Anche questo dovevamo vedere: un pubblico ministero, parte d’accusa, che, pur forte delle sue scoperte e delle sue certezze, invita a non esprimere giudizi avventati, e un giudice terzo, un Gip, che bolla l’imputato, giuridicamente presunto non colpevole, come persona dotata di “tale ferocia” da rendere “estremamente probabile la reiterazione di reati della stessa indole”. Così inserendo nell’ordinanza con cui dispone la custodia cautelare per Giuseppe Bossetti, imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio, una anticipatrice sentenza definitiva. Dopo di che uno può chiedersi a cosa servano un processo, una difesa legale, e soprattutto, in prospettiva, una riforma dell’ordinamento giudiziario che contempli la separazione delle carriere insieme alla creazione di Csm separati per giudici e pubblici accusatori e alla sostituzione dell’obbligatorietà dell’azione penale con una meno discrezionale selezione di priorità.
Visto che nessuno o quasi si è stupito dell’argomentazione del giudice di Bergamo, è da supporre che questa sia la prassi, il costume e la regola nelle fasi preliminari di un processo. Dopotutto non è forse questa l’indole italiana, tutta luce o tutta tenebra? Abbiamo sotto gli occhi l’esempio della nazionale di calcio: dopo la vittoria sull’Inghilterra già popolo e giornalisti si interrogavano sugli esperimenti da fare in vista della fase finale ed eccoci oggi tutti qui a boccheggiare sull’ultima spiaggia. Ma, nonostante il tifo accechi, tutti concordano che un rigore negato agli avversari su un campo di calcio (“non era rigore, forse un pochino, è da rivedere” ) abbia un peso diverso da un rigore formale negato a una persona che, armata solo di garanzie scolpite nelle leggi, si trovi come controparte lo Stato.
E’ possibile che la riforma della giustizia, che da anni rulla sulle piste del Parlamento, riesca oggi a sollevarsi da terra? Difficile, nonostante che da qualche tempo non ne sia più Berlusconi il fulcro e il motore (immobile e immobilizzante). E a dispetto del fatto che i casi di conflitto e di polemica si moltiplichino: dall’emendamento che ha evocato il ritorno (fantasmatico) della responsabilità diretta dei magistrati dopo il referendum (v.s.) del 1987, fino allo scontro fra il capo della Procura di Milano e un suo aggiunto, risolto a quanto pare da un intervento d’autorità del Capo dello Stato che avrebbe messo in riga un Csm diversamente orientato. Episodio che, al di là dell’esito, ha rivelato di quale incerto filo siano intessute le stoffe di quello che dovrebbe essere il regno delle certezze procedurali. E allora invece che rassegnarsi allo status quo, agli aggiustamenti progressivi o spesso regressivi, alla maniacale arte di arrangiarsi (vedi il preventivo risarcimento danni offerto ai detenuti per sanare l’offesa alla loro dignità in luogo del ripristino della stessa) uno dovrebbe chiedersi quanto tempo fino ad oggi sia stato perduto, a far data niente di meno che dal dibattito nell’assemblea costituente.
Fu Piero Calamandrei, al solito, a chiarire la necessità di scelte che garantissero la terzietà del giudice e un ruolo differenziato del Pm, l’indipendenza ma anche la responsabilità: “Con le norme previste -disse- si avrebbe un corpo di magistrati completamente indipendente, il quale deciderebbe delle nomine, provvederebbe alla designazione ai vari uffici, autoeserciterebbe la disciplina e delibererebbe delle spese. Con una magistratura così chiusa e appartata, si potrebbero verificare conflitti con il potere legislativo o con quello esecutivo, in quanto la magistratura potrebbe, per esempio, rifiutarsi all’applicazione di una legge o attribuirsi il potere di stabilire criteri generali di interpretazione delle leggi”. Se questa a qualcuno sembra una profezia, si muova per favore.
Marco Taradash
Il Garantista, 22 Giugno 2014