L’incredibile odissea di Quintieri candidato radicale in Calabria nel 2013


paola_tribunale_2A volte anche le persone più razionali possono cedere alla tentazione di credere nei “complotti” quando leggono storie come quella di Emilio Quintieri, candidato radicale alle elezioni politiche in Calabria con la lista “Amnistia, giustizia e libertà”.

La vicenda la racconta oggi lui stesso in un articolo per “il Garantista”. Quintieri che dava molto fastidio a un certo potere locale con le proprie battaglie radicali che comprendono anche la legalizzazione delle droghe leggere e i problemi del settore carcerario, venne arrestato praticamente alla vigilia delle scorse politiche , il 13 febbraio 2013, con l’accusa di essere stato una specie di narcotrafficante.

Lo accusavano alcuni tossici del paese di Paola, in provincia di Catanzaro, che peraltro lui neanche aveva mai conosciuto bene. Nessuno gli credette, si fece svariati mesi in carcere fino a essere messo ai domiciliari dopo due rifiuti del tribunale del riesame. Quando finalmente inizia il processo, che è ancora in corso e che qualcuno vorrebbe forse che non finisse mai per lasciare la cosa nel vago, inizia tutta un’altra storia: gli stessi carabinieri che nelle informative si dicevano sicuri dei riscontri contro di lui attenuano di molto la portata dei loro rapporti. Nessuna prova, pochi indizi e tutti su dichiarazioni dei tossicodipendenti i quali, sentiti dal giudice in udienza hanno scaricato a propria volta la colpa sugli stessi carabinieri che “li pressavano”.

Eufemismo per qualcosa di peggio. Totale? Oggi Quintieri è sempre un militante radicale, a quelle elezioni non ha potuto presentarsi e l’intera sua attività politica ed esistenziale è stata rovinata. Sarà mica un caso che tutto questo avveniva in concomitanza con delle elezioni politiche molto delicate e in una zona del paese dove i radicali come Quintieri sono visti come i cani in chiesa?

Dimitri Buffa

Calabria 24 News, 27 Giugno 2014

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L’ex Pm Marmo: «Chiedo scusa alla famiglia di Enzo Tortora per quello che ho fatto»


tortoraVenerdì 27 giugno, intervistato dal quotidiano Il Garantista, l’ex magistrato Diego Marmo ha chiesto scusa alla famiglia del popolare conduttore televisivo italiano Enzo Tortora, morto nel 1988: Marmo fu il pubblico ministero durante il processo a Tortora, ingiustamente arrestato nel 1983 con l’accusa di associazione a delinquere e traffico di droga sulla base delle false dichiarazioni di alcuni camorristi.

Nell’intervista Marmo ha detto:

«Non ho mai pensato di raccontare il mio stato d’animo sino ad ora. Ho creduto che ogni mia parola non sarebbe servita a niente. Che tutto mi si sarebbe ritorto contro. Ho preferito mantenere il silenzio».

«Ho richiesto la condanna di un uomo dichiarato innocente con sentenza passata in giudicato. E adesso, dopo trent’anni, è arrivato il momento. Mi sono portato dietro questo tormento troppo a lungo. Chiedo scusa alla famiglia di Enzo Tortora per quello che ho fatto. Agii in perfetta buona fede»

«Il mio lavoro si svolse sulla base dell’istruttoria fatta da Di Pietro e Di Persia. Tortora fu rinviato a giudizio da Fontana. io feci il pubblico ministero al processo. E sulla base degli elementi raccolti, mi convinsi in perfetta buona fede della sua colpevolezza. La richiesta venne accolta dal tribunale»

Di recente Marmo – che dopo aver trascorso diversi anni in magistratura ed essere andato in pensione si è occupato anche di archeologia – è stato nominato assessore alla Legalità a Pompei, e la sua nomina aveva suscitato numerose contestazioni: negli anni a Marmo è stato spesso e da molti contestato il tono particolarmente duro della sua requisitoria durante il processo, in cui Tortora fu definito “cinico mercante di morte” e “uomo della notte”.

