Carceri : i detenuti da risarcire e il caos dei ricorsi. Provvedimento “insufficiente” per i Giudici di Sorveglianza


Carceri-San-Vittore-by-Inside-CarceriChi è stato detenuto in celle così sovraffollate (meno di 3 mq a testa) da rientrare nella definizione di “trattamento disumano” per la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2013 con la “sentenza Torreggiani” ha condannato l’Italia a risarcire 7 detenuti di Busto Arsizio e Piacenza con 23.500 euro per 3 anni e 3 mesi di prigionia, se oggi è in libertà potrà chiedere di essere risarcito dallo Stato con 8 euro al giorno; se invece è ancora in carcere, potrà chiedere di godere di uno sconto di 1 giorno di pena ogni 10 trascorsi in detenzione “degradante”.

Consiste in questo il “rimedio interno” promesso al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, e ieri introdotto per decreto legge dal premier Renzi e dal Guardasigilli Orlando. In questo modo non verranno più decisi da Strasburgo i 6.829 ricorsi italiani lì già pendenti.

Altri rimedi possibili

Non era però questo l’unico rimedio interno possibile, anzi il coordinamento nazionale dei giudici di sorveglianza aveva già paventato che lo sconto di 1 giorno ogni 10, “con esplicite ed “eteronome” finalità risarcitorie per il detenuto”, sarà “di difficile applicazione pratica e dal modesto effetto deflattivo”. E che “il risarcimento pecuniario in misura forfettaria, a fronte dell’incommensurabilità del bene supremo della dignità umana che non conosce prezzo, percorre una via indennitaria diversa dalla strada maestra della garanzia giurisdizionale”, che avrebbe piuttosto dovuto essere il “diritto al risarcimento integrale dei danni conseguenti ai trattamenti disumani e degradanti, di competenza del giudice civile” secondo quanto “indicato dalla Cassazione”, e non dei giudici di sorveglianza.

Per i giudici è un provvedimento “insufficiente”

L’entità del risarcimento è peraltro meno della metà degli standard liquidati dalla Corte di Strasburgo. Sicché il rimedio scelto rischia di poter essere brutalmente riassumibile come quello di uno Stato che con un po’ di liberazione anticipata prima “tortura” uno, ma poi per compensarlo lo “tortura” un poco di meno; o che con una manciata di soldi massimizza pure i propri risparmi, giacché prima “tortura” uno e poi, per compensarlo, gli liquida un “trattamento di fine rapporto” da 8 euro al giorno, quando un giorno di carcere costa complessivamente allo Stato (stando alle tabelle ministeriali) circa 124 euro. Infine c’è da considerare che in questo modo si abbatteranno nuove migliaia di istanze sui giudici di sorveglianza, già sommersi da altri recenti interventi legislativi sul carcere: solo che questi giudici sono sempre e solo 153 in tutta Italia per 60.000 detenuti e 25.000 condannati in misure alternative. E ora i giudici di sorveglianza, nel definire “utile ma precaria, eventuale e del tutto insufficiente” la ieri prevista dal governo “autorizzazione all’impiego di volontari a supporto”, sperano “in un supplemento di saggezza politico-istituzionale”: prima che “le nuove competenze” producano “conseguenze disastrose su produttività e efficienza”.

di Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 22 giugno 2014

Magistrati, una casta intoccabile che vuole Silvio in galera


Silvio Berlusconi - TribunaleBerlusconi rischia grosso. Potrebbe finire in cella, nonostante i suoi 77 anni e nonostante il fatto che è il capo di uno dei tre grandi partiti italiani. E se così fosse, sarebbe il primo leader politico di tutta la storia della Repubblica ad andare in prigione per un reato d’opinione. L’ultima volta fu prima del 25 luglio del 1943.
E’ successo, come avete letto ieri su questo giornale, che giovedì al Tribunale di Napoli si è verificato, in aula, uno scontro verbale tra l’ex primo ministro e il Presidente della Corte. Ora la Procura di Napoli sta valutando l’ipotesi che nel corso di quell’incidente, Berlusconi, con le sue parole aggressive verso la magistratura, abbia nientepopodimenoché commesso il reato di oltraggio all’ordine giudiziario. Deciderà lunedì se aprire o no un procedimento e se trasmettere le carte al tribunale di sorveglianza di Milano perché possa decidere se revocare il beneficio dei servizi sociali e spedirlo in galera.

