Carceri. L’Europa chiude gli occhi e “assolve” l’Italia. Ma «è una presa in giro sulla pelle dei carcerati»


carcere chiave«È una presa in giro sulla pelle dei carcerati». Così Riccardo Arena, direttore di Radiocarcere, definisce a tempi.it la decisione del comitato europeo dei ministri di assolvere l’Italia per aver conseguito «significativi risultati» nel ripristinare la legalità nelle carceri. L’Italia avrebbe ricevuto una maxi-multa pari a centinaia di milioni di euro, questo giugno, se il Consiglio d’Europa non l’avesse assolta, almeno formalmente (il testo integrale della “assoluzione” lo trovate su radiocarcere.com)Ma come denuncia Arena (e insieme a lui operatori del settore, politici e autorità, compresi il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e papa Benedetto XVI) i detenuti italiani vivono ancora in condizioni disumane. «La realtà è ben diversa, la decisione del comitato dei ministri del Consiglio d’Europa è frutto di un inciucio politico».

Arena, cosa c’è che non va nel testo con cui il Consiglio d’Europa non punisce le inadempienze dello Stato italiano?
Basta leggerlo: è tragicomico. Secondo il Consiglio in Italia, dal 2013, ci sarebbe stato un «importante e continuo calo della popolazione carceraria» e «un aumento dello spazio di vita di 3 mq per detenuto». I dati ci dicono che si è passati da 67 mila a 60 mila detenuti. Sarebbe questo un grande risultato? Inoltre, scopriamo dal Consiglio che sarebbe «imminente» un decreto legge del Governo Renzi che prevede «una riduzione di pena per i detenuti che sono ancora ristretti e un risarcimento pecuniario per coloro che sono stati rilasciati». Futuri risarcimenti? Futuro decreto? Il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha fatto uno scoop. Trovo assurdo che il comitato dei ministri abbia parlato di passi che l’Italia non ha ancora fatto e di cui nessuno ha sentito parlare.

Pensa che su questa decisione abbiano pesato i problemi economici italiani?  
I membri del comitato dei ministri del Consiglio d’europa sono ambasciatori degli Stati membri dell’Unione Europea e non giuristi indipendenti. Perciò è possibile che si siano messi d’accordo per fini politici, anche se in realtà il loro compito in questo caso sarebbe limitato a verificare l’attuazione delle sentenze della Corte di Strasburgo.

Compito che non ha svolto?
Purtroppo il comitato ha approvato un documento parziale, che non guarda alla realtà ma si limita a parlare di alcuni numeri. Così da una valutazione complessiva e approfondita della corte di Strasburgo si è arrivati a un documento parziale e superficiale. Basti dire che dei venti punti posti in rilievo dalla Corte dei diritti umani nella sentenza pilota Torreggiani contro l’Italia, il comitato dei ministri ne ha esaminato uno e mezzo. Poi ha concluso rinviando la questione all’anno prossimo. In pratica, ha chiuso gli occhi.

Però, secondo alcuni organi di stampa, la decisione del Consiglio sarebbe una promozione europea delle politiche italiane sulle carceri.
L’Europa non ha promosso l’Italia sulle condizioni in cui versano i carcerati in Italia, l’ha “rimandata a settembre” con un documento lacunoso. La situazione dei carcerati in Italia è ancora terribile. Continuo a ricevere centinaia di testimonianze che provano le condizioni disumane in cui vivono i detenuti in Italia.

Però anche il Dap difende i passi in avanti fatti dal 2013.
Sì, però è lo stesso Luigi Pagano (vicedirettore del Dap, ndr) a dire che c’è da fare ancora tantissimo per i carcerati. Quello che invece emerge nel documento europeo è ben diverso. Il Consiglio ha addirittura apprezzato presunte “riforme di sistema” che avrebbe varato l’Italia, facendo riferimento alle soluzioni “tampone”, come i vari decreti svuota-carceri. Una assurdità che fa il paio con quella di esprimere apprezzamento per un futuro e ipotetico decreto legge che prevede la scarcerazione di un numero imprecisato di detenuti. È una presa in giro, no?

Crede che il governo non voglia occuparsi delle condizioni dei carcerati?
Da quando è diventato ministro della Giustizia, Orlando non ha mai messo un piede in carcere. Eppure i carcerati sono ancora trattati dallo Stato non come persone, ma peggio di animali. Si fanno grandi promesse, ma si nega la realtà. Al massimo si parla di cifre, come se le condizioni delle carceri dipendessero soltanto dai numeri e non anche, per esempio, dalla situazione delle celle, dalle condizioni igenico-sanitarie.

di Francesco Amicone

Tempi.it, 07 Giugno 2014

Giustizia, Un detenuto su cinque è dietro le sbarre senza processo


Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa riconosce i “significativi risultati” ottenuti dall’Italia per quel che riguarda la situazione delle carceri. Tiri pure un sospiro di sollievo chi vuole, il rischio di una mega-multa per ora appare scongiurato.