«Certamente mi lasciai prendere dal temperamento. Ero in buona fede. Ma questo non vuol dire che usai sempre termini appropriati, e che non sia disposto ad ammetterlo. Mi feci prendere dalla foga»

«In trent’anni non ho mai pensato o detto: chissenefrega del caso Tortora. Immaginavo che potessero sorgere polemiche sulla mia nomina [di assessore]. Ma alla fine ho deciso di accettare perché la situazione degli scavi di Pompei mi sta particolarmente a cuore»

Bernardini (Radicali) : Marmo, il problema non sono le scuse ma il no dell’Anm a riforma giustizia


Enzo TortoraIl problema non credo sia quello delle “scuse” di Diego Marmo alla famiglia di Enzo Tortora, che sono sempre gradite anche se arrivano con decenni di ritardo.

Il problema vero è che le migliaia e migliaia di magistrati italiani accettino tutti – anche la maggioranza silenziosa di magistrati integerrimi e professionalmente preparatissimi – di farsi rappresentare dal partito dell’ANM che esclude a priori qualsiasi tentativo di riforma della giustizia.

Si pensi proprio alla battaglia di Tortora e dei Radicali sulla responsabilità civile dei magistrati. La corporazione della magistratura associata ha fatto in modo di vanificare quel referendum del 1987 e, in 27 anni, solo 4 magistrati hanno pagato per i loro gravi errori. 4 in 27 anni significa “zero”.

Tutti possiamo fare errori gravi o gravissimi, ma se esercitiamo un potere e dai nostri errori dipende la vita o la morte di altri esseri umani, dovremmo essere noi stessi a chiedere quei “paletti”, quelle “regole” che ci impediscano di male-agire rovinando l’esistenza di altri esseri umani.

In Italia queste regole, questi “paletti” non solo non ci sono, ma c’è il loro contrario, ci sono i privilegi.

Vinci un concorso in magistratura e la tua carriera, il tuo stipendio, la tua liquidazione e la tua pensione saranno assicurati al massimo livello. Per iniziativa del CSM, i nostri magistrati non sono soggetti a reali, selettive valutazioni di professionalità.

Rita Bernardini, Segretario Nazionale Radicali Italiani

Italia24 News, 27 Giugno 2014

Droghe, Bruno Bossio (Pd) : Vanno superate le politiche proibizioniste !


On. Enza Bruno Bossio1Proprio oggi, 26 giugno, in occasione della Giornata internazionale della lotta alla droga, è a mio avviso necessario ribadire la necessità di un ripensamento delle politiche sulle sostanze stupefacenti e la conseguente riforma che dovrebbe far seguito ai disastrosi dati della ”guerra alla droga” per come è stata condotta nel nostro Paese.

Il fallimento, in tutto il mondo e non solo in Italia, delle politiche proibizioniste ci impone l’adozione di un approccio nuovo, scientifico e non più ideologico, al problema, che prenda atto del danno perpetrato in questi anni in termini di diritti della persona ai cosiddetti “tossicodipendenti”, oltre che al danno economico inferto al Paese nell’aver ”lasciato” in mano alle mafie la gestione della questione droga.
La ‘ndrangheta è, oggi, la più economicamente forte e meno militarmente fiaccabile delle organizzazioni criminali proprio grazie al controllo da essa esercitato sul traffico internazionale degli stupefacenti.
Come parlamentare calabrese è mio preciso dovere non sottrarmi a simili valutazioni.

Sento perciò di aderire alla lodevole iniziativa del Partito Radicale, che assieme all’Associazione Luca Coscioni per la libertà scientifica, ha lanciato una mobilitazione nell’ambito della campagna mondiale della Global Commission on Drug Policy ”Hey, We Need To Talk About Drugs” e dell’Open Society Foundations a sostegno della campagna ”Support. Don’t Punish”, avviata in 50 Paesi.

L’abolizione, quest’anno, della Fini-Giovanardi deve essere solo il primo passo verso l’affermazione, subito – e su questo faccio appello al Governo -, della possibilità di utilizzare la cannabis per la terapia del dolore e – col tempo – la piena legalizzazione delle cosiddette droghe leggere, nel solco di quel consenso sul tema oramai ampiamente riscontrabile in tutta l’Unione Europea.

On. Enza Bruno Bossio

Deputato Pd – Commissione Parlamentare Antimafia

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Bernardini (Radicali) : I pestaggi nel carcere di Vicenza e la sorte di Dimitri Alberti


 Diritti umani. Che fine ha fatto l’uomo picchiato dai carabinieri, caso per il quale la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia?

