Droghe: Anastasia (Antigone) : Subito un decreto per le pene illegittime


Stefano AnastasiaAl decreto-legge promesso a Strasburgo sulle carceri si aggiunga un articolo, semplice semplice, con cui si stabilisce che il giudice dell’esecuzione provvede d’ufficio alla rideterminazione della pena illegittima nella misura in cui essa è stata ridotta in astratto (dei due terzi, nel caso della dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi).

Dunque anche su questo avevamo ragione: non è possibile eseguire pene illegittime. Come la Corte costituzionale ci ha dato ragione sulla illegittimità della legge Fini-Giovanardi, così le sezioni unite della Cassazione ci hanno dato ragione sull’impossibilità di continuare l’esecuzione di pene determinate sulla base di norme giudicate costituzionalmente illegittime.

Il caso all’esame della Suprema Corte riguardava l’esecuzione di pene viziate dalle norme incostituzionali della legge Cirielli, la “Three Strikes Law” dè noaltri, ma c’erano precedenti sull’aggravante di immigrazione clandestina (anch’essa giudicata incostituzionale dalla Consulta) e gli effetti della decisione inevitabilmente si riflettono sulle pene spropositate volute dalla Fini-Giovanardi.

Eccole qua, le tre leggi del sovraffollamento penitenziario italiano riunite nel comune giudizio di illegittimità costituzionale. Non si poteva far di meglio per rendere chiaro al colto e all’inclita che quella vergogna nazionale non è il frutto di una congiunzione astrale, ma di precise scelte politiche di cui qualcuno porta la responsabilità.

Vedremo se Governo e Parlamento saranno capaci di “cambiare verso” in queste delicate materie. Intanto, però, bisogna affrontare il destino di quelle migliaia di detenuti che stanno scontando una pena illegittima. Quello affermato dalla Cassazione è un principio di diritto che vale nel caso concreto. I singoli giudici di merito potranno richiamarvisi per decidere quelli che verranno loro sottoposti. Ma quanti delle migliaia di detenuti condannati sulla base di pene illegittime sanno che stanno scontando una pena cui non dovrebbero essere tenuti? E quanti sanno che possono rivolgersi a un giudice per farsela rideterminare? E quanti sono i giudici che, come a Milano qualche settimana fa, potrebbero confermare una pena minima in base alla Fini-Giovanardi per il solo fatto che rientra nei nuovi limiti di pena, senza considerare che ora sarebbe una pena massima? Il campo delle ingiustizie potrebbe allargarsi fino a includere la maggioranza di quei detenuti in esecuzione di pene illegittime.

All’indomani della sentenza della Corte costituzionale avevamo chiesto al Governo un decreto ad hoc, affinché fosse fissata per legge la rideterminazione delle pene illegittime. L’amministrazione penitenziaria avrebbe potuto almeno informare i detenuti interessati della possibilità di ricorrere al giudice dell’esecuzione. Nulla di tutto ciò è successo, salvo qualche modifica migliorativa del discutibile decreto Lorenzin. Ora però la pronuncia della Cassazione ripropone il problema e in alcune procure si comincia a paventare il collasso degli uffici di esecuzione. Bene, sarà dunque il momento per recuperare il tempo perduto: nel decreto-legge promesso a Strasburgo per sanare la mancanza di rimedi compensativi alla violazione dei diritti dei detenuti in Italia, si aggiunga un articolo, semplice semplice, con cui si stabilisca che il giudice dell’esecuzione provvede d’ufficio alla rideterminazione della pena illegittima nella misura in cui essa è stata ridotta in astratto (dei due terzi, nel caso della dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi).

Non è la riforma organica che ci vorrebbe sulle droghe, non è un provvedimento di clemenza ad hoc come quello che Obama sta mettendo in opera negli Usa, non è il generale provvedimento di clemenza che servirebbe per ricondurre alla piena legalità le carceri italiane, ma – almeno – cancellerebbe l’ulteriore vergogna di migliaia di detenuti trattenuti in carcere sulla base di una legge dichiarata incostituzionale.

di Stefano Anastasia, Presidente Nazionale Onorario Antigone Onlus

Il Manifesto, 4 giugno 2014

Carceri : Detenuto suicida a Firenze. E’ il 61° “morto di pena” del 2014


Carcere Firenze SolliccianoUn detenuto marocchino di 40 anni si è suicidato oggi pomeriggio nella sua cella nella 13/a sezione del carcere fiorentino di Sollicciano. A renderlo noto è il segretario generale dell’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria, Leo Beneduci, il quale sottolinea che si tratta del “61esimo morto in carcere dall’inizio dell’anno e il 17esimo per suicidio”.

L’uomo si è barricato nel bagno della cella che condivideva con altri due detenuti ed ha inalato il gas di una bomboletta che serviva ad alimentare un fornellino. A nulla è servito il tentativo degli agenti di polizia penitenziaria e del medico del carcere che hanno cercato di rianimarlo. “Il suicidio – dice Beneduci – si è verificato in una sezione protetta, nella quale doveva anche realizzarsi la cosiddetta sorveglianza dinamica, a riprova di un modello detentivo destinato a fallire prima di realizzarsi”.