La situazione tuttavia è ancora grave: un detenuto su cinque è in carcere senza aver subito un processo. Sono in questa condizione 10.389 reclusi, il 17% dell’intera popolazione carceraria (59.683, secondo i dati aggiornati al 30 aprile scorso). Un fenomeno che incide sul sovraffollamento, ha costi umani e anche economici per il Paese, visto che ogni giorno per la carcerazione preventiva l’Italia spende circa 1,3 milioni di euro.

I dati emergono da un’analisi dell’Associazione italiana giovani avvocati. Per arrivare a stabilire quanto costa la carcerazione preventiva l’Aiga è partita dai dati del ministero della Giustizia, e ha poi moltiplicato il numero dei detenuti sottoposti al carcere preventivo a quello che lo Stato spende al giorno per ogni singolo recluso: una cifra pari nel 2013 a quasi 125 euro, in un anno 45.610 euro. Dal punto di vista numerico la situazione è migliorata da quando nel gennaio del 2013 fu pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la sentenza Torreggiani, visto che allora i detenuti in attesa di giudizio erano circa 12.439 (18,87%) su un totale di 65.905 detenuti.

Nonostante i “significativi risultati” una situazione di palese illegalità, in contrasto con la Costituzione e la normativa europea, e che può essere sanata solo a partire da un provvedimento di amnistia e indulto. Lo ha ben detto, l’altro giorno, il Procuratore generale aggiunto che coordina i magistrati dell’esecuzione penale, dottoressa Nunzia Gatto: “Personalmente sono dell’idea che si sarebbe dovuto seguire la linea più volte indicata dal presidente della Repubblica per alleggerire il sovraffollamento carcerario: amnistia e indulto.

In quel modo, per noi sarebbe stato possibile applicare automaticamente il condono ai detenuti che ne avessero avuto diritto”. Il presidente della Repubblica Napolitano, con il suo messaggio alle Camere ha “gridato” il suo autorevolissimo “non si perda neanche un giorno”. Ci sono state le iniziative nonviolente che i radicali in questi mesi hanno messo in atto: dallo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a quello della segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, fino agli appelli diffusi e sottoscritti da numerose personalità alle lettere inviate al Capo dello Stato.

Da ultimo, ma non ultimo, gli incoraggiamenti e gli appelli di papa Francesco con le sue telefonate a Pannella… Gli aspetti della pena illegale in Italia non riguardano solo gli spazi a disposizione di ciascun detenuto (e qui il sovraffollamento persiste) ma anche la possibilità di accesso alle cure. Su questo versante la situazione è disastrosa, perché oltre i tossicodipendenti, che sono il 32%, il 27% di detenuti ha un problema psichiatrico.

Non solo: malattie infettive debellate all’esterno dietro le sbarre si diffondono sempre di più. Tra queste, l’epatite C è la più frequente (32,8%), seguita da Tbc (21,8%), epatite b (5,3%), Hiv (3,8%) e sifilide (2,3%). Con tutti i rischi di diffusione di queste malattie all’esterno. Per quel che riguarda inoltre le possibilità di accesso alle attività trattamentali, quali il lavoro e lo studio siamo ancora all’anno zero. C’è una percentuale bassissima di detenuti che può svolgere lavori poi spendibili all’esterno. Su quasi 60.000 detenuti, solo 2.278 solo quelli che svolgono attività per datori di lavoro esterni, mentre 12.268 fanno lavori poco qualificanti all’interno del carcere. La democrazia e lo stato di diritto si possono realizzare solo difendendo i diritti umani fondamentali. Purtroppo un traguardo ancora lontano.

di Valter Vecellio

L’Unità, 6 giugno 2014

Carceri, l’Europa dà un voto d’incoraggiamento. Ma il problema rimane


carcere regina coeli 4Il giudizio del comitato europeo è positivo sui provvedimenti presi dall’Italia. Il ministro Orlando però non cede all’entusiasmo: “C’è ancora moltissimo da fare”.

Prima viene lo stupore: l’Italia passa a pieni voti l’esame dell’Europa sul tema delle carceri, titolano i giornali. Dopo, ritorna il principio di realtà: “Da Strasburgo arriva una notizia positiva – dice il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Michele Vietti – ma continuiamo a essere sotto osservazione, e tutti gli allarmi lanciati, a cominciare da quelli del capo dello stato, rimangono drammaticamente attuali”.

Il fatto è che il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha valutato positivamente i primi passi mossi dagli ultimi governi italiani (Monti, Letta, Renzi) per la risoluzione di uno dei problemi più imbarazzanti del nostro paese – quello delle condizioni di detenzione – riscontrando “significativi risultati”.