Il manifesto è stato uno dei pochi giornali a dare la notizia dell’ennesima condanna che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha inflitto all’Italia per violazione dell’art. 3 Convenzione: “Trattamenti inumani e degradanti”. Alla vittima, Dimitri Alberti, la Cedu ha riconosciuto un risarcimento di 15.000 euro per danni fisici e morali causati da un pestaggio dei Carabinieri al momento del suo arresto avvenuto nel marzo del 2010.

I magistrati avevano creduto – come capita quasi sempre – alla versione delle Forze dell’Ordine: le costole rotte e l’ematoma al testicolo sinistro, Dimitri se li era procurati da solo nel corso della sua “resistenza ai pubblici ufficiali” che gli stavano stringendo i polsi dentro le manette.

Ma dove si trova ora Dimitri?

Dopo quell’arresto, Dimitri fu ristretto nel carcere di Verona; poi era andato a finire in una comunità ma da qui, per il sopraggiungere di un definitivo, era stato portato al carcere di Vicenza.

Ricordo la visita ispettiva che da deputata radicale feci proprio in quel carcere, accompagnata dai radicali Maria Grazia Lucchiari e Francesco Donadello. Ci arrivammo a sorpresa in una domenica di novembre: nessuno se lo aspettava. Il comandante e il direttore non c’erano e ci raggiunsero già a ispezione in corso. L’istituto versava in condizioni pietose, tutte meticolosamente riportate in un interpellanza parlamentare. L’atmosfera era di paura e i detenuti, chiusi nelle loro piccole celle, sembravano intontiti e rassegnati a quello stato di prostrazione. Fino a che uno di loro, un nigeriano, ebbe il coraggio di parlare e, come un fiume in piena, raccontò delle violenze commesse da una consolidata squadretta di agenti nei confronti dei detenuti.

Dopo O.P.M. – queste le iniziali dell’uomo nigeriano che, nonostante le condizioni vessatorie, si stava per laureare in carcere – altri, anche italiani, confermarono i pestaggi. Dopo quella visita e dopo l’interpellanza radicale, ci fu un’approfondita inchiesta interna del Dott. Francesco Cascini del Dap, la situazione migliorò e la magistratura aprì finalmente un’indagine (altre denunce dei detenuti degli anni passati erano state lasciate cadere nel vuoto) che portò sul banco degli imputati 15 agenti di polizia penitenziaria.

Ma, tornando a Dimitri, oggi dov’è? È ancora in carcere? Pestato dai Carabinieri, come accertato dalla Cedu, ma anche in carcere dagli agenti?

Dimitri è ricoverato in stato neurovegetativo presso il Centro riabilitativo veronese di Marzana: ci è finito, dopo un’ischemia sopraggiunta ad un attacco epilettico che lo ha colto nell’agosto del 2012 mentre era detenuto al carcere di Vicenza. Che ci siano di mezzo anche i pestaggi denunciati da O.P.M.?

Per come si sono svolti i fatti in passato, c’è da tenere gli occhi bene aperti. Il fatto che in Italia non sia stato ancora introdotto il reato di tortura la dice lunga sulle omertà del sistema che, intanto, è riuscito ad ottenere che noi radicali non si sia più parlamento, con la conseguenza che le lunghe visite ispettive “a sorpresa” negli istituti penitenziari – effettuate ai sensi dell’articolo 67 dell’ordinamento penitenziario – si siano nella pratica interrotte.

Infine, una preoccupazione: sulla violazione dei Diritti Umani Fondamentali, l’osannato Presidente del Consiglio Matteo Renzi, detentore di primati ineguagliabili quanto a presenze in tv, il lugubre “verso” del passato non ha dimostrato la minima propensione a volerlo cambiare. Ecco perché riteniamo che questo sia il punto centrale e irrinunciabile dell’iniziativa e della politica radicale.

di Rita Bernardini (Segretaria nazionale di Radicali italiani)

Il Manifesto, 27 giugno 2014

Carceri : Ecco il decreto-risarcimenti… ovvero 8 euro per torturarti


Maria Brucale con Rita BernardiniDopo la “pena sospesa” da parte della Corte Europea che, in data 28 maggio ha riconosciuto i buoni propositi dell’Italia e le ha concesso una proroga per sanare la situazione di drammatica afflizione che vivono i detenuti nelle nostre carceri, il governo Renzi partorisce un decreto: risarcimenti in denaro, 8 euro al giorno, per i detenuti tornati in libertà che sono stati costretti a vivere in uno spazio inferiore a tre metri quadrati, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo. Un giorno di tortura, dunque, vale 8 euro. Per chi è ancora detenuto, invece, verrà applicato uno sconto sulla pena residua pari al 10 %.

