Liberate Provenzano ! Domani decide il Tribunale di Sorveglianza di Roma


«ll 20 giugno discuteremo, davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma, se è legittimo che Bernardo Provenzano sia ancora ristretto in regime detentivo di 41 bis», scrivono sul Garantista gli avvocati difensori Rosalba Di Gregorio e Maria Brucale.  «E se il cattivo non fa più paura? – si chiedono i difensori – Se il suo corpo è immobilizzato da una lunga, gravissima malattia? Se non può più articolare una parola, neppure un pensiero? Se tutte le sue funzioni vitali vengono prodotte da macchine, tubi, sondini? Ha ancora senso tenerlo in un regime carcerario di estreme cautela e afflizione il cui solo senso normativo è impedire al capo di una organizzazione criminale ancora attiva di veicolare ordini o messaggi all’esterno?». Pubblichiamo qui di seguito la pagina di diario di Angelo Provenzano, già presente sul Garantista del 19 giugno 2014.

Angelo ProvenzanoDal “diario” di Angelo Provenzano

SIAMO AL S. PAOLO A MILANO

Nuova, ennesima, dimensione e realtà.
Sono abituato a fare ”visite” (non colloqui, perché non interagisce dal gennaio 2013) separato dal letto, con un banco di scuola, ma non posso toccarlo.
A Milano (S. Paolo) non c’è il banco fra me ed il letto, come all’ospedale di Parma: c’è il vetro del 41 bis.
Ti viene detto che, per portarlo lì, devono staccare la spina del materasso antidecubito: al mio buon cuore far durare la visita mensile anche meno dell’ora prevista.

Sono dietro il vetro e gli infermieri lo portano dall’altro lato della stanza. Entrano con lui due guardie del GOM: una a lato del letto, l’altra gli regge la cornetta del citofono.
Lo chiamo tante volte, ma non riesco neppure ad attrarre il suo sguardo, perché guarda il soffitto.
Io sono osservato e sento, dopo un quarto d’ora di sforzi e di pugni battuti sul vetro (nel tentativo vano di farmi guardare) di essere ormai arrivato.

Interrompo il colloquio, dico che va bene così.
Rientrano gli infermieri e lo portano via.
Poi le guardie mi ”liberano”, mi aprono la porta.
Devo rimuovere, per adesso, tutti il turbinio di emozioni: devo parlare col medico.
È un medico diverso da quello di Parma, ma la diagnosi e la prognosi non cambiano.
Se lo portiamo fuori dall’ospedale può vivere 48 ore… Grazie. Abbiamo parlato di un essere ”vivente” solo per tubi, macchine e terapie.

Se è così incapace, come è, ho il dovere di tutelarlo.
Vengo nominato, dal giudice tutelare di Milano, amministratore di sostegno dell’incapace.
Era mio padre!
Le mie nuove funzioni (compresa la richiesta di cartella clinica), mi spiega il GOM presente, non potrò esercitarle, se non con il consenso del Ministero.
Sono, credo, l’unico Amministratore di sostegno ”incapace”.

Angelo Provenzano

Palermo, 18/06/2014

Il Garantista, 19 Giugno 2014

Amantea, “Il boss Gentile rimane in Isolamento al 41 bis a Parma”


CC ParmaTommaso Gentile, boss della consorteria mafiosa amanteana, “Gentile-Besaldo-Africano”, tratto in arresto il 21 dicembre del 2007 nell’Operazione “Nepetia”, è ancora detenuto in regime del 41 bis (il “carcere duro”), nonostante i problemi di salute che, nel settembre del 2012, lo avevano costretto a sottoporsi ad intervento chirurgico di mastectomia sinistra per un carcinoma maligno.

Il boss, cinque anni fa, lo ricordiamo, era finito in carcere con gli altri reggenti del clan – Guido e Massimo Africano e Pasqualino Besaldo – e buona parte dei fedelissimi di peso del gruppo criminale, nonchè alcuni funzionari comunali ritenuti molto vicini alla cosca, soprattutto in materia di appalti pubblici. In tutto furono 46 le persone trascinate innanzi all’Autorità Giudiziaria per difendersi da varie ipotesi di reato, tra cui, appunto, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsioni, traffico di droga e altro ancora. Di queste : 23 sono ancora in attesa del pronunciamento dei giudici di secondo grado; i restanti, invece, sono stati giudicati in Cassazione, molti dei quali condannati.

