Piscitello (Dap); sono 715 i detenuti al 41bis, di cui 648 per associazione mafiosa


Cella 41 bis OPI detenuti in 41 bis, cioè in regime di carcere duro, sono complessivamente 715. Di questi 648 sono in carcere per associazione mafiosa (rispetto a un totale di detenuti per 416 bis pari a 6.009). Sono inoltre 295 i condannati all’ergastolo a cui è stato applicato il 41 bis. Sono i dati forniti da Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), nel corso di un’audizione alla commissione Diritti umani.

Sono in tutto 12 gli istituti in cui viene applicato il 41bis. Il regime di carcere duro viene disposto “con decreto del ministro della Giustizia a seguito di un’istruttoria della mia direzione”, ha spiegato Piscitello; e anche le proroghe “non sono mai automatiche”, ma seguono analoghe verifiche.

Nell’assegnazione della misura si evita l’assembramento in pochi istituti di soggetti che facciano parte della medesima associazione o di organizzazioni fra loro contrapposte. E si evita che soggetti di grande spessore criminale siano ristretti nello stesso istituto. I soggetti in 41 bis sono detenuti rigorosamente in celle singole. Come tutti i detenuti hanno diritto a colloqui e momenti socialità con altri detenuti, in gruppi non superiori a quattro”.

Riguardo ai colloqui, su cui il presidente della Commissione, il senatore Luigi Manconi, ha chiesto approfondimenti, “la normativa – ha detto Piscitello – stabilisce che i detenuti possono fare un colloquio al mese in sale attrezzate con vetri divisori per evitare passaggio di oggetti”.

Nel tempo “ci sono stati interventi per rendere più umani i rapporti con la famiglia e per tutelare i minori”: è stata prima “prevista possibilità che figli con meno di 16 anni potessero svolgere colloquio senza vetro divisorio”. Successivamente “una circolare ha ridotto da 16 a 13 anni la soglia, a seguito di alcune segnalazioni da parte delle procure distrettuali antimafia di minori che, in non pochi casi, venivano utilizzati per veicolare messaggi fraudolenti e in alcuni casi ordini di morte”.

I colloqui “sono videoregistrati, ma non registrati a meno che non lo chieda la magistratura”. Riguardo alle telecamere, “sono presenti nelle aree comuni, e in alcuni casi anche in aree riservate”, ha spiegato Piscitello, che ha anche rilevato di aver avuto “più volte interlocuzioni con procure distrettuali” e di aver “risposto negativamente all’uso surrettizio delle telecamere come sistema di intercettazione”.

 

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