Il carcere minorile potrà ospitare persone fino a 25 anni, non più fino a 21, così ritardando l’ingresso dei non più “minori” nelle strutture carcerarie ordinarie e rallentando il sovraffollamento conseguente.

Il decreto guarderebbe anche ai problemi di gestione, anch’essi derivanti da un numero di detenuti sempre in esubero rispetto agli istituti penitenziari, da parte della polizia penitenziaria, attraverso provvedimenti tesi ad aumentare la consistenza dell’organico.

Un provvedimento certamente insufficiente ed inadeguato che creerà e sta già creando ulteriori momenti di tensione nelle note aree forcaiole che hanno gridato il loro sdegno per il precedente decreto, inopinatamente definito “svuota carceri”, che, nella sua originaria formulazione, in aderenza al dettato costituzionale, estendeva anche ai reati di mafia e a tutti quelli inclusi nel famigerato art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, la propria valenza risarcitoria per una carcerazione inumana e degradante, prevedendo la concessione ai detenuti, per un periodo di tempo determinato, del beneficio della liberazione anticipata con decurtazione della pena da espiare non dei consueti 45 giorni, bensì di 75.

La legge di conversione ha stabilito che i detenuti per reati di mafia o per altri reati individuati come “più gravi” dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, sono un po’ meno persone degli altri, che per loro una detenzione oltre i limiti di ogni decenza va bene tutto sommato perché sono veramente cattivi!!!

E, dunque, attendiamo le reazioni.

Non possiamo però non osservare che se il governo avesse emanato provvedimenti di immediata concretezza deflattiva, non avrebbe dovuto oggi “sbloccare fondi” utili ad uscire dall’emergenza, per erogare l’elemosina degli otto euro, e per salvare dal collasso la polizia penitenziaria, fondi che in qualche modo saremo tutti chiamati a reintegrare.

Il grido di amnistia e di indulto fatto proprio dal Papa e dal Presidente della Repubblica rimane inascoltato, la situazione rimane drammatica. Intanto, il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece – lo stesso che affermava riguardo alla morte di Stefano Cucchi: ” i nostri colleghi che lavorano nelle camere di sicurezza del tribunale, sono persone tranquille e al di sopra di ogni sospetto” – così commenta il provvedimento sui risarcimenti ai detenuti deciso dal Consiglio dei Ministri: “Lo Stato taglia le risorse a favore della sicurezza e della Polizia Penitenziaria in particolare e poi prevede un indennizzo economico giornaliero per gli assassini, i ladri, i rapinatori, gli stupratori, i delinquenti che sono stati in celle sovraffollate”.

E ancora: “a noi poliziotti non pagano da anni gli avanzamenti di carriera, le indennità, addirittura ci fanno pagare l’affitto per l’uso delle stanze in caserma e poi stanziano soldi per chi le leggi le ha infrante e le infrange. Mi sembra davvero una cosa pazzesca e mi auguro che il Capo dello Stato ed il Parlamento rivedano questa norma assurda, tanto più se si considerano quanti milioni di famiglie italiane affrontano da tempo con difficoltà la grave crisi economica che ha colpito il Paese”.