Tra questi, appunto, tutti i pezzi da novanta della criminalità organizzata del comune nepetino, quali : Tommaso Gentile, Guido e Massimo Africano, Luca Azzinnaro, Franco Muto (boss dell’omonima cosca cetrarese), Pier Mannarino, Giacomino Guido (braccio armato del clan) e altri. Ma, ritornando al caso di Tomas (così definito da sodali e amici), lo stesso – detenuto nel 2004 presso il Carcere di Parma -, dopo oltre 100 giorni di attesa dalla richiesta inoltrata dai difensori al Giudice di Sorveglianza di Reggio Emilia, era stato trasferito presso la Sezione Detentiva dell’Azienda Ospedaliera di Parma per essere ricoverato e sottoposto ad intervento chirurgico. La degenza in ospedale non aveva superato (come da disposizioni) i 5 giorni, quindi, era stato nuovamente portato in cella al “carcere duro” poichè la Sezione Feriale della Corte di Appello di Catanzaro con ordinanza del 31 agosto 2004 aveva dichiarato inammissibile l’istanza formulata dai difensori del boss, con la quale si chiedeva in via principale la sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari o, in via subordinata, accertamenti peritali sulle sue condizioni di salute al fin di verificare la sua compatibilità con la detenzione carceraria. Gentile, condannato a 10 anni e 8 mesi, dovrà ancora scontare poco più di 5 anni.

In favore del boss, viste le sue condizioni di salute, lo ricordiamo, erano intervenuti Emilio Quintieri, Ecologista Radicale nonchè l’Onorevole Rita Bernardini, Deputato Radicale membro della Commissione Giustizia che. unitamente agli altri Deputati Matteo Mecacci, Maurizio Turco, Maria Antonietta Farina Coscioni, Elisabetta Zamparutti e Marco Beltrandi, aveva presentato un Interrogazione Parlamentare ai Ministri della Giustizia e della Salute Paola Severino e Renato Balduzzi.

Stefania Sapienza

Il Garantista della Calabria, Edizione di Cosenza

19 Giugno 2014 – http://www.ilgarantista.it 

Caso Gambirasio, Arena : “Non spetta a un Ministro condannare un indagato”


Radio CarcereIl processo penale si celebra solo nelle aule di giustizia (e non sui giornali). La sentenza di condanna viene pronunciata solo da un giudice (e non da un Ministro dell’Interno). Ogni imputato è presunto non colpevole fino a condanna definitiva.

Sono questi concetti ovvi per un Paese che si dice civile. Concetti che evidentemente non sembrano così ovvi per il Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Ministro che si è affrettato ad emettere la sua condanna definitiva nei confronti di un indagato. “Le forze dell’ordine” ha sentenziato Alfano “hanno individuato l’assassino di Yara”. Una frase categorica capace di superare la necessità di celebrare un processo. Un’affermazione lapidaria che si è sostituita a tre gradi di giudizio: Corte d’Assise, Corte d’Appello e Corte di Cassazione.

Eppure nessuna norma attribuisce al Ministro dell’Interno il compito di emettere sentenze né di diffondere notizie che riguardano esclusivamente le attività istituzionali dei magistrati. Attività dei magistrati che, soprattutto quando riguardano casi che sono nella fase delle indagini, necessitano del massimo riserbo. Riserbo che se violato potrebbe nuocere alle indagini stesse.

Ma c’è dell’altro. La gogna politica di Alfano ha prodotto anche una gogna mediatica su tanti giornali.

Una gogna mediatica fatta di titoli in prima pagina che hanno riportato tra le virgolette la sentenza emessa da Alfano: “Yara, preso l’assassino”.

È la contaminazione dell’errore. È l’epidemia del decadimento.

Resta infine un ultima perplessità: perché il ministro Alfano si è spinto tanto oltre? Al momento non è dato saperlo, anche se è preferibile non pensare al peggio. Ovvero che lo abbia fatto per ragioni di visibilità. Approfittare dell’omicidio di una tredicenne per andare sui giornali sarebbe una condotta davvero inqualificabile. Forse anche peggiore che fingersi giudice.

Riccardo Arena, Direttore Radio Carcere

18 Giugno 2014, http://www.ilpost.it

Piscitello (Dap); sono 715 i detenuti al 41bis, di cui 648 per associazione mafiosa


Cella 41 bis OPI detenuti in 41 bis, cioè in regime di carcere duro, sono complessivamente 715. Di questi 648 sono in carcere per associazione mafiosa (rispetto a un totale di detenuti per 416 bis pari a 6.009). Sono inoltre 295 i condannati all’ergastolo a cui è stato applicato il 41 bis. Sono i dati forniti da Roberto Piscitello, direttore generale dei detenuti e del trattamento presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), nel corso di un’audizione alla commissione Diritti umani.

Sono in tutto 12 gli istituti in cui viene applicato il 41bis. Il regime di carcere duro viene disposto “con decreto del ministro della Giustizia a seguito di un’istruttoria della mia direzione”, ha spiegato Piscitello; e anche le proroghe “non sono mai automatiche”, ma seguono analoghe verifiche.

Nell’assegnazione della misura si evita l’assembramento in pochi istituti di soggetti che facciano parte della medesima associazione o di organizzazioni fra loro contrapposte. E si evita che soggetti di grande spessore criminale siano ristretti nello stesso istituto. I soggetti in 41 bis sono detenuti rigorosamente in celle singole. Come tutti i detenuti hanno diritto a colloqui e momenti socialità con altri detenuti, in gruppi non superiori a quattro”.