La scelta tra archiviare o procedere è affidata al Procuratore Giovanni Colangelo e a due Pm: Vincenzo Piscitelli e…Henry John Woodcock. C’è bisogno di scrivere qualche riga su Henry John Woodcock? È un giovane magistrato molto noto e del quale tutto si può dire ma non che non abbia qualche inimicizia verso Berlusconi. Naturalmente questa evidente incompatibilità potrebbe persino giovare a Berlusconi: Woodcock, sentendosi troppo esposto, potrebbe finire per evitare lo scontro frontale. Woodcock però non è un tipo che evita gli scontri frontali. Gli sono sempre piaciuti, li ha sempre cercati, generalmente senza un grande successo visto che moltissime delle sue inchieste più spettacolari, contro imputati famosi, si sono risolte con un flop.

Cosa potrebbero decidere i giudici di Napoli? Di aprire un procedimento per oltraggio, e le voci di corridoio dicono che si stanno orientando in quel senso. E poi potrebbero decidere di trasmettere la registrazione dello scontro tra Berlusconi e la dottoressa Ceppaluni al tribunale di sorveglianza di Milano. A quel punto Berlusconi si troverebbe sotto due fuochi: a Napoli dovrebbe affrontare un nuovo processo per un nuovo reato (di opinione, ma che prevede pene severe); a Milano potrebbe aspettarsi che il tribunale gli revochi l’affidamento ai servizi e lo mandi in cella. Il Tribunale di sorveglianza, quando decise di assegnare Berlusconi ai servizi sociali ( e precisamente all’assistenza ai malati di Alzheimer) lo aveva ammonito: non parlare male della magistratura o ti sbattiamo dentro. Berlusconi si è fatto tutta la campagna elettorale tappandosi la bocca per evitare che gli sfuggisse qualche sciabolata contro i giudici. L’altra sera però non ha retto. Ci sono stati due minuti di scintille. La presidente della Corte, la dottoressa Ceppaluni, gli ha chiesto qualcosa sui suoi rapporti con il finanziere Ponzellini. Lui ha risposto: «Non capisco il senso di queste domande». E lei, gelida, ha replicato: «Non c’è nessun bisogno che lei capisca». A quel punto Berlusconi è sbottato e ha parlato di irresponsabilità e impunibilità della magistratura.

Che un capo politico definisca irresponsabile e impunibile la magistratura, è un’offesa o è critica politica? Se avesse definito irresponsabile Grillo, o Renzi, o Obama nessuno avrebbe avuto niente da dire. La magistratura in Italia è un luogo sacro? Può criticare e anche condannare ma non può essere criticata né tantomeno giudicata? Eppure in qualunque paese libero è legittimo criticare la magistratura. Forse è meno legittimo che un giudice, in tribunale, sbeffeggi e cerchi di umiliare un imputato. E affermi con protervia e arroganza la sua superiorità quasi divina.«Non c’è bisogno che lei capisca», che significa? Significa: qui c’è una sola persona che deve capire e comandare: io. Lei si sottoponga a me e obbedisca.
Siamo sicuri che il Consiglio superiore della magistratura non debba valutare se l’atteggiamento assunto in aula dalla dottoressa Ceppaluni non fosse offensivo e violasse l’etica della magistratura? Se io ascoltassi un giudice rivolgersi con quella arroganza a un povero cristo (e temo che succeda molto spesso) mi indignerei parecchio. Per Berlusconi invece non bisogna indignarsi?

La verità è che uno può anche indignarsi, ma poi non gli resta altro che abbozzare. La potenza assoluta e incontrollabile della magistratura è ormai fuori discussione e sembra inarrestabile. Il governo ha annunciato che giovedì presenterà la riforma della Giustizia. C’è da scommettere che in questa riforma non ci sarà di niente di sgradito ai magistrati: né la separazione delle carriere, né la responsabilità civile, né la riforma del carcere preventivo, né la limitazione delle intercettazioni, nè la riforma del processo.

