Respinta dal giudice di sorveglianza Bigattin la richiesta dei domiciliari per un anziano condannato per bancarotta che ha bisogno di cure.
Non ha un’abitazione dove andare, né le risorse economiche per potersi pagare le rate da ospite in una casa di riposo. Così, a 76 anni abbondanti e con problemi di ipertensione e difficoltà deambulatorie, rimane in cella. Nel carcere di via del Coroneo. A scontare la condanna inflittagli per concorso in bancarotta fraudolenta, con sentenza del Tribunale di Trani del 3 maggio 2012, e in emissione di fatture per operazioni inesistenti, con pronuncia del Gup del Tribunale di Trieste. Ha iniziato a espiarla nell’ottobre scorso, con fine pena ad agosto 2017.
Ma l’età, le condizioni di salute e la tipologia di reati per cui è stato giudicato colpevole, unite al problema nazionale cronico del sovraffollamento delle carceri, non dovrebbero indurre a ritenere consona la misura alternativa degli arresti domiciliari? In effetti, l’avvocato Sergio Mameli, legale del triestino classe 1937 Vincenzo Varesano – il protagonista di questa vicenda, aveva presentato lo scorso 7 gennaio istanza per la concessione provvisoria della detenzione domiciliare. Peraltro, dieci giorni dopo, il 17 di gennaio, al Coroneo, Varesano si era fratturato il femore destro cadendo. Dopo le cure era stato accolto in una Rsa per la riabilitazione. Infine, ritrasferito in carcere.
Ad aprile, era giunta la decisione del magistrato di sorveglianza Emanuela Bigattin, che aveva rigettato la richiesta dell’avvocato Mameli proprio per l’assenza di alternative di accoglienza e di risorse economiche di Varesano, specificando come dovessero essere le assistenti sociali Uepe a verificare eventuali altre soluzioni per trovare un tetto all’uomo. Il quale, però, è ancora in carcere. “È inconcepibile non si possa trovare una sistemazione – tuona l’avvocato Mameli, sottolineando anche l’assenza di gravi esigenze cautelari a carico del proprio assistito, non disponendo il signor Varesano di un alloggio. Perché in tre mesi non sono stati in grado di arrivare a una soluzione?”. Il Garante dei diritti dei detenuti, Rosanna Palci, è a conoscenza del caso: “In generale, se vi sono case disponibili o riferimenti di parentela, le situazioni sono diverse – spiega Palci.
La circostanza, qui, non aiuta. Per un mese la persona è stata in una Rsa: dopo il periodo di permanenza gratuita, è subentrato il problema del pagamento. Sarebbe possibile il trasferimento in casa di riposo, dove è però necessario pagare. Il sanitario dell’istituto (penitenziario, ndr) sta vedendo: ci sono centri clinici dove poter inserire i detenuti per gravi patologie. Certo è – conclude – che effettivamente questo è un caso limite. E il magistrato deve avere parametri di certezza” per applicare misure alternative. Così, l’assessore comunale alle Politiche sociali, Laura Famulari: “Sarebbe corretto ci fossero finanziamenti ad hoc, statali e regionali, per poter intervenire anche su tali problematiche. Il Comune non ha le risorse per farlo”.
di Matteo Unterweger
Il Piccolo, 25 maggio 2014
Scandaloso disumano e vergognoso….nn ci sono risorse,nn ci sono comunità,nn ci sono alternative………UCCIDIAMOLO!
schifo.schifo,e sdegno profondo!
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