Giustizia: Cooperazione Penale Europea, l’Italia rischia una procedura d’infrazione


Corte di Giustizia EuropeaL’Italia arranca nell’attuazione degli atti Ue in materia di cooperazione giudiziaria penale e corre il rischio, dal prossimo dicembre, di subire una procedura d’infrazione.

Lo dice la Commissione europea in due rapporti pubblicati ieri, uno sullo stato di attuazione della decisione quadro 2008/675/Gai del 24 luglio 2008 relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale e l’altro sulla decisione quadro 2009/948/Gai del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali. In entrambi gli atti l’Italia segna il passo.

Eppure, la loro attuazione effettiva consente un rafforzamento nella protezione delle vittime, una più efficace lotta alla criminalità transfrontaliera e assicura maggiori garanzie agli stessi autori di reato, grazie alla concreta attuazione del principio del ne bis in idem riconosciuto dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Proprio con riguardo alla decisione quadro 2009/948 si sono verificati, nel complesso, i maggiori ritardi. Solo 15 Stati membri hanno recepito in modo completo l’atto Ue, mentre 13 Paesi, tra i quali l’Italia, non hanno ancora provveduto, frenando l’attuazione dello spazio giudiziario Ue. L’applicazione della decisione è una tappa importante per evitare doppi processi su stessi fatti e nei confronti degli stessi imputati.

La Commissione lancia così agli Stati inadempienti un messaggio chiaro. È vero, infatti, che in base al Trattato Ue l’esecutivo non può ancora avviare una procedura per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia, ma dal 1° dicembre 2014 la Commissione potrà fare ricorso alla procedura d’infrazione. Con buona pace dei Paesi ritardatari come l’Italia. Tra l’altro, osserva la Commissione nel rapporto (Com(2014)213), la decisione quadro ha messo in campo un sistema che permette un dialogo continuo tra le autorità degli Stati membri, con risposte rapide tra gli organi nazionali competenti, evitando in via preventiva ogni problema sull’applicazione del principio del ne bis in idem. Ombre sull’Italia anche dal rapporto sulla decisione quadro 2008/675 (Com(2014)312). Se 22 Stati hanno già attuato la decisione (e ben 13 hanno ottenuto una promozione da Bruxelles), rimangono al palo Belgio, Spagna, Italia, Lettonia, Malta e Portogallo.

È vero che questo non impedisce l’attuazione dei principi fissati nella decisione quadro negli altri Stati membri, ma è certo nell’interesse della giustizia che le condanne siano prese in considerazione nell’intero spazio Ue. Alcuni Stati membri hanno anche previsto che condanne già comminate in altri Paesi dell’Unione siano prese in considerazione durante la fase delle indagini. Non solo. In Austria, Paesi Bassi, Svezia, Grecia e Irlanda una condanna può influenzare le decisioni sulla custodia cautelare e anche le modalità di esecuzione della pena.

di Marina Castellaneta

Il Sole 24 Ore, 4 giugno 2014

Ferrulli morì durante l’arresto. Il Pm chiede 7 anni di carcere per i Poliziotti


Michele FerrulliMichele Ferrulli morì nell’estate 2011 per arresto cardiaco: “Subì violenza gratuita e non giustificabile, picchiato quando era già immobilizzato a terra”.

Il pm di Milano Gaetano Ruta ha chiesto una condanna a 7 anni di reclusione per i 4 poliziotti che il 30 giugno 2011 fermarono a Milano il 51enne Michele Ferrulli, morto per arresto cardiaco durante l’intervento delle forze dell’ordine. Gli agenti, che intervennero in via Varsavia dopo una segnalazione per schiamazzi in strada, sono imputati per omicidio preterintenzionale e falso in atto pubblico. Il pm, durante le requisitoria ha sostenuto che Ferrulli “ha subito una violenza gratuita non giustificabile”.

Il pm ha escluso che i poliziotti “volessero uccidere Ferrulli, come testimonia anche l’apprensione con cui hanno chiamato la centrale operativa quando si sono accorti delle condizioni” del manovale che di lì a poco sarebbe morto in seguito “a un attacco ipertensivo, che ha causato un arresto cardiocircolatorio seguito da edema polmonare, anche perché il cuore di Ferrulli, di 700 grammi, era troppo piccolo rispetto alla mole del suo corpo, che pesava 147 chilogrammi”.

Secondo il rappresentante della pubblica accusa, i quattro agenti erano in grado di comprendere che agire in quel modo avrebbe potuto provocare la morte di Ferrulli. Per dimostrarlo, il pm ha ricordato il “sonoro delle donne rom che, davanti alla scena dell’ammanettamento, dicono: “Così gli viene un infarto e muore”.

Non c’è bisogno di emeriti studiosi – ha detto il pm – per capire che se butto per terra una persona e infierisco su di lei le posso fare molto male e gli può venire un infarto. È una conseguenza che le persone che stavano lì intorno avevano previsto. “Lasciatelo, gli fate male”, dice il suo amico che viene preso e portato via in un’auto della polizia. Non ci vuole Pico della Mirandola per dire che se si mette una persona a terra e lo si picchia può morire”.