Piero Sansonetti

Il Garantista, 21 Giugno 2014

Riforma della giustizia subito: il caso Yara insegna


Palazzo di Giustizia NapoliAnche questo dovevamo vedere: un pubblico ministero, parte d’accusa, che, pur forte delle sue scoperte e delle sue certezze, invita a non esprimere giudizi avventati, e un giudice terzo, un Gip, che bolla l’imputato, giuridicamente presunto non colpevole, come persona dotata di “tale ferocia” da rendere “estremamente probabile la reiterazione di reati della stessa indole”. Così inserendo nell’ordinanza con cui dispone la custodia cautelare per Giuseppe Bossetti, imputato per l’omicidio di Yara Gambirasio, una anticipatrice sentenza definitiva. Dopo di che uno può chiedersi a cosa servano un processo, una difesa legale, e soprattutto, in prospettiva, una riforma dell’ordinamento giudiziario che contempli la separazione delle carriere insieme alla creazione di Csm separati per giudici e pubblici accusatori e alla sostituzione dell’obbligatorietà dell’azione penale con una meno discrezionale selezione di priorità.

Visto che nessuno o quasi si è stupito dell’argomentazione del giudice di Bergamo, è da supporre che questa sia la prassi, il costume e la regola nelle fasi preliminari di un processo. Dopotutto non è forse questa l’indole italiana, tutta luce o tutta tenebra? Abbiamo sotto gli occhi l’esempio della nazionale di calcio: dopo la vittoria sull’Inghilterra già popolo e giornalisti si interrogavano sugli esperimenti da fare in vista della fase finale ed eccoci oggi tutti qui a boccheggiare sull’ultima spiaggia. Ma, nonostante il tifo accechi, tutti concordano che un rigore negato agli avversari su un campo di calcio (“non era rigore, forse un pochino, è da rivedere” ) abbia un peso diverso da un rigore formale negato a una persona che, armata solo di garanzie scolpite nelle leggi, si trovi come controparte lo Stato.

E’ possibile che la riforma della giustizia, che da anni rulla sulle piste del Parlamento, riesca oggi a sollevarsi da terra? Difficile, nonostante che da qualche tempo non ne sia più Berlusconi il fulcro e il motore (immobile e immobilizzante). E a dispetto del fatto che i casi di conflitto e di polemica si moltiplichino: dall’emendamento che ha evocato il ritorno (fantasmatico) della responsabilità diretta dei magistrati dopo il referendum (v.s.) del 1987, fino allo scontro fra il capo della Procura di Milano e un suo aggiunto, risolto a quanto pare da un intervento d’autorità del Capo dello Stato che avrebbe messo in riga un Csm diversamente orientato. Episodio che, al di là dell’esito, ha rivelato di quale incerto filo siano intessute le stoffe di quello che dovrebbe essere il regno delle certezze procedurali.  E allora invece che rassegnarsi allo status quo, agli aggiustamenti progressivi o spesso regressivi, alla maniacale arte di arrangiarsi (vedi il preventivo risarcimento danni offerto ai detenuti per sanare l’offesa alla loro dignità in luogo del ripristino della stessa) uno dovrebbe chiedersi quanto tempo fino ad oggi sia stato perduto, a far data niente di meno che dal dibattito nell’assemblea costituente.

Fu Piero Calamandrei, al solito, a chiarire la necessità di scelte che garantissero la terzietà del giudice e un ruolo differenziato del Pm, l’indipendenza ma anche la responsabilità: “Con le norme previste -disse- si avrebbe un corpo di magistrati completamente indipendente, il quale deciderebbe delle nomine, provvederebbe alla designazione ai vari uffici, autoeserciterebbe la disciplina e delibererebbe delle spese. Con una magistratura così chiusa e appartata, si potrebbero verificare conflitti con il potere legislativo o con quello esecutivo, in quanto la magistratura potrebbe, per esempio, rifiutarsi all’applicazione di una legge o attribuirsi il potere di stabilire criteri generali di interpretazione delle leggi”. Se questa a qualcuno sembra una profezia, si muova per favore.

Marco Taradash

Il Garantista, 22 Giugno 2014