le altre sostanze, del 35,24 per cento rispetto al 2005.

Insomma, la mancata distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere”, abrogata poi dalla Consulta, e il carcere anche per il piccolo spaccio, sono la combinazione che in sette anni di applicazione della Fini-Giovanardi ha ingolfato il sistema carcerario di “pesci piccoli”, pusher tossicodipendenti a loro volta, che vendono droga per procurarsi la dose.

Sono 18mila i detenuti per il solo articolo 73 delle legge sulle droghe, che punisce la coltivazione, la detenzione e lo spaccio, mentre pochi, solo 810, scontano la pena o sono imputati del ben più grave articolo 74, l’associazione finalizzata al traffico; circa 5.400 rispondono di entrambe le imputazioni. Si tratta di cifre ufficiali, numeri forniti dal Dap. Negli anni di applicazione della Fini-Giovanardi c’è stato un aumento continuo degli ingressi in carceri per droga, passati in percentuale dal 28 al 30,6 per cento tra il 2006 e il 2013, e delle presenze, aumentate nello stesso periodo da 14.640 a 23.346, annullando rapidamente l’effetto dell’indulto.

Come si vede, la questione giustizia riguarda sì le carceri e le indegne condizioni in cui versano, ma non solo; e sempre più diventa centrale e urgente, affare che riguarda tutti, non solo i detenuti; i provvedimenti annunciati dal Governo Renzi sono motivo di inquietudine. L’unica preoccupazione del presidente del Consiglio, del ministro della Giustizia e del PD è quella di non entrare in rotta di collisione con la magistratura associata. Possono essere molte le ragioni alla base di questa scellerata scelta di campo; quello che è certo è che si tratta di riforme che non riformeranno nulla, anzi…

Valter Vecellio

Notizie Radicali, 27 Giugno 2014