Dal dibattimento è emerso che gli agenti hanno percosso “ripetutamente il signor Ferrulli in diverse parti del corpo, pur essendo in evidente superiorità numerica e hanno continuato a colpirlo probabilmente con l’uso di manganelli, come testimoniato da due amici della vittima e come evince il mio consulente tecnico incaricato di analizzare il video dell’aggressione, quando era immobilizzato a terra, in posizione prona, non era in grado di reagire e invocava aiuto”. Ruta ha comunque chiesto per i poliziotti il minimo della pena previsto da questo reato e la concessione delle attenuanti generiche, “perché il fatto in sé è grave, ma va pur detto che si iscrive in una attività di servizio eseguita malissimo dagli imputati, che però sono persone che non hanno mai dato ragioni di critica o censura e dal punto di vista della correttezza processuale sono sempre stati presenti e hanno avuto un comportamento composto”.

I poliziotti sono poi accusati di aver falsificato l’annotazione redatta il giorno successivo sull’accaduto, dichiarando falsamente che dopo aver bloccato il 51enne “una successiva e inevitabile perdita di equilibrio di tutto il gruppetto faceva sì che il Ferrulli e tutti gli agenti intervenuti cadessero rovinosamente a terra, frangente che permetteva, grazie all’utilizzo di un terzo paio di manette, di bloccare definitivamente la sua resistenza. Poiché la precedente caduta aveva costretto il Ferrulli, prono a terra, si cercava, ormai assicurato, di riportarlo in una posizione a lui più comoda per avvicinarlo alla vettura di servizio, ma proprio in tale occasione il Ferrulli riferiva di sentirsi male, lamentando un forte dolore al petto”. Secondo Ruta sono “circostanze false, poiché i poliziotti, nel mentre il Ferrulli si trovava a terra in posizione prona, era immobilizzato e invocava aiuto, lo colpivano ripetutamente anche con l’uso di corpi contundenti”.

“Non ci sentiamo più soli, ora sappiamo che lo Stato è dalla nostra parte”, è stato il commento di Domenica Ferrulli, figlia della vittima. “È un processo difficile e doloroso – ha proseguito – la nostra speranza è che gli agenti vengano condannati e non indossino più la divisa, per rispetto di mio padre e anche di chi la indossa onestamente”.

Corriere della Sera, 4 giugno 2014

Il Dap autorizza nuovamente i Direttori delle Carceri a fornire i dati ad Antigone


Carcere - detenuto corridoioL’Amministrazione Penitenziaria autorizza nuovamente i direttori delle carceri a fornire dati all’associazione Antigone. Lo annuncia il presidente dell’associazione Patrizio Gonnella dopo che il Dap, nel marzo scorso, aveva vietato ai direttori degli istituti penitenziari di fornire informazioni ad Antigone ” onde evitare incoerenze pregiudizievoli all’immagine esterna dell’amministrazione”.

“L’Amministrazione penitenziaria – spiega Gonnella – ha diramato una circolare con la quale autorizza nuovamente i direttori degli istituti penitenziari a fornire all’associazione Antigone le informazioni richieste”. “Nelle settimane scorse più volte c’eravamo sentiti e incontrati con i vertici del Dap – aggiunge – La circolare aiuta a risolvere tutti i dubbi e gli equivoci. Si tratta di una decisione che apprezziamo e che ci consente di proseguire serenamente nel nostro lavoro di osservazione”.

Carceri: 60 Parlamentari al Ministro Orlando; interventi drammaticamente insufficienti


Orlando, Festa Penitenziaria“È possibile che in queste ore, o comunque entro pochi giorni, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa formuli la sua valutazione a proposito di quanto ha fatto il nostro paese per ripristinare condizioni di legalità e di tutela dei diritti nel sistema penitenziario. E per interrompere i trattamenti “inumani e degradanti” praticati nelle carceri italiane.

Qualunque sia il giudizio che verrà dato su quanto il governo ha saputo realizzare, la situazione del sistema penitenziario italiano resta drammatica”. Così il senatore Luigi Manconi, che rende noto che una sessantina di deputati e senatori di molti partiti (da Sel a Gal, dal Pd a Per l’Italia e a Scelta Civica, fino a esponenti del Gruppo misto) hanno sottoscritto una lettera al ministro della Giustizia da lui promossa.

Nel testo si legge, tra l’altro che “gli interventi positivi realizzati nell’ultimo anno e le norme razionali introdotte, che pure riconosciamo e apprezziamo, si rivelano tuttora drammaticamente insufficienti”. Da qui la richiesta al ministro di procedere sulla strada delle riforme con ancora maggiore determinazione; e di raccogliere l’invito del Capo dello Stato a “non precludersi la possibilità di ricorrere a un provvedimento generale di clemenza”.

Gratteri in audizione in commissione diritti umani su 41-bis

La Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani presieduta dal Senatore Luigi Manconi (Pd) ha ascoltato oggi in audizione al Senato, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui livelli e i meccanismi di tutela dei diritti in Italia, il Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria Nicola Gratteri, sul regime di detenzione del 41-bis previsto dall’Ordinamento Penitenziario.