Il giudizio espresso dalle istituzioni europee, però, è solo una prima e preliminare valutazione della situazione. E bisognerà aspettare sino al giungo 2015 (entro quella data è attesa la pronuncia) per ricevere una valutazione approfondita e dettagliata dei risultati ottenuti.

Nel frattempo, la discussione è aperta: “Quello che si è realizzato in Italia è ancora insufficiente”, dice a Europa Luigi Manconi, senatore, e presidente della commissione per la tutela dei diritti umani. Spiegando che “il numero dei detenuti italiani è sceso, ma il sovraffollamento rimane altissimo rispetto alla capienza ordinaria”.

I dati forniti dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dicono che le persone che scontano una pena in galera sono passati dai 66.028 del gennaio 2013 ai 58.925 di oggi. È questa la prova che “misure intelligenti sono state prese in questo anno e mezzo” ragiona Manconi. Sottolineando che è proprio questo ciò che “l’Europa ha apprezzato nell’azione dei governi italiani”. Tuttavia – e qui torna il tono amaro – “sono dei provvedimenti ancora non all’altezza di rispondere alla straordinarietà della situazione carceraria italiana. Per questo – conclude Manconi – io e un’altra sessantina di parlamentari di tutti gli schieramenti abbiamo scritto la scorsa settimana al ministro Orlando per dirgli: “Coraggio, avanti con audacia”.

Al guardasigilli del resto non manca la consapevolezza. Tanto è vero che mentre altri ieri si lasciavano trasportare dall’entusiasmo lui ha commentato la notizia dicendo “c’è ancora tantissimo da fare”. Frase su cui non può non essere d’accordo Rita Bernardini, radicale, da anni in prima fila sulla battaglia per la legalità delle prigioni italiane. Che a Europa spiega che “la valutazione europea non cancella affatto la condanna che l’Italia ha ricevuto per il trattamento che riserva ai suoi detenuti”. Parlando di continue “violazioni dei diritti umani”, espedienti “burocratici” per rispettare criteri didascalici e di un giudizio (quello espresso dal comitato europeo) che “fa inorridire” per le cose che non vede. Il problema delle carceri, insomma, rimane. Anche se non ce lo chiede più l’Europa.

di Nicola Mirenzi

Europa, 6 giugno 2014

Carceri, promozione a metà. Il giudizio del Consiglio d’Europa


Consiglio d'Europa 2Diciamolo senza ipocrisia: in materia di carceri l’Italia deve ringraziare il Consiglio d’Europa e il suo organo giudiziario, la Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ringraziamento, beninteso, non riguarda quella che la sintesi giornalistica traduce come la “promozione” sancita ieri, ovvero la presa d’atto dei “risultati significativi” fin qui raggiunti dal nostro Paese in fatto di sovraffollamento e di condizioni detentive, con conseguente sospensione delle salate sanzioni che erano state minacciate sulla scia della sentenza-pilota “Torreggiani più altri”.
Al contrario, proprio quella causa, quel verdetto e poi l’ultimatum – che sarebbe scaduto il 28 maggio scorso – sono state le molle che hanno spinto il governo Renzi e i due che lo hanno preceduto (Monti e Letta) ad affrontare con misure deflattive finalmente strutturali una “tragedia” nazionale, per ricorrere a un termine usato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
“È il riconoscimento del lavoro fatto”, ha osservato il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Un lavoro che sarà agevolato, è bene ricordarlo, anche dalla recente sentenza della Cassazione (applicativa della discussa pronuncia della Consulta sulla legge Fini-Giovanardi) in base alla quale saranno rimesse in libertà fino a 3mila persone condannate per spaccio di droghe cosiddette “leggere”.
In ogni caso, la soddisfazione del ministro e del governo è più che legittima. Così come è rassicurante la constatazione di Orlando che “c’è ancora molto da fare”. Adesso, infatti, è indispensabile non smarrire la consapevolezza che, se la fase emergenziale più nera sembra essere alle spalle, il problema non è risolto. Quella che abbiamo incassato non è una promozione bensì un’ulteriore proroga: a giugno 2015, tra un anno esatto, da Strasburgo arriverà la valutazione definitiva. Nel frattempo, l’Italia dovrà comunque risarcire (in denaro chi è già uscito, con alleggerimenti di pena chi è tuttora dietro le sbarre) coloro che sono stati reclusi in condizioni lesive della dignità umana. E, una volta approvata anche la riforma della custodia cautelare, dovrà trovare sistemi diversi dalle misure alternative al carcere per far coincidere il numero dei detenuti con la capienza effettiva. Per esempio recuperando i posti oggi inagibili e aprendo le strutture pronte ma chiuse, magari a causa della carenza di organico della Polizia penitenziaria.

di Danilo Paolini

Avvenire, 6 giugno 2014