Maria Brucale – Avvocato

Il Garantista, 27 Giugno 2014

Quintieri : La mia odissea, in cella per false accuse. Il Garantista


Emilio Quintieri - Luigi MazzottaPiù volte mi è stato chiesto di raccontare la mia “esperienza carceraria” ma, fino ad ora, ho sempre evitato perché ripercorrere con la mente certi momenti non è affatto facile e, peggio ancora, quando li si deve rendere pubblici. Credo, però, che certi fatti non debbano passare inosservati per cui, ho accettato di raccontare la mia storia a “Il Garantista”. Da anni svolgo attività politica con la Federazione dei Verdi ed ultimamente con i Radicali, mi sono occupato – e mi occupo -problemi legati al carcere, anche accompagnando parlamentari negli istituti penitenziari durante le ispezioni, per fargli rendere conto delle condizioni degradanti di detenzione sanzionate dalla Corte Europea dei Diritti Umani. Alla luce di questo mio impegno, ho anche accettato alle ultime elezioni la candidatura nella Circoscrizione della Calabria, con la Lista Radicale “Amnistia, Giustizia e Libertà”. La mia vicenda ha inizio proprio pochi giorni prima delle elezioni, il 13 febbraio del 2013, quando alle 5 del mattino, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip del tribunale di Paola nell’ambito dell’Operazione Antidroga “Scacco Matto”, vengo arrestato dai carabinieri e condotto presso la casa circondariale di Paola insieme ad altre persone. Mi veniva contestato di aver detenuto illecitamente ed occultato, negli anni precedenti, quantità imprecisate di cocaina e marijuana e di averla ceduta a terzi. Unici elementi di prova nei miei confronti, raccolti in sede di indagine, le dichiarazioni rese ai carabinieri da alcuni soggetti tossicodipendenti che mi accusavano di avergli ceduto, in più occasioni e dietro pagamento, piccole quantità di droga. Contrariamente agli altri indagati, in sede di interrogatorio di garanzia, ho scelto di non fare “scena muta”, ho risposto alle domande del giudice, rifiutandomi di rispondere a quelle che ritenevo potessero fornire elementi suscettibili di provare la responsabilità di terzi. Le mie spiegazioni non vennero ritenute credibili e, per il rifiuto da me opposto, il giudice respinse l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. Mi sono dunque rivolto al Tribunale del Riesame di Catanzaro che però ha rigettato la richiesta, sostenendo che dovessi restare in carcere perché esistevano diverse intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte dagli inquirenti il cui contenuto appariva esplicito ed univoco, nonché attività di riscontro, di osservazione e pedinamento. Non riuscivo a crederci. Dopo qualche mese, il pm otteneva il giudizio immediato per tutti i reati contestati. Io scelsi di seguire il rito ordinario ritenendo di poter essere prosciolto da ogni accusa. La prima udienza, fissata per il 10 luglio, veniva rinviata al 2 ottobre per lo sciopero – giusto – degli avvocati. Così sono tornato in cella. Ma la situazione per me si faceva ogni giorno più insopportabile, anche per i continui contrasti con la direzione dell’istituto. Così analizzati tutti gli atti processuali, ho chiesto di essere scarcerato contestando anche quanto inspiegabilmente riportato nell’ordinanza dai giudici del Riesame rispetto all’esistenza di intercettazioni o riscontri da parte degli investigatori che confermassero l’attività delittuosa ipotizzata. Niente da fare! Nel frattempo, dopo ripetuti procedimenti disciplinari, sono stato trasferito nel carcere di Cosenza e dopo un breve periodo, trascorso anche in regime di isolamento, mi sono stati concessi gli arresti domiciliari in un paesino di montagna, lontano dalla mia città. Alla prima udienza utile, ho presentato personalmente una questione di legittimità costituzionale sulla famigerata Legge Fini-Giovanardi. Successivamente, alla ripresa del processo, ho depositato la sentenza della Corte Costituzionale che accoglieva le stesse questioni di costituzionalità che altre autorità giudiziarie avevano sollevato. Nelle scorse udienze sono stati sentiti gli Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri che hanno svolto le indagini. Hanno affermato di non aver mai documentato alcuna attività di detenzione o cessione di stupefacenti da parte mia, che non sono mai state effettuate sul mio conto intercettazioni telefoniche ed ambientali e che l’arresto era scaturito solo per via delle dichiarazioni rilasciate dai tossicodipendenti. Precisavano, infine, che nell’ambito dell’inchiesta, erano emersi solo dei miei contatti con alcuni degli altri indagati di natura esclusivamente amichevole. Nulla a che fare con lo spaccio di droga! Inoltre qualcuno tra i miei accusatori ha ammesso di essersi inventato tutto, “pressato” dai carabinieri. Il processo intanto è ancora in corso. Se ne riparlerà ad ottobre. Mi domando: è mai possibile che in uno Stato di diritto una persona venga arrestata e portata in carcere solo sulla base di qualche dichiarazione, priva di qualsivoglia riscontro, perché sospettata di aver detenuto e poi ceduto qualche dose di droga? È mai possibile che si possa restare in “carcerazione preventiva” ed in attesa di giudizio tanto tempo?

Emilio Quintieri

Il Garantista, 27 Giugno 2014