Riguardo ai colloqui, su cui il presidente della Commissione, il senatore Luigi Manconi, ha chiesto approfondimenti, “la normativa – ha detto Piscitello – stabilisce che i detenuti possono fare un colloquio al mese in sale attrezzate con vetri divisori per evitare passaggio di oggetti”.

Nel tempo “ci sono stati interventi per rendere più umani i rapporti con la famiglia e per tutelare i minori”: è stata prima “prevista possibilità che figli con meno di 16 anni potessero svolgere colloquio senza vetro divisorio”. Successivamente “una circolare ha ridotto da 16 a 13 anni la soglia, a seguito di alcune segnalazioni da parte delle procure distrettuali antimafia di minori che, in non pochi casi, venivano utilizzati per veicolare messaggi fraudolenti e in alcuni casi ordini di morte”.

I colloqui “sono videoregistrati, ma non registrati a meno che non lo chieda la magistratura”. Riguardo alle telecamere, “sono presenti nelle aree comuni, e in alcuni casi anche in aree riservate”, ha spiegato Piscitello, che ha anche rilevato di aver avuto “più volte interlocuzioni con procure distrettuali” e di aver “risposto negativamente all’uso surrettizio delle telecamere come sistema di intercettazione”.

 

Spigarelli (Camere Penali) : I gattopardi della responsabilità civile dei Magistrati


Come un fiume carsico la questione della responsabilità civile dei magistrati riemerge nelle cronache politiche, attraverso blitz più o meno inaspettati di singoli parlamentari, ma ancora non riesce a trovare una soluzione, politica prima ancora che giuridica.

Così come era già avvenuto all’epoca del governo Monti, incapace di affrontare questa questione, che all’epoca era stata posta all’ordine del giorno da un emendamento presentato dal deputato leghista Pini, anche Renzi la scorsa settimana si è trovato alle prese con una iniziativa a sorpresa dello stesso tenore, per di più votata da diversi parlamentari del Pd.

Ora, al di là della scontata levata di scudi dell’Anni, e della altrettanto scontata condanna della iniziativa da parte del ministro di Giustizia, ciò che preme sottolineare è un dato evidente: benché nessuno degli ultimi governi abbia messo il tema tra quelli preminenti in materia di giustizia, in Parlamento esiste da tempo una maggioranza trasversale che ritiene necessario riscrivere la legge Vassalli.

Partendo da questo dato va sottolineato che tale evidenza deve portare ad una soluzione che elimini le storture della legge attuale, che ne hanno determinato il fallimento conclamato, e non risolversi in una grida contro la magistratura destinata a sortire effetti ancor più negativi. Insomma, è inutile, e addirittura controproducente, ipotizzare la cosiddetta responsabilità diretta, cioè proprio la soluzione che è stata introdotta da ultimo, con ciò dando il fianco alla polemica da parte dei magistrati, quando si può ben più efficacemente eliminare i punti critici della normativa attualmente in vigore. Oggi non esiste nessuna reale tutela dei cittadini nei confronti degli errori gravi dei dei magistrati essenzialmente per due motivi.

Da un lato la legge prevede che venga operato un filtro preliminare di ammissibilità delle domande avanzata da chi si ritiene danneggiato. Questo filtro è ovviamente affidato a magistrati, e ha operato una vera e propria falcidia delle istanze avanzate, basti pensare che in oltre venticinque anni solo poche centinaia di casi lo hanno superato. D’altro lato la legge esclude che l’errore professionale del magistrato possa comportare responsabilità se cade sulla attività di applicazione delle norme, ciò per preservare l’indipendenza nella libera interpretazione delle norme; il che lascia esente da colpa professionale anche le ipotesi di clamorosa ignoranza.

Basterebbe intervenire su questi due punti, come già da tempo proposto in alcuni disegni di legge all’esame del Parlamento, per restituire al sistema una normativa non afflitta da un eccesso di garanzie nei confronti dei magistrati e da nessuna tutela effettiva per i cittadini. Senza impelagarsi in discussioni ideologiche, o peggio mettersi a discutere del sesso degli angeli, con ciò regalando ai fautori dello status quo l’ennesimo pretesto per no cambiare nulla, il governo si dovrebbe impegnare in questo senso.

Peccato che dalle prime dichiarazioni di esponenti governativi si coglie una certa confusione in materia. Dopo che il premier ha dichiarato, con la consueta enfasi, che anche su questa materia il governo non si farà condizionare dalle pretese corporative della magistratura, per bocca del ministro Orlando si è subito aggiunto che il filtro preliminare sarà confermato, il che equivarrebbe a dire, con il principe di Salina, che tutto cambia affinché nulla cambi, sul serio.

di Valerio Spigarelli (Presidente Unione Camere Penali)

Il Garantista, 19 